Sport e Diritti, 29^ puntata – Le avventure del gabbiano Jonathan: Ambrogio Fogar

Aveva scalato montagne nella sua vita, solcato oceani e attraversato ghiacciai. Era stato vittima di numerosi incidenti, ma nulla lo aveva mai fermato.
In una calda notte di agosto, nel 2005, è stato il cuore a fermarlo. Aveva 64 anni e dal 1992 era rimasto paralizzato a seguito di un incidente automobilistico avvenuto nel deserto del Turkmenistan, durante il raid Parigi-Mosca-Pechino, una delle sue tante sfide alla natura e ai limiti dell’uomo, così piccolo di fronte a Lei.
Lui che aveva attraversato il mondo in ogni suo angolo, era costretto ora a guardarlo attraverso una piccola finestra, bloccato in un letto, vivo soltanto grazie alle macchine attraverso le quali respirava e parlava. La beffa del destino.
Ambrogio Fogar ha soltanto 18 anni quando attraversa per due volte le Alpi con gli sci ai piedi. Poi si dedica al paracadutismo e durante un lancio resta vittima di un grave incidente, ma la vita lo attende, e si salva quasi per miracolo.
Poi è il mare a diventare il miraggio della sua vita.Viaggi e miraggi. Nel 1972 attraversa l’Atlantico in solitaria, l’anno dopo prende parte alla regata Città del Capo-Rio de Janeiro. Dal primo novembre del 1973 al 7 dicembre del 1974 la sfida lo porta a compiere il giro del mondo in barca a vela in solitaria, da Est verso Ovest, controcorrente e controvento. Come sempre.

Nel 1978 con la sua barca dal nome evocativo, “Surprise”, affronta unile sorpresa lo attende. E ha il corpo di un’orca, che si scaglia contro lo sua barca e la manda alla deriva. 74 giorni si una zattera assieme al giornalista Mauro Mancini che lo accompagnava per documentare questa straordinaria avventura. Quest’ultimo non ce la fa, Ambrogio Fogar viene tratto in salvo vivo da un mercantile greco per miracolo. Si erano nutriti di pezzi di cormorano che avevano colpito con il remo della zattera. Ancora una volta la forza della vita era stata più forte di tutto.

Ambrogio lascia il mare e torna alla montagna. Due mesi durissimi in Alaska per imparare a guidare i cani da slitta, poi l’Himalaya e la Groenlandia. La sua nuova sfida era un viaggio a piedi in solitaria al Polo Nord, assieme al suo fedele Siberian husky Armaduk. La conquista del Polo Nord, anche questa sfida incredibile per lui entra nella dimensione del possibile.

“Jonathan, dimensione avventura”, il titolo della trasmissione che per sette anni Fogar conduce su Rete4, per raccontare con immagini e parole la straordinaria bellezza del mondo.

Ma la nuova sfida si chiama Deserto. Silente, morbido, vellutato ma infido e ingannatore.

Prende parte a tre edizioni della Parigi-Dakar e ad altrettante del Rally dei Faraoni.
Il 12 settembre 1992, durante il raid Parigi-Mosca-Pechino, assieme al pilota Giacomo Vismara, la sua auto si capotta: sabbia e lacrime. Questa volta il gabbiano è spezzato.

La diagnosi è spietata per Fogar: seconda vertebra cervicale spezzata e midollo spinale tranciato. Il compagno invece è salvo. La ruota che gira, la vita che ti dà e a volte si riprende.
Ma neanche la malattia e i nuovi limiti fisici lo fermano. La mente vola più alta delle ali. Nell’estate del 1997 compie il giro d’Italia in barca a vela su una sedia a rotelle basculante, per sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti dei disabili.

E poi i suoi libri, le sue parole continuano a parlare di vita, di avventura e di natura.

«Io resisto perché spero un giorno di riprendere a camminare, di alzarmi da questo letto con le mie gambe e di guardare il cielo…».
In quella notte di agosto il Cielo, una delle sue tante sfide vinte, lo richiama a sé. Ambrogio può realizzare sogno racchiuso nelle sue parole.
Si alza da quel letto, prigione beffarda per un gabbiano meraviglioso, e vola lassù, dove il mondo sembra ancora più meraviglioso. Dove ogni sfida è realizzabile per un uomo che, con le ali e la fantasia, ha raggiunto le vette dell’inarrivabile.

TOMMASO ROSSI

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