Sport e Diritti- La mano de Diòs che viene dall’Argentina: Diego Maradona

Sono i giorni in cui dall’Argentina è arrivato, inaspettato, il nuovo Papa Francesco.
I giorni in cui dall’Argentina arriva un senso di semplicità e educazione, sacralità ed umanità al tempo stesso.
Argentina, terra di contrasti e di poesia, di follia e di sacrificio.
Dall’Argentina un tocco magico in grado di far cadere nel delirio un intero popolo, di ridare dignità ad una terra troppo spesso abbandonata a se stessa: “la mano de Diòs”. Il sogno di un mondiale, Città del Messico, Stadio Azteca. Inghilterra battuta 2-1 ai quarti di finale di Messico 1986. In semifinale battuto il Belgio, in finalela Germania. L’Argentina è campione del mondo, Maradona diventa per tutti “El Pipe de Oro”.
Un campione in grado di vincere partite da solo, un campione sempre in lotta con la propria vita, e spesso vicino a perderla quella partita. Da solo.

Ma poi il coraggio del campione, lo scatto d’orgoglio e di dignità di chi è abituato a scartare una intera squadra di avversari partendo da centrocampo e a segnare appoggiando la palla in rete, sempre il quella magica partita di Città del Messico. Soltanto cinque minuti dopo dal magico gol di mano.

E’ il vero campione, tutto genio, istinto, sregolatezza. Un fisico sempre al limite del peso, non pare proprio un calciatore. Ma i piedi sono violini, il cervello folle in campo diventa uno spartito perfetto capace di donare a quegli strumenti una melodia meravigliosa in cui il n. 10 è il solista, e il resto dell’orchestra suona meravigliosamente dietro al suo campione.

Diego Armando Maradona nasce a Lanus in Argentina il 30 ottobre 1960.

Famiglia povera, come tante. Un pallone e il bimbetto cicciottello dimostra subito di avere i crismi del predestinato.

Argentinos Juniors, Boca Juniors, Barcellona, poi Napoli, lo scudetto partenopeo e l’amore viscerale di una città. Poi la fuga, Siviglia e ancora in Argentina nel Newell’s Old Boys.

Ha partecipato a quattro edizioni dei mondiali: 1982, 1986, 1990 e 1994, con l’immagine devastante dello stop dell’antidoping: cocaina.

Quella maledetta “puttana” che toglie il campione ai suoi tifosi, alla sua famiglia, a se stesso e lo spinge a danzare sull’orlo del precipizio.

Maradona e le sue mille vite, le sue tante famiglie, i figli riconosciuti e non in giro per il mondo.

Maradona e le sue idee politiche, un uomo mai banale: la sua amicizia col vecchio presidente argentino Meném, un uomo di destra liberista. Ma anche il suo profondo legame con Cuba e con Fidel Castro, il profondo rispetto per Hugo Chavez, “un gigante” come lo definì lui stesso. E l’ammirazione viscerale per il “Che” Guevara, riprodotto in un gigantesco tatuaggio nel bicipite destro.

Maradona e i problemi con la giustizia, la droga, le amicizie spericolate ai tempi del Napoli con esponenti di clan camorristici, un rapporto spregiudicato con il Fisco italiano che lo tiene a tutt’oggi a debita distanza dall’Italia.

Maradona e quei suoi gol su calcio di punizione. Arcobaleni di assoluta bellezza disegnato nel cielo azzurro del Golfo di Napoli.

Maradona e le sue esperienze da allenatore, troppo forte in campo, troppo ingombrante in panchina per essere anche un vincente.

Di Diego Maradona potremmo scrivere pagine, per giorni e giorni.

Ma la musica è meglio delle parole, e la melodia di quelle due mmagini racchiude una vita.

Diego Armando Maradona, “El Pibe de Oro”.

T.R.

Maradona e i due magici gol di Argentina- Inghilterra 1986.

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