Matrimoni gay? Ancora un ‘no’ e senza neanche grazie

L’ANALISI GIURIDICA DEL DIRITTO AL MATRIMONIO IN ITALIA ED IN EUROPA

di Avv. Marusca Rossetti

imagesAngelino Alfano è tornato a tuonare minaccioso pochi giorni fa di fronte a eventuali proposte provenienti dal Pd di Renzi in tema di unioni civili tra omosessuali.
Alla presentazione del libro-manifesto “I moderati” del 09/01/2014, oltre ad elencare i valori di riferimento del Nuovo centrodestra, il vicepremier non si è la lasciato scappare l’occasione per esternare tutto il suo disappunto in ordine al paventarsi di possibili matrimoni gay.
Minacciando la rottura della maggioranza semmai il Pd dovesse farsi promotore di una simile iniziativa, Alfano c’ha tenuto a precisare che “La famiglia è composta da un uomo e da una donna. Quella descritta dalla Costituzione, che è vissuta nella società italiana, è la famiglia in cui continuare a credere. E merita di essere difesa contro i tentativi di smontarla”.

Tuttavia con tali affermazioni lo stesso dimostra di essersi evidentemente perso almeno tre pronunce importanti di altrettante Corti, nazionali e non, che forse farebbe bene ad andarsi a riguardare, sempre che non si tratti, invece, di dimenticanza consapevole finalizzata a non rendere edotta la popolazione degli enormi passi in avanti che il diritto vivente ha compiuto negli ultimi anni.

Partiamo innanzitutto dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 2010 la quale, sì ha negato fondamento costituzionale al diritto al matrimonio tra due persone dello stesso sesso, in riferimento sia agli artt. 3 e 29, sia all’art. 2 Cost., ma ha altresì precisato che il suo riconoscimento e la sua garanzia, cioè l’eventuale disciplina legislativa diretta a regolarne l’esercizio, in quanto non costituzionalmente obbligati, sono rimessi alla libera scelta del Parlamento. Non solo. La Corte ha pure precisato che dall’art. 2 Cost. deriva immediatamente il “diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia” in virtù del quale i componenti della coppia omosessuale hanno diritto di chiedere, “a tutela di specifiche situazioni” e “in relazione ad ipotesi particolari”, un “trattamento omogeneo” a quello assicurato dalla legge alla “coppia coniugata”. Trattamento giuridico paritetico che la Corte potrà garantire attraverso il controllo di ragionevolezza, che discende dall’art. 3 Cost., dove viene enunciato il principio di uguaglianza “nella legge”. Ovvero, secondo questo principio, situazioni identiche potranno essere giuridicamente disciplinate in maniera differente solo laddove una eventuale forma di discriminazione, o una eventuale condizione di favore, appaia ragionevole e giustificabile tenuto conto della presunzione generale di irragionevolezza della legge per ogni forma di discriminazione.

Proseguendo nella nostra disamina non si può non sottolineare l’importanza che, per il tema trattato, ha avuto un’altra recente pronuncia: la Sentenza della Corte Europea del 24 giugno 2010(Prima Sezione, caso Schalk e Kopf contro l’Austria).

Questo il fatto: due cittadini austriaci di sesso maschile avevano chiesto all’ufficio dello stato civile di adempiere le formalità richieste per contrarre matrimonio e, a fronte della reiezione della richiesta, avevano dedotto di essere stati discriminati, in violazione degli artt. 12 e 14, in relazione all’art. 8, della CEDU(Convenzione Europea dei diritti dell’uomo), in quanto, essendo una coppia omosessuale, era stata loro negata la possibilità di contrarre matrimonio o di far riconoscere la loro relazione dalla legge in altro modo.

La Corte adita, pur avendo ritenuto all’unanimità che non vi è stata violazione dell’art. 12 e, a maggioranza, che non vi è stata violazione dell’art. 14, in relazione all’art. 8, della Convenzione, tuttavia, nella sentenza di rigetto delle richieste dei ricorrenti ha cristallizzato importanti novità sull’interpretazione delle norme menzionate.

L’art. 12 della Convenzione va letto in combinato disposto con l’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea secondo le indicazioni contenute nelle “spiegazioni”della stessa Carta all’art. 52, paragrafo 3, della medesima.

Qui, infatti, si osserva che “Il paragrafo 3(dell’art. 52) intende assicurare la necessaria coerenza tra la Carta e la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo affermando la regola secondo cui, qualora i diritti della presente Carta corrispondano ai diritti garantiti anche dalla CEDU, il loro significato e la loro portata, comprese le limitazioni ammesse, sono identici a quelli relativi della CEDU(omissis)Il significato e la portata dei diritti garantiti sono determinati non solo dal testo di tali strumenti, ma anche dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia dell’Unione Europea. L’ultima frase del paragrafo è intesa a consentire all’Unione Europea di garantire una protezione più ampia”. Fatta tale premessa segue poi l’elenco dei diritti che possono essere considerati corrispondenti a quelli della CEDU, tra cui figura l’art. 9 in riferimento al quale viene precisato che lo stesso “copre la sfera dell’art. 12 della CEDU, ma il suo campo d’applicazione può essere esteso ad altre forme di matrimonio eventualmente istituite dalla legislazione nazionale…”. E, inoltre, considerando le “spiegazioni” concernenti nello specifico l’art. 9 si legge: “Questo articolo si basa sull’art. 12 della CEDU…La formulazione di questo diritto è stata aggiornata al fine di disciplinare i casi in cui le legislazioni nazionali riconoscono modi diversi dal matrimonio per costituire una famiglia. L’articolo non vieta nè impone la concessione dello status matrimoniale a unioni tra persone dello stesso sesso. Questo diritto è pertanto simile a quello previsto dalla CEDU, ma la sua portata può essere estesa qualora la legislazione nazionale lo preveda”.

Ma andiamo a vedere più da vicino il contenuto delle norme di cui trattasi.

La prima disposizione, ovvero l’art. 12 della CEDU, prevede che “Uomini e donne in età adatta hanno diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto”; la seconda, cioè l’art. 9 della Carta, statuisce invece che Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”. Come si vede chiaramente, nell’art. 9 non compare alcun riferimento agli uomini e alle donne e ciò in ragione del fatto che il suo campo di applicazione doveva essere più ampio rispetto a quello di articoli corrispondenti di altri strumenti relativi ai diritti umani. Dunque, sulla scia di ciò, la Corte non ritiene più che il diritto al matrimonio di cui all’art. 12 debba essere limitato in tutti i casi al matrimonio di persone di sesso opposto. Per questa via, quindi, il diritto al matrimonio, secondo l’interpretazione della Corte Europea che rappresenta una “evoluzione” rispetto ad “una consolidata ed ultramillenaria nozione di matrimonio”, si è arricchito di nuovo contenuto, inclusivo anche del matrimonio contratto da due persone dello stesso stesso.

Tuttavia, pur riconoscendo il diritto al matrimonio anche alle coppie omosessuali, le disposizioni delle quali stiamo parlando separano nettamente i due momenti: quello, appunto, del riconoscimento del diritto; da quello della garanzia di esso. Infatti entrambe le norme sono formulate in modo tale che è prevista una riserva assoluta di legislazione nazionale in capo agli Stati contraenti della Convenzione e/o membri dell’Unione Europea e ciò in ragione della constatazione delle notevoli e a volte profonde differenze sociali, culturali e giuridiche, che ancora connotano le discipline legislative della famiglia e del matrimonio dei Paesi coinvolti.

Ma la sentenza del 24 giugno 2010 ha avuto un altro merito, oltre a quello di aver precisato che il diritto al matrimonio comprende anche il diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso: la Corte Europea, infatti, ha anche affermato che “ritiene artificiale sostenere l’opinione che, a differenza di una coppia eterosessuale, una coppia omosessuale non possa godere della vita familiare ai fini dell’articolo 8”, e che “conseguentemente la relazione dei ricorrenti, una coppia omosessuale convivente con una stabile relazione di fatto, rientra nella nozione di vita familiare, proprio come vi rientrerebbe la relazione di una coppia eterosessuale nella stessa situazione

A queste due pronunce storiche ha rivolto l’attenzione la Corte di Cassazione quando nel 2012 ha depositato, in data 15 marzo, la Sentenza n. 4184.

Adita da due italiani che avendo contratto matrimonio a L’Aja(Regno dei Paesi Bassi) si erano poi visti negare dal Sindaco del Comune di Latina la trascrizione dell’atto di matrimonio “perchè contrario all’ordine pubblico”, i giudici di legittimità, ripercorrendo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 138 del 2010 e la Sentenza della Corte Europea del 24 giugno, sono arrivati a mettere nero su bianco conclusioni a dir poco eccezionali per il nostro ordinamento.

In primo luogo è stata affermata la rilevanza e l’incidenza diretta nel nostro sistema giuridico del revirement espresso dalla Corte di Strasburgo con riguardo alla nozione di “matrimonio” che ha adesso un nuovo contenuto, non riferendosi più solo all’unione tra persone di diverso sesso: abbandonato ogni riferimento a divieti costituzionali, alla tradizione(la Corte infatti ha dato atto della radicale rivoluzione rispetto a una tradizione millenaria) e a questioni ontologiche e di “natura”(essendo stata definitivamente superata la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi era presupposto indispensabile, per così dire “naturalistico”, della stessa esistenza del matrimonio), è stato anche esplicitamente affermato che il Parlamento è libero di introdurre matrimoni gay con legge ordinaria e che, a prescindere dal suo intervento legislativo, quali titolari del diritto alla vita familiare e nell’esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente la condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, gli omosessuali possono adire i giudici comuni per far valere, in relazione a determinate situazioni che si verifichino, il diritto a un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata e, in tale sede, eventualmente sollevare eccezioni di illegittimità costituzionale.

Da ultimo, la Corte ha altresì precisato che la mancata trascrizione dell’atto di matrimonio contratto in altro Paese viene negato a motivo non della contrarietà dello stesso all’ordine pubblico perché “inesistente” per l’ordinamento italiano o perché “invalido”, ma in quanto inidoneo a produrre, in quanto atto di matrimonio, qualsiasi effetto giuridico.

Nella motivazione alla Sentenza i giudici hanno sottolineato che la svolta da parte della stessa giurisprudenza italiana è stata imposta dall’adesione del nostro Paese alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e quindi ostinarsi ancora a contrastare la nuova nozione di “matrimonio” e di “famiglia”, oltre ad essere ridicolo, significa auspicarsi che l’Europa faccia retromarcia, cosa, questa, a dir poco improbabile.

Ma se i giudici di Strasburgo hanno recepito l’evoluzione di usi e costumi sociali e a questa nuova visione si sono conformati anche i nostri della Cassazione, fino a quando la classe politica che detiene il potere di fare leggi troppo spesso a proprio uso e consumo, potrà continuare a rifiutarsi ostinatamente di far compiere a questo Stato “laico” un fondamentale balzo in avanti di civiltà e crescita? Fino a quando gli Angelino Alfano del momento potranno permettersi di fare simili dichiarazioni oramai incontrovertibilmente discriminatorie?

La speranza, allora, è che si arrivi a un cambiamento per sfinimento se non è possibile, come sembra che non sia, un dibattito costruttivo in questo ambito: ovvero tocca augurarsi che la Corte Costituzionale venga sobillata pesantemente da continue questioni di illegittimità sollevate da coppie gay che vedano calpestati i loro diritti civili, oppure che venga trovata la via per far ottenere all’Italia l’ennesima strigliata dall’Unione Europea così che la smetta di fare orecchie da mercante.

Ma lo Stato non dovrebbe tutelare tutti i suoi cittadini?

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