Protesi mammarie difettose: condanna per il fondatore della società Pip

IL TRIBUNALE DI MARSIGLIA HA CONDANNATO IN PRIMO GRADO JEAN CLAUDE MAS, FONDATORE DELLA SOCIETA’ POLY IMPLANT PROTHESE E 4 EX DIRIGENTI DELL’AZIENDA

 di Avv. Valentina Copparoni (Studio Legale associato Rossi-Papa-Copparoni di Ancona)

protesi_pip15 dicembre 2013- E’ di qualche giorno fa la notizia della condanna in primo grado inflitta dal tribunale di Marsiglia a Jean Claude Mas, fondatore e proprietario della società Pip (Poly implant prothese) che per anni ha messo in commercio protesi per il seno risultate difettose.
Quattro anni di reclusione per truffa aggravata e 75 mila euro di multa per Mas mentre altri quattro ex dirigenti dell’azienda sono stati condannati a pene che vanno dai 18 mesi ai 3 anni di reclusione, seppur sospesi per l’applicazione della sospensione condizionale.
Il procuratore Jacques Dallest aveva chiesto per Mas
100 mila euro a titolo di risarcimento di danni, l’interdizione definitiva dalla professione e quattro anni di carcere mentre pene da due a quattro anni erano per gli altri ex alti dirigenti, il direttore del controllo qualità Hannelore Font, il direttore della produzione Loic Gossart e il direttore della ricerca Thierry Brinon. Per l’ex amministratore delegato Claude Couty erano, invece, stati chiesti quattro anni di reclusione, di cui due con la condizionale, e una multa da 50 mila euro.
La sentenza conclude il primo grado di un processo molto complesso in cui sono state sentite come testimoni 400 donne che si erano sottoposte all’impianto di protesi Pip, sono stati coinvolti circa 300 avvocati e 7.400 parti civili, tra cui l’Agenzia francese dei prodotti per la salute e l’organismo certificatore tedesco Tüv Rheinland.
Al fine di ottenere i risarcimenti dei danni, le vittime, consapevoli dell’impossibilità di provvedervi della società (liquidata e chiusa nel 2010 dopo 19 anni di attività) e dei dirigenti, hanno chiamato in causa l’organismo certificatore tedesco Tüv Rheinland che aveva garantito la qualità dei prodotti e dei processi di fabbricazione. Nello specifico 1600 donne hanno chiesto un risarcimento di 16 mila ciascuna, mentre sei distributori delle protesi hanno chiesto un risarcimento complessivo di 28 milioni di euro. Il tribunale per il commercio di Tolone ha intanto condannato l’organismo a risarcire ogni vittima con una sorta di provvisionale di 3 mila euro, fermo restando gli esiti dei perizie specifiche individuale sui danni riportati da ognuna.

La vicenda delle protesi difettosi era scoppiata nel 2010 creando panico in tutto il mondo . Le protesi della Poly implant prothese erano risultate infatti soggette ad un tasso di rottura (con fuoriuscita del liquido interno) doppio rispetto agli altri marchi e per questo erano state tolte dal mercato con la raccomandazione delle autorità francesi di rimuoverle. Un’inchiesta delle autorità sanitarie francesi, in particolare avevano accertato che le protesi erano contenute in involucri di pessimi qualità e che il loro processo di fabbricazione era inadeguato. L’aspetto più grave, per la salute delle donne, era che il gel sostituito al silicono come contenuto delle protesi era di provenienza non rintracciabile.
A quanto risulta dall’ultimo bilancio disponibile in Francia, su 30 mila donne oltre 17 milla si sono sottoposte alla rimozione delle protesi ed almeno il 25% di esse è risultato difettoso.

Secondo il tribunale di Marsiglia che ha condannato Mas, questo avrebbe truffato per anni le pazienti, sostituendo il silicone utilizzato a fini medici con un gel di tipo industriale. Il fondatore della Pip ha ammesso lo scambio, sostenendo però che tale sostituzione non avrebbe rappresentato un pericolo per la salute.

In Italia è del giugno dell’anno scorso la notizia che la Procura di Milano ha aperto un’indagine a carico di ignoti relativamente alle protesi al seno Pip importate in Italia dalla Francia e impiantate in molte strutture sanitarie sia pubbliche che private. Ben 30mila le donne che hanno fatto ricorso alla chirurgia estetica e che dovranno rimuovere queste coppe di silicone ritenute cancerogene. Il Pubblico Ministero Nicola Belice, in seguito ad un esposto del Codacons inviato alle Procure di tutta Italia, ha ipotizzato l’accusa di frode in commercio. Tale reato tutela il bene giuridico della correttezza degli scambi commerciali, è procedibile d’ufficio ed è previsto dall’art. 515 del nostro codice penale che punisce chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita. La pena, se il fatto non costituisce più grave reato, è punito con la reclusione fino a 2 anni o la multa fino a 2065 euro. Qualora poi si tratti di oggetti preziosi, la pena è aumentata (fino a 3 anni o multa non inferiore a 103 euro).
Sulla scrivania del PM di Milano sono arrivate anche le denunce di tre donne dalle quali sono scaturiti altri fascicoli di indagine.
Tutte e tre le donne si erano sottoposte all’intervento per l’impianto di queste protesi e ne hanno chiesto la rimozione, ma una sola di queste ha avuto dei problemi a riguardo.
In Italia sono circa 4.500 le donne che hanno pagato circa 3.500 euro per l’impianto delle protesi Pip. La rimozione costerà al servizio pubblico circa 15milioni di euro, ma si tratta di una cifra provvisoria poiché non tutte dovranno essere rioperate. Ogni Regione dovrà provvedere ad individuare dei centri dove consentire alle donne di essere visitate, se i medici costateranno che le protesi possono avere effetti nocivi sulla salute delle pazienti proporrà loro l’intervento per la sostituzione.

 

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