Papa Francesco: ‘ergastolo, una pena di morte nascosta’

LE DURE PAROLE DI PAPA BERGOGLIO PER UNA PENA RIEDUCATIVA CONTRO IL CARCERE A VITA

di avv. Tommaso Rossi e avv. Valentina Copparoni (Studio Legale Associato Rossi-Papa-Copparoni)  e la collaborazione di Eleonora Dottori (Giornalista).

imagesAbolire la «pena di morte, legale o illegale che sia e migliorare le condizioni carcerarie nel rispetto della dignità umana». Le parole di Papa Francesco rintoccano gravi come campane a morto su un cielo plumbeo: «l’ergastolo è una pena di morte nascosta». Il cielo nero in cui si stagliano le parole del Papa è quello del sistema carcere. Della pena vista come emenda del reo e non rieducazione. Della negazione della dignità umana anche al peggiore dei colpevoli. La denuncia Bergoglio l’ha fatta nel suo discorso all’Associazione Internazionale di Diritto Penale. «Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà – ha inoltre aggiunto – sono chiamati oggi a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con l’ergastolo» e specificando che, infatti, «da poco tempo, nel Codice penale del Vaticano, non c’è più, l’ergastolo».
Ma non si è fermato qui, il Bergoglio politico e giurista: «La carcerazione preventiva, quando in forma abusiva procura un anticipo della pena, previa alla condanna, o come misura che si applica di fronte al sospetto più o meno fondato di un delitto commesso, costituisce un’altra forma contemporanea di pena illecita occulta, al di là di una patina di legalità».
Capita di rado sentir politici che dicano le cose con tale forza e chiarezza. «Questa situazione è particolarmente grave in alcuni Paesi e regioni del mondo, dove il numero dei detenuti senza condanna supera il 50% del totale – ha ricordato Papa Francesco – Questo fenomeno contribuisce al deterioramento ancora maggiore delle condizioni detentive, situazione che la costruzione di nuove carceri non riesce mai a risolvere, dal momento che ogni nuovo carcere esaurisce la sua capienza già prima di essere inaugurato. Inoltre è causa di un uso indebito di stazioni di polizia e militari come luoghi di detenzione». «Il problema dei detenuti senza condanna va affrontato con la debita cautela – ha aggiunto dal momento che si corre il rischio di creare un altro problema tanto grave quanto il primo se non peggiore: quello dei reclusi senza giudizio, condannati senza che si rispettino le regole del processo». E ancora: «Una forma di tortura è a volte quella che si applica mediante la reclusione in carceri di massima sicurezza».Questo perché, «con il motivo di offrire una maggiore sicurezza alla società o un trattamento speciale per certe categorie di detenuti la loro principale caratteristica non è altro che l’isolamento esterno. Come dimostrano gli studi realizzati da diversi organismi di difesa dei diritti umani, la mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicazione e la mancanza di contatti con altri esseri umani, provocano sofferenze psichiche e fisiche come la paranoia, l’ansietà, la depressione e la perdita di peso e incrementano sensibilmente la tendenza al suicidio».
MA non si è fermato qui, il Papa, pensando soprattutto a Paesi meno civilizzati: «Gli Stati devono astenersi dal castigare penalmente i bambini, che ancora non hanno completato il loro sviluppo verso la maturità e per tale motivo non possono essere imputabili». Secondo il Santo Padre, «essi invece devono essere i destinatari di tutti i privilegi che lo Stato è in grado di offrire, tanto per quanto riguarda politiche di inclusione quanto per pratiche orientate a far crescere in loro il rispetto per la vita e per i diritti degli altri».

La funzione della pena. La pena ha una funzione diversa in ogni ordinamento penale: nel nostro sistema italiano risocializzativa, ma al tempo stesso in parte di difesa sociale. L’ergastolo, così come in modo più estremo la pena capitale, è la totale rinuncia alla risocializzazione in favore di una difesa sociale che si ritiene di non poter esercitare diversamente e di una vendetta del sistema contro chi lo ha infranto.

Finalità rieducativa della pena, c’è scritto nell’art. 27 della nostra Costituzione.

La Legge di ordinamento penitenziario del 1975, successivamente più volte attualizzata in ossequio a questi princìpi (dalla legge Gozzini e dalla Legge Simeone), prevede tutta una serie di misure in carcere (a partire dalla possibilità per il condannato di accedere al lavoro, ad attività sportive, ricreative e culturali organizzate all’interno del carcere anche con l’intervento di enti o associazioni “esterne”) e fuori dal carcere (dai permessi premio, al lavoro all’esterno, alle misure alternative alla detenzione che dovrebbero favorire il pieno recupero del condannato).
Spesso, però, la finalità rieducativa della pena- che dovrebbe fondarsi su un’offerta formativa, culturale, di studio e di lavoro, per mostrare che “un altro modo di vivere è possibile”- è soltanto lettera morta. Morta perché non ci sono soldi per attivare corsi di studio, di lingua per gli stranieri, di formazione professionale. Non ci sono strutture. Non c’è lavoro poi per chi esce, perché ci si scontra con l’ignoranza e i pregiudizi del mondo fuori. Morta perché spesso le condanne vengono eseguite molti, troppi, anni dopo dalla commissione del reato. Che senso ha punire un uomo 10, 15, 20 anni dopo. Un uomo a cui lo Stato fin lì a dato modo di pentirsi, di cambiare, di fare una famiglia, di diventare insomma un altro uomo.

 Ma non è tutto nero, ciò che avviene in quel mondo troppo spesso in ombra per ignoranza, e a volte colpevole disinteresse.

La cultura dentro il carcere come strumento di rinascita. Un paio d’anni fa i fratelli Taviani , con il film “Cesare deve morire” (https://www.fattodiritto.it/cesare-deve-moriresuccesso-ai-david-per-i-fratelli-taviani/) hanno posto agli occhi del mondo un importante riconoscimento  di quel lungo e tortuoso percorso di valorizzazione della Cultura come strumento di rinascita e reinserimento sociale per chi si trova a vivere l’esperienza del carcere.

I protagonisti del film-documentario, infatti, sono i detenuti della sezione di massima sicurezza del carcere romano di Rebibbia ove viene rappresentato il Giulio Cesare di Shakespeare. La realtà del teatro all’interno delle carceri è sempre più presente, è sempre più vissuta come uno strumento di liberazione interiore per chi non ha la libertà fisica e cerca, attraverso i ruoli rappresentati sul palcoscenico, di recuperare coscienza di se stessi dopo una piena presa di coscienza dei proprio errori.
Si moltiplicano le Compagnie teatrali in tutto il territorio nazionale che coinvolgono detenuti e con loro anche il mondo esterno spesso chiamato ad essere il pubblico e gli applausi delle rappresentazioni. Una sorta di “ponte” tra il dentro ed il fuori che proprio attraverso il teatro e quindi la Cultura avvicina l’esterno, spesso diffidente o semplicemente disinteressato, al pianeta carcere e allo stesso tempo però RIavvicina i detenuti a quella società in cui si preparano a reinserirsi dopo l’espiazione della pena.

Tra queste esperienze abbiamo avuto modo di conoscere- in un Convegno dal Titolo “Carcere e Diritti-Voci di un mondo silenzioso, promosso e organizzato da chi scrive insieme all’avv. Copparoni nel 2012)- quella del Teatro Aenigma dell’Università di Urbino fondato nel 1990 dal regista Vito Minoia,  Presidente del Coordinamento nazionale teatro in carcere e coautore insieme a Emilio Pozzi del testo “Recito dunque so(g)no. Teatro carcere 2009”in cui si riversano proprio le molteplici testimonianze dei laboratori teatrali all’interno degli istituti penitenziari italiani.

L’esperienza del Teatro Aenigma e dei laboratori teatrali all’interno delle carceri si concentrata in particolare presso la Casa Circondariale di Pesaro sin dal 2002 e dal 2004 anche presso quella di Ancona ove è stata anche avviata anche una vera e propria sperimentazione teatrale-pedagogica in collaborazione con la Fondazione del Teatro delle Muse di Ancona.

Un’esperienza, quella dei laboratori teatrali nelle carceri marchigiane, che non rimane però chiusa all’interno delle mura ma si apre all’esterno coinvolgendo ad esempio associazioni di volontariato, scuole, università e varie istituzioni presenti sul territorio oltre che il pubblico (in Ancona dal 2008 gli spettacoli sono aperti al pubblico esterno e a Pesaro sono stati anche portati al di fuori).

Il grande lavoro di questi laboratori ha ottenuto anche importanti riconoscimenti. Il testo conclusivo dell’opera “Oh, bellissimo sole” realizzato con un gruppo di detenuti e detenute presso l’istituto penitenziario di Villa Fastigi (PU) è divenuto anche un dvd dell’autore Maria Celeste Taliani. Vito Minoia e Peter Kammerer, docente di sociologia, guidano i detenuti nella lettura e reinterpretazione delle “Lettere dal Carcere” di Antonio Gramsci che diventano anche un modo per portare in scena le personali esperienze e affrontare quel duro lavoro di presa di coscienza e consapevolezza della propria vita prima, durante e dopo il carcere. L’opera ha ottenuto il premio nazionale letterario Gramsci nel gennaio 2011 ad Ales (Oristano), città natale dell’intellettuale sardo.

Ancora una volta il teatro è diventato per i detenuti-attori uno strumento di liberazione interiore, di ri-costruzione del proprio io che non vuole e non può rimanere chiuso, come il corpo, dentro una cella. Perché con l’immaginazione non si hanno mura, orari, limiti, regole. Perchè con l’immaginazione si può vivere la vita che si vorrebbe, si può sognare il futuro dopo la detenzione, ci si può sentire meno soli.

Certamente chi ha commesso degli errori, a volte anche molto gravi, non può che trovarsi ad espiare la giusta pena. Ma questo non può e non deve significare che con la loro libertà debbano essere anche limitati i diritti ed uno di questi è il diritto alla CULTURA che può diventare il mezzo per “costruire” nuove persone pronte a reinserirsi all’interno della società con un bagaglio certo pesante sulle spalle che però il teatro può aiutare a non far diventare una zavorra.

Morti in carcere: il 2011 si è chiuso con dati allarmanti e il 2012 non è certo iniziato sotto i migliori auspici. Ma perché i detenuti compiono questi gesti estremi?

In effetti il tasso di suicidio in carcere è molto elevato. E’ un fenomeno che purtroppo coinvolge anche la polizia penitenziaria, ed anche questo è un particolare da tenere in considerazione per tentare di fornire delle spiegazioni. Il primo elemento rilevante è senz’altro l’affollamento. Gli istituti penitenziari sono di per sé luoghi nei quali si è costretti ad una convivenza forzata in spazi ristretti e tale condizione può risultare insostenibile. La situazione si aggrava, naturalmente, considerando che molte carceri italiane debbono custodire più del doppio delle persone per cui sono state progettate, Il tasso medio di sovraffollamento è del 150%, ma si tratta di una media:alcuni penitenziari, in realtà, sono molto più affollati della media (fin oltre il 250%), a fronte di altri dove invece questo problema è meno sentito per motivi strutturali (come ad esempio l’impossibilità di aggiungere letti nelle celle o ristrutturazioni in corso); per motivi giuridici (come la presenza di detenuti cosiddetti 41 bis, cioè necessariamente in isolamento); e ancora per ragioni territoriali (in alcune regioni ci sono pochi detenuti). Questo incide anche sulla possibilità di realizzare all’interno le attività previste dal nostro ordinamento, compreso il lavoro (non va dimenticato che ex art. 27 della Costituzione la pena ha una finalità principalmente “rieducativa”). Contemporaneamente gli agenti che si occupano della sicurezza (anche della sicurezza dei reclusi) sono sotto organico rispetto alle dotazioni ordinarie. Va poi considerato che vi è una presenza rilevante di persone con malattie fisiche o psichiche più o meno riconosciute: un buon 40% dei reclusi sono persone immigrate, e altrettanti sono i tossicodipendenti. Specie questi ultimi vivono problematiche spesso incompatibili con la reclusione. Anche la scarsità di risorse destinate al sostegno psicologico contribuisce, credo, ad aggravare la situazione. Vengono consumate elevate quantità di farmaci, specie antidolorifici, per ottenere effetti sedativi. Gli agenti di polizia penitenziaria imputano alcuni suicidi a errori fatali, in quanto il gas, i farmaci, i sacchetti sono talvolta utilizzati dai reclusi per ottenere qualche momento di “sballo”.

In un’inchiesta pubblicata nel 2012 da Fatto&Diritto sulla realtà carceraria italiana si è parlato di amnistia, indulto, ma anche di depenalizzazione di reati minori o punizione soltanto con sanzioni sostitutive e di investimenti strutturali di edilizia carceraria e si domandava a Samuele Animali, presidente di Antigone Marche, se questo avrebbe fermato la strage.

“”Non credo che l’edilizia carceraria sia una soluzione ragionevole al problema dell’affollamento. In Italia vi è un gran numero di strutture carcerarie chiuse, o sotto-utilizzate, o non terminate; per problemi burocratici, tecnici, strutturali o anche semplicemente per carenza di personale. In un momento in cui le ricorse destinate al sistema carcere sono insufficienti e in ulteriore diminuzione. Si dovrebbe, quantomeno per coerenza, effettuare delle scelte volte a diminuire il ricorso alla pena della reclusione già a livello di codice penale, con un’ampia depenalizzazione dei reati minori o comunque che generano meno allarme sociale, un minore ricorso alla detenzione preventiva ed un maggiore ricorso a forme di sanzione penale alternative là dove possono essere adeguate (la detenzione domiciliare, ma anche pene pecuniarie, lavori socialmente utili, sanzioni a carattere interdittivo). Bisognerebbe inoltre far fuoriuscire dal sistema penale tutte quelle persone che vi entrano principalmente per motivi di clandestinità, di tossicodipendenza, di disagio psichico. I veri investimenti strutturali nel carcere sono quelli che riguardano il trattamento, che richiede spazi, personale adeguatamente formato, supporto di esperti, misure che agevolano il reinserimento sociale, sensibilizzazione del territorio. Va anche considerato che il carcere non è che l’ultimo elemento di un meccanismo che non funziona nel suo complesso: processi troppo lunghi riempiono il carcere di persone tecnicamente innocenti perché ancora in attesa di una condanna definitiva, oppure di persone che si vedono andare in esecuzione la pena a molti anni di distanza dal delitto che hanno commesso, vanificando del tutto la funzione della pena quando non anche determinando effetti controproducenti. Occorrerebbe dunque anche una riforma del codice di procedura abbinata ad una progressiva ri-funzionalizzazione dell’intera macchina della giustizia. In questo quadro misure quali l’amnistia e l’indulto mi sembrano importanti per evitare l’ulteriore degenerare della situazione ed indispensabili per poter impostare un più sistematico intervento sull’intero sistema“”.

Perché siamo arrivati a questo punto?

“”A mio credere (prosegue Animali) una precisa responsabilità va imputata ad una ideologia della “sicurezza” che ha grossa presa sull’opinione pubblica ed è stata ampiamente utilizzata dalla politica (senza sostanziali distinzioni di campo, con alcune lodevoli eccezioni…) e coltivata dai media. Su questo si innesta un consapevole uso del carcere quale discarica sociale, un uso che non richiede gli investimenti che invece sarebbero necessari per attuare politiche carcerarie più in linea con quanto previsto dalla Costituzione e dalle norme europee ed internazionali, volte al recupero delle persone che entrano nel circuito penale e comunque al rispetto della loro dignità come condizione imprescindibile della possibilità di una privazione della libertà personale. Di fatto il carcere non ha mai rappresentato una “priorità”, ed è difficile, e forse addirittura scarsamente tollerabile in alcuni settori della pubblica opinione, che lo diventi ora, in una fase di acuta crisi economica“”.

Da allora qualcosa è cambiato, numerosi sono stati gli interventi della politica sul sistema carcerario, primo tra tutto il cd. decreto “svuotacarceri”. Non la panacea di ogni male, ma certamente un progressivo e importante passo verso la considerazione del carcere come extrema ratio.

Diamo un’occhiata ai dati. 

Se, come diceva Gandhi, “il livello di civiltà di un popolo si misura dal rispetto che esso nutre per gli animali” figuriamoci quanto conta rispettare gli esseri umani.
Cominciamo allora a conoscere tecnicamente questo mondo, dall’esterno, come silenziosi osservatori.
Nel nostro Paese esistono quattro diverse categorie di carceri: case di reclusione dove si trovano i detenuti definitivi o con più di 5 anni di condanna, le case circondariali, che accolgono i detenuti in attesa di giudizio, gli istituti per le misure di sicurezza (come gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari) e le case mandamentali, strutture più piccole che ospitano persone con un basso tasso di pericolosità. Nel nostro Paese gli istituti di questo tipo sono 231. (Fonti: dati ufficiali del Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, servizio per l’informatica e la statistica http://www.segretariatosociale.rai.it/atelier/forum/carcere.html#Anchor-Le-47857).

Secondo i dati del Ministero della Giustizia, a fine 2010, il numero totale dei detenuti presenti nelle “patrie galere” era pari a 67.961 soggetti. La capienza regolamentare complessiva sarebbe pari a 45.022 condannati, ma si calcola che, al momento dell’ultima rilevazione effettuata, le presenze siano 22.939 in più rispetto a quelle stimate. E cioè in media, 151 persone devono dividersi lo spazio previsto per 100.

Uno studio condotto dall’associazione “Ristretti Orizzonti” ha evidenziato una stretta relazione tra il tasso di sovraffollamento e il numero delle persone che si sono tolte la vita in carcere. Il picco massimo dei suicidi si è raggiunto nel 2009 quando, su un totale di 177 detenuti deceduti, 72 persone hanno volontariamente deciso di togliersi la vita. Nel 2009 in Italia tra i reati più diffusi figurano i furti, che da soli rappresentano oltre la metà dei reati, seguire i danneggiamenti, le truffe e le frodi informatiche e le minacce. I reati per associazione di tipo mafioso sono stati 131, l’omicidio preterintenzionale ha fatto registrare 36 casi, 23 per quelli per strage e 4 per infanticidio, questi quattro gruppi rappresentano, ciascuno, meno dello 0,01% del totale dei reati.

Anni

Suicidi

Totale morti

2000 61 165
2001 69 177
2002 52 160
2003 56 157
2004 52 156
2005 57 172
2006 50 134
2007 45 123
2008 46 142
2009 72 177
2010 66 184
2011 66 186
2012 60 154
2013 49 153

2014*  

37 115
Totale 838 2.353

 

Per concludere un cenno alle dimensioni del fenomeno in Europa. Gli ultimi dati disponibili sono relativi al 2004: in Italia il tasso di suicidio tra i detenuti è meno della metà rispetto a quello della Francia (9,3/10.000 contro 20,04/10.000, mentre in Danimarca è del 18,6/10.000, in Portogallo del 16,2/10.000, in Germania del 10,2/10.000, e in Spagna dell’8,1/10.000.

Ecco l’analisi di un anno campione in Italia.  Anno 2011 – Totale delle morti in carcere: 186
– per suicidio: 66
– per cause da accertare: 23 (in corso indagini giudiziarie)
– per cause naturali: 96
– per omicidio: 1
Età media dei detenuti morti: 39,3
Età media dei detenuti suicidi: 37,8
Suicidi:
– italiani: 45
– stranieri: 21
– uomini: 64
– donne: 2
Metodo utilizzato:
– impiccagione: 44
– inalazione gas: 12 (da bomboletta butano)
– avvelenamento: 6 (con farmaci, droghe, detersivi, etc.)
– soffocamento: 4 (con sacco infilato in testa, etc.)
Condizione detentiva:
– sezione “comune”: 46
– sezione “internati”: 10 (Opg 9, Casa di Lavoro 1)
– sezione “isolamento”: 4 (Isolati per disposizione dell’A.G.)
– sezione “protetti”: 3
– sezione “infermeria”: 2
– sezione “alta sicurezza”: 1
Posizione giuridica:
– condannati con sentenza definitiva: 28
– attesa di primo giudizio: 27
– condannati in primo grado: 3
– misura di sicurezza detentiva: 8
Istituti Penitenziari: numero suicidi, numero medio detenuti nell’anno e tasso affollamento
Torino: 4 suicidi, (1.650 presenti, 146% affollamento)
Padova C.R.: 3 suicidi, (840 presenti, 184% affollamento)
Genova Marassi: 3 suicidi, (760 presenti, 170% affollamento)
Bologna: 2 suicidi, (1.150 presenti, 220% affollamento)
Cagliari: 2 suicidi, (540 presenti, 157% affollamento)
Castrovillari (Cs): 2 suicidi, (285 presenti, 217% affollamento)
Livorno: 2 suicidi, (500 presenti, 175% affollamento)
Opg Aversa (Ce): 2 suicidi, (350 presenti, 135% affollamento)
Opg Barcellona P.G. (Me): 2 suicidi, ( 350 presenti, 80% affollamento)
Perugia: 2 suicidi, (370 presenti 165% affollamento)
Poggioreale (Na): 2 suicidi, (2.600 presenti, 160% affollamento)
In altri 40 Istituti: 1 suicidio ciascuno
Relazione tra frequenza dei suicidi e tasso di sovraffollamento
Il tasso medio di sovraffollamento a livello nazionale è pari a circa il 150% (circa 68.000 detenuti in 45.000 posti).

Il caso norvegese. «Non penso che la sicurezza possa risolvere i problemi. Dobbiamo insegnare di più il rispetto» Così Fabian Stang, sindaco di Oslo, aveva commentato l’indomani la strage compiuta da Anders Breivik ad Oslo e Utoya, in cui hanno perso la vita 76 persone.

Breivik si trova da due anni ristretto nel carcere di Halden, a pochi chilometri da Oslo. Halden è un esempio penitenziario modello, immerso in trenta ettari di foresta, inaugurato tre anni fa, in cui sono ristretti i più pericolosi criminali norvegesi. Un carcere che ha  suscitato, quando è venuto agli onori della cronaca per contenere il pazzo stragista Breivik,  le reazioni critiche e polemiche di alcuni che lo definiscono un “hotel a 5 stelle”.
Una struttura che risponde ai princìpi ispiratori del sistema giuridico e penitenziario norvegese, dove l’obiettivo è il completo recupero del reo da realizzare attraverso un percorso di assoluto rispetto dei diritti umani.
Nel carcere di Halden le guardie sono disarmate, spesso pranzano o fanno sport con i detenuti, le celle sono di grandi dimensioni, con televisioni satellitari e connessione internet.

Ecco, tutto questo per dire, come ha inteso proclamare con forza Papa Francesco, che così come un altro mondo è possibile, anche un altro carcere è possibile.

Un mondo migliore.

Un carcere migliore.

Per far uscire persone migliori.

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