Torino Film Festival visto da noi

 LE OPERE PIU’ BELLE E PREMIATE – TORINO – di Alessandro Faralla –

  Un Torino Film Festival elettrizzante. Per le temperature, che non hanno frenato il pubblico, e per la vastità dell’offerta di film, 158 divisi tra le varie sezioni. Le impressioni migliori si sono avute da quelli che trattano storie di adolescenza con tocco leggero, divertente ed originale, e dai lavori del cinema sud-americano. Il film che ha inaugurato questa 33a edizione è stato “Suffragette”, presentato durante la bellissima cerimonia d’apertura all’Auditorium Agnelli del Lingotto. Intenso e lineare, “Suffragette” narra le vicende drammatiche e coraggiose dell’omonimo movimento inglese, donne che lottarono affinché il diritto di voto venisse loro esteso. Il plot riguarda il lavoro di delle addette a una lavanderia: soggette a turni massacranti per un paga esigua, operano in modo pericoloso e logorante; ma segretamente, sono protagoniste di azione sovversive, di moderni flash mob per manifestare contro la negazione di un diritto universale. Le rivendicazioni pacifiche non hanno effetto sui vertici di uno Stato sempre più ottuso e brutale nel reprimere le loro voci, e così questo primissimo movimento di emancipazione femminile diventa ancora più audace nell’attuare la propria “crociata”. Protagoniste non solo donne lavoratrici, ma anche colte e benestanti, come la storica leader delle suffragette Emmeline Pankhurst, interpretata da una solidissima Meryl Streep. Donne disposte a mettersi in gioco anche a discapito del lavoro stesso e dei rapporti familiari. Lo fa Moud, il personaggio principale, per troppo tempo spettatrice consapevole di un sistema che avvilisce lei e le altre non riconoscendone il valore. Non avendo molte alternative di fronte al muro della Camera dei Comuni, le suffragette mutano il loro atteggiamento, diventano sempre più radicali, attingendo persino alla violenza per innescare il cambiamento. Nel 1918 il parlamento del Regno Unito approvò la proposta del diritto di voto politico limitato alle mogli over 30 dei capifamiglia. Poi, con la legge del 2 luglio 1928, il suffragio fu esteso a tutte. Attraverso il personaggio di Moud, impersonato da Carey Mulligan, traspare al tempo stesso la sofferenza e la dignità di queste “eroine”, in prima linea per ottenere una libertà sociale e politica. Nel film questo aspetto è reso bene dalla motivazione di fondo delle loro gesta: non tanto una rivendicazione di genere, quanto la volontà di vedere riconosciuta l’essenza di essere riconosciute come persone al pari degli uomini.

La sceneggiatrice Aby Morgan ha dichiarato che la decisione di fare un film sulle donne è nata dall’idea di dar spazio a storie che spesso un certo cinema pensa “non meritino di essere raccontate”. Il personaggio Moud? E’ stato inventato “sia per indagare le motivazioni della lotta di quelle donne sia perché fosse di ispirazione, crediamo infatti che ci siano molti punti di contatto con il presente”. La regista Sarah Gravon ha ricordato come ci siano ancora 62 milioni di persone che non hanno diritto all’istruzione e si è detta contenta della reazione al film da parte delle giovani donne. Ha sottolineato inoltre come sia stato importante e gratificante essere riusciti a girare delle scene all’interno della Camera dei Comuni. La Morgan ha poi evidenziato come occorra insistere sull’importanza della parità, assumere una posizione radicale basata sulla complicità delle donne. “Suffragette” uscirà in Italia a marzo distribuito da Bim.

Venendo al cinema italiano ci è piaciuto “La Felicità è un sistema complesso” (già nelle sale), inserito nelle sezione Festa Mobile, anche perché il suo attore principale, Valerio Mastandrea ha fatto parte della giuria per il Concorso Ufficiale.

Il film, di Gianni Zanasi, è incentrato sulla vita di Enrico Giusti, che per motivi professionali impatta in manager del tutto inadeguati, tali da spingere ciclicamente di stroncare le imprese che gestiscono. Lui non li evita, al contrario riesce a farseli amici, fino a convincerli a togliersi di mezzo, evitando così il definitivo flop economico delle aziende, la loro chiusura, il dramma di migliaia di disoccupati. E’ l’impresa personale più originale e utile in cui Enrico potesse lanciarsi, e la porta a compimento senza fallire mai.

Enrico, interpretato appunto da Mastandrea, è il meccanismo di un sistema, quello attuale, che non tiene conto di emozioni e valutazioni se non legate alle logiche del mercato capitalista. È consapevole del suo ruolo, ma al tempo stesso attivamente attento ai diritti delle persone. Eppure tutto viene stravolto – o forse è solo il quadro a cui Enrico ha sempre segretamente aspirato – quando si trova a dover lavorare con due giovani che hanno ereditato l’azienda di famiglia. Inoltre, una misteriosa ragazza, “mollata” dal fratello di Enrico, lo rende ancora “più nudo”, lo riporta verso un’esistenza vera e piena, in tutti i suoi aspetti. 

Il film di Zanasi, che tra i protagonisti vede anche Giuseppe Battiston, è una riflessione leggera sul tema del lavoro, riflette di certe dinamiche sociali, dà l’immagine di una natura umana che rivendica l’integrità dell’essere diversi rispetto a un sistema che vuole che le cose vadano forzatamente in un certo modo. Abbiamo chiesto a Valerio Mastandrea, convincente nelle vesti di manager atipico, una battuta sul film: “È l’espressione di come il cinema possa raccontare la realtà inventando personaggi o lavori che non esistono ma che possiedono un significato molto più grande e profondo della storia vista sullo schermo”.

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Vince “Keeper”, tra i premiati “La Patota” e “Sopladora”

 

A vincere “Torino33” è stato “Keeper” di Guillaume Senez, al suo primo lungometraggio. Protagonisti due adolescenti innamorati, Maxime e Melanie, che iniziano a scoprire la loro intimità finché lei non rimane incinta cambiando la prospettiva delle loro vite. Conflitti generazionali, stabilità fugaci, evoluzione dei personaggi sono espressi attraverso una storia tenera, non sdolcinata, completa, dove l’assunzione di responsabilità, la maturità delle persone non è certo una questione di età. Premio meritato, tra i film in concorso il più convincente per trama e sceneggiatura.

Riconoscimenti dovuti anche per “La Patota” e “Sopladora de Hojas”, due film sudamericani. Il primo, regia dell’argentino Santiago Mitre (al suo secondo lungometraggio) vince il premio speciale della giuria e il premio di miglior attrice che va a Dolores Fonzi, interprete di Paolina. Nel film il tema della violenza di genere è raccontato con un’emotività umana che trascende il dramma. La violazione del proprio corpo, dell’identità di donna e di persona, non lascia spazio alla vendetta, in nome di un messaggio umano più profondo. Al messicano “Sopladora de Hojas” di Alejandro Iglesias Mendizábal il premio ex-aequo per la miglior sceneggiatura assieme a “A simple goodbye”. Tre adolescenti che sembrano una cosa sola. La ricerca di un mazzo di chiavi perduto prima di andare al funerale di un loro amico diventa l’occasione di un confronto sincero e intimo della vita dei tre. In una lunga, curiosa e divertente giornata capiranno molto di sé e delle loro esistenze.

(tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)

 
 

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