L’ONU tuona contro il Vaticano: “Favoriti gli abusi sui minori”

ANNI DI ACCUSE CONTRO IL VATICANO PER GLI SCANDALI PEDOFILI

di avv. Tommaso Rossi

Nella foto, un'immagine shock dell'artista cubano Erik Ravello
Nella foto, un’immagine shock dell’artista cubano Erik Ravello

La commissione ONU per i diritti dei minori punta il dito in modo assai duro contro il Vaticano.

L’oggetto del “j’accuse” sono i preti pedofili e le politiche della Santa Sede che per anni hanno favorito, o quantomeno non impedito, migliaia di abusi sessuali su bambini e ragazzi da parte di preti pedofili.
L’ONU chiede anche “l’immediata rimozione” dei presunti responsabili di quegli atti, che dovrebbero essere “consegnati” alle autorità civili per essere giudicati. SI chiede poi che vengano aperti gli archivi sui pedofili e sugli uomini di chiesa che hanno coperto i loro crimini.

Il Vaticano viene sostanzialmente accusato di aver protetto i preti pedofili, violando la Convenzione ONU per i diritti dei fanciulli.

La Santa Sede, in una nota di risposta, preannuncia che sottoporrà a «minuziosi studi e esami» nel rispetto della Convenzione le accuse ricevute dall’Onu, ma al contempo si sottolinea come «alcuni punti» delle Osservazioni ricevute dall’ONU sarebbero soltanto un «tentativo di interferire nell’insegnamento della Chiesa cattolica sulla dignità della persona umana e nell’esercizio della libertà religiosa», e come tale da respingere al mittente.

Il rapporto Onu è stato redatto dopo un’indagine condotta il mese scorso con audizioni di alti esponenti della Santa Sede.

«Gli abusi sessuali dei bambini non sono “delitti contro la morale”, ma crimini», per perseguire i quali andrebbe revisionato il Codice di diritto canonico in modo da uniformarlo alla Convenzione Onu per la protezione dei bambini. Nel rapporto Onu viene anche pesantemente criticata la politica del Vaticano in tema di omosessualità, contraccezione e aborto.


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E dire che Papa Francesco ha fatto molti passi avanti per “modernizzare” la Chiesa.

Il 12 luglio 2013, con un provvedimento di Papa Francesco, la Santa Sede ha introdotto nell’ordinamento interno il reato di tortura.
Si tratta delle nuove disposizioni contenute nella lettera apostolica in forma di “motu proprio” con la quale il Santo Padre procede nella riforma del sistema penale della Santa Sede.
Dopo il grave scandalo del cosi detto “Vatileaks”, la mano del Pontefice è molto severa e ammonisce in qualche modo non solo gli ecclesiastici, ma tutto il personale anche laico alle dipendenze della sede apostolica e di tutte le organizzazioni in qualche modo collegate.
Oltre all’introduzione del reato di tortura viene anche abolita la pena dell’ergastolo, prevista sulla carta ma di fatto mai applicata. D’altra parte lo stesso papa Francesco ha affermato che “Siamo tutti peccatori. Non c’è nessun peccato per il quale non è possibile il perdono divino, anche per i non credenti”.
Ad onor del vero le nuove disposizioni vaticane proseguono un percorso già intrapreso da Papa Benedetto XVI già nel 2010. La legislazione interna risaliva addirittura al Codice Zanardelli, adottato nel 1929 in seguito alla firma dei Patti Lateranensi che istituirono la Città del Vaticano.


Tra le altre novità in tema di norme penali si ha un inasprimento delle pene per i delitti contro i minori tra i quali la vendita, la prostituzione, l’arruolamento e la violenza sessuale in loro danno; la pedopornografia; la detenzione di materiale pedopornografico; gli atti sessuali con minori.


Per la prima volta è stabilito che, nella lotta agli abusi sui minori, potranno essere perseguiti non soltanto gli officiali e dipendenti della curia romana, ma anche i nunzi apostolici e il personale di ruolo diplomatico della Santa Sede oltre che i dipendenti di organismi e istituzioni collegati alla Santa Sede e ciò indipendentemente dal fatto che si trovino o meno in territorio vaticano.

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In tema di abusi sui minori degli alti prelati, è interessante ricordare che, ad agosto 2012, negli Stati Uniti, si era chiuso con “difetto di giurisdizione”, il caso iniziato circa 10 anni fa, John V. Doe v. Holy See.

La questione era inerente alla immunità della Santa Sede rispetto agli scandali di abusi sessuali cattolici negli Stati Uniti. La questione che si era posta era la seguente: se “I Patti sull’immunità sovrana straniera” permettessero alla Santa Sede, uno stato sovrano nel diritto internazionale, di essere processata per atti posti in essere dai chierici cattolici locali. Ora, il giudice della Corte Distrettuale americana, Micheal Mosman, ha sentenziato che la Santa Sede non può essere ritenuta responsabile per i reati commessi dagli appartenenti all’ordine clericale poiché non c’è un rapporto di lavoro tra questi e la Chiesa.

Il caso – Questa vicenda iniziò nel lontano 1965, quando Padre Andrew Ronan, fu trasferito a Portland, nell’Oregon, dopo aver compiuto abusi sessuali in Irlanda. Tuttavia, il trasferimento non mise a freno la sua perversione sessuale, così, anche a Portland, abusò Jhon Doe (nome fittizio per tutelare la privacy della vittima). Jhon Doe lo denunciò, portandolo di fronte alla Corte Federale dell’Oregon. Nelle memorie depositate dalla difesa della vittima, fu evidenziata e più volte sottolineata una responsabilità della Santa Sede, in relazione agli abusi compiuti da Padre Ronan: in particolare, la negligenza dell’Archidiocesi, dell’Ordine, del Vescovo di Chicago, e della Santa Sede tutta, nel “sorvegliare” la recidività di Padre Ronan. La Santa Sede, dal canto suo, declinò ogni responsabilità, invocando l’immunità prevista dai “Foreign Sovereign Immunities Act” (I patti sull’immunità sovrana straniera).

La sentenza del giudice distrettuale – Secondo la sentenza sul caso, del giudice Michael Mosman, la Chiesa non può essere ritenuta responsabile degli abusi sessuali commessi da Padre Ronan poiché non vi è un rapporto di lavoro subordinato tra questi e la Santa Sede. Pertanto non è tenuta a rispondere né sotto il profilo penale, né sotto quello del risarcimento del danno. L’Avvocato della vittima, Jeff Anderson, ha già annunciato che appellerà la decisione. Questo caso, comunque si concluderà, costituirà una pietra miliare del diritto internazionale: l’immunità dello Stato Vaticano nei casi di abusi sessuali da parte degli appartenenti agli ordini religiosi.


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In passato, nel 2011, Papa Benedetto XVI era stato denunciato al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja per ‘crimini contro l’umanità’. L’Aja, indipendente dall’Organizzazione delle nazioni unite, è stato istituito nel 2002 per giudicare i presunti responsabili di crimini contro l’umanità e genocidi. L’esposto aveva alla base i molteplici abusi sessuali compiuti negli anni da sacerdoti pedofili ai danni di ex bambini ed ex bambine che ora, da adulti chiedono giustizia per l’orrore subito e taciuto, coperto, dalla Chiesa per troppo tempo. I querelanti hanno chiesto al Tribunale dell’Aja di indagare sul Papa e su altri tre alti esponenti della gerarchia ecclesiale: il segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone, il suo predecessore cardinale Angelo Sodano e il prefetto della Congregazione della dottrina della fede cardinale William Levada. Nella denuncia veniva chiesto di incriminare il Santo Padre per diretta e superiore responsabilità per i crimini, gli abusi, le violenze sessuali commesse ai danni di minori da parte di prelati nel mondo. Una contestazione ufficiale in piena regola che non conosce precedenti, sollevata da due organizzazioni americane in difesa delle vittime di preti pedofili. Si tratta del Centro per i Diritti Costituzionali (Center for Costitutional Right) e la SNAP (Survivor Network of those abuse by priest), i cui legali hanno presentato un dossier dettagliato di 80 pagine in cui vengono analizzati in particolare, cinque casi di abusi sessuali in Congo e negli Usa commessi da prelati provenienti da Belgio, India e Stati Uniti. L’accusa non ha, ovviamente, avuto seguito.

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