Processo “Cosa mia”: le motivazioni della sentenza non arrivano e i mafiosi tornano liberi

PROVIAMO A CAPIRE PERCHÉ

Di Dott.ssa Alice Caporaletti

Di inadempienze giudiziarie a volte se ne sente parlare.

Di recente, però, la più clamorosa riguarda senza dubbio il processo “Cosa Mia”, nato nel 2010 da un’indagine della procura di Reggio Calabria svolta sulle famiglie della piana di Gioia Tauro, protagoniste di una sanguinosa guerra di mafia negli anni 80-90, con 52 omicidi consumati e altri 34 tentati.

L’operazione «Cosa Mia» ha svelato lo strapotere delle cosche della Piana di Gioia Tauro sui lavori di ammodernamento dell’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria (con una tangente del 3% imposta alle imprese sotto la voce “tassa ambientale” o “costo sicurezza”) e ha fatto luce sulla sanguinosa faida tra i clan di Palmi e Seminara.

Si apre il processo, mobilitando i reparti speciali per la delicatezza e la pericolosità della materia, e nel 2013 arrivano 42 condanne per complessivi 300 anni di carcere. Il verdetto viene poi sostanzialmente riconfermato in appello, a luglio 2015.

Restava da celebrare il terzo grado, ma considerato che la durata massima della custodia cautelare è di sei anni e i boss erano finiti in manette nel giugno 2010, i magistrati avrebbero dovuto scrivere i motivi del verdetto e metterli a disposizione delle parti entro 90 giorni.

Ai difensori la legge concede 45 giorni per presentare un eventuale ricorso ai supremi giudici Cassazione. Agli ermellini sarebbero quindi rimasti sei mesi per decidere una conferma o un annullamento; se solo avessero ricevuto i documenti necessari. Il giudice estensore aveva chiesto una proroga, che è una prassi nei processi particolarmente complessi e con un elevato numero di imputati, di tre mesi.

Ma non sono bastati.

Infatti i termini sono ormai scaduti senza che alla Suprema Corte siano neanche arrivate le carte, ferme in Corte d’Assise a Reggio Calabria perché il giudice non ha depositato le motivazioni.

Dopo undici mesi.

Il risultato: tre imputati con doppia condanna per associazione mafiosa sono liberi. I tre scarcerati sono tutti ritenuti affiliati al clan Gallico. Salvatore Morgante in primo grado era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Antonio Surace (assolto poi da questa accusa in appello gli sono stati inflitti 16 anni di carcere), Antonino Ciappina (condannato a 11 anni) è considerato uomo di fiducia del boss Rocco Gallico, e infine Maria Carmela Surace (condannata a 12 anni e 3 mesi) moglie dell’ergastolano Giuseppe Gallico e ritenuta membro della cosca palmese. 

Altri dieci erano già usciti sempre per scadenza dei termini della custodia cautelare. 

Il ministro della Giustizia Andrea Orlando, alla luce di quanto gravemente accaduto, ha chiesto agli ispettori del ministero di acquisire le notizie in merito a questa vicenda e di verificare la veridicità di quelle notizie riportate, ed eventualmente assumere le conseguenti iniziative del caso.

Sulla vicenda interviene anche la Commissione parlamentare Antimafia, che chiede di “fare luce” sulla scarcerazione di tre condannati.

Solo poche settimane prima la Commissione aveva approvato una dettagliata relazione sulla situazione degli uffici giudiziari della Calabria nella quale denunciavamo le carenze di organico e il drammatico arretrato accumulato nelle sedi di Reggio Calabria e Catanzaro. La Commissione parlamentare ha pertanto rinnovato l’appello al governo affinché intervenga in modo da assicurare efficienza ed efficacia dell’azione giudiziaria. Al tempo stesso, la Commissione antimafia ha chiesto di fare specifica chiarezza sul caso specifico, per capire come sia stato possibile un ritardo davvero clamoroso nel deposito delle motivazioni di una sentenza di condanna così importante, poiché nei confronti di molti pericolosi ‘ndranghetisti della piana di Gioia Tauro, ora tornati liberi per decorrenza dei termini.

Il giudice estensore Stefania di Rienzo, dal canto suo, ha comunicato che il 29 giugno saranno depositate le tanto attese motivazioni, con una nota inviata al presidente della Corte d’Appello Luciano Gerardis, il quale ha spiegato di aver concordato quel periodo di ferie proprio per potere completare la redazione della sentenza.

Quest’ultimo non ha nascosto i ritardi ma li ha giustificati con le condizioni di lavoro di grandissima difficoltà generali in cui vive la Corte medesima.

Il presidente Gerardis ha infine precisato che le tre persone scarcerate sono state assolte in appello dai reati fine, omicidio ed estorsione aggravata, ciò comportando una riduzione notevole i tempi massimi della durata della custodia.

Non resta che aspettare il 29 Giugno.

 

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