La caduta del muro di Berlino e il mondo cambiò per sempre

25 ANNI FA IL CROLLO DEL MURO SEGNO’ LA FINE DEL BLOCCO SOVIETICO E LA RIUNIFICAZIONE DELLA GERMANIA

di avv. Tommaso Rossi (Studio Legale Associato Rossi-Papa-Copparoni)

caduta muro berlinoAvevo 11 anni quel giorno. Il 9 novembre del 1989, crollò il Muro di Berlino.
Il giorno dopo facemmo un tema a scuola, sulla caduta del muro e su cosa significava ai nostri occhi. Io, bambino di prima media, vedevo più l’aspetto della rappresentazione emotiva e storica dell’evento, incapace certo di pensare a quali conseguenze storiche per l’Europa e per il mondo a noi più vicino avrebbe significato quel giorno.
La globalizzazione, una parola che a 11 anni non puoi conoscere, dalle conseguenze che a undici anni non puoi neppure immaginare. E, forse, neanche chi su quel muro issava bandiere colorate di gioia e speranza poteva immaginarle. 
Quel momento significava, per lo meno, la certezza della pace tra i popoli in Europa. Ma neppure su questo- potrei garantire a quel bambino di 11 anni che 25 anni fa scriveva il suo tema- è la conseguenza di quel giorno memorabile.
La pace, oggi, in Europa è un puzzle i cui tasselli sono tenuti incollati assieme dall’economia più che dalla politica e dai popoli.
Se oggi l’Europa non è  in guerra contro la Russia e i suoi carri armati, ma anzi cerca di ingraziarsela in ogni modo, non è certo perché la caduta del muro ha abbattuto gli steccati politici e sociali, ma perché abbiamo bisogno come il pane del gas russo e di esportare i nostri prodotti in Russia.
Quel 9 novembre 1989 mai nessuno avrebbe potuto pensare a questo.
Ora il muro che separa la pace dalla guerra, la divisione dall’unità, è l’economia.
Col muro di Berlino preso a picconate  finì la Guerra Fredda. Qualche giorno prima, il 18 ottobre 1989, Erich Honecker, il capo di Stato e del partito comunista della DDR, si era dimesso, lasciando il posto a Egon Krenz che al momento del suo insediamento garantì di aver assunto quel compito e quel ruolo “per mantenere la sovranità statale della Ddr”.

Diecimila tedeschi dell’est avevano però già lasciato il Paese, per fuggire in occidente, attraverso l’Ungheria, o tentando di varcare quel muro con modi avventurosi e improbabile raccontati oggi dal “Museo della Fuga” a Berlino. E altre decine di migliaia protestavano ogni giorno nelle piazze della città della Repubblica democratica tedesca, per chiedere pace e libertà, con lo slogan “Wir sind das Volk!”, “Noi siamo il popolo!”. Una vera e propria massa umana rivoluzionaria e pacifica.

L’inizio della fina fu annunciato  in una conferenza stampa in cui il regime, attraverso il ministro della Propaganda Guenter Schabowski, annunciò improvvisamente un’apertura storica: la libertà di viaggio verso l’ovest per i cittadini della DDR.

Appena si diffuse l’annuncio, il popolo inondò il confine: quel Muro lungo 155 km, eretto in una notte (fra il 12 e il 13 agosto del 1961, per mettere freno all’esodo verso l’ovest), fu cancellato dalla città.

Quel che seguì poi fu la riunificazione tedesca, sancita il 3 ottobre del 1990, grazie alla straordinaria opera politica del Cancelliere Helmut Kohl e che sarà festeggiata e ricordata alla Porta di Brandeburgo, in una Berlino finalmente unita.

ANOTHER BRICK IN THE WALL- Pink Floyd

Berlino è a questo condannata: sempre e continuamente in divenire e mai a essere”. Karl Scheffler (critico d’arte e scrittore, 1869-1951)

 Questo luogo è parte della mitologia e della memoria dei berlinesi (…)Se Berlino fosse un libro di storia, avrebbe molte pagine strappate” (Renzo Piano all’inaugurazione di Potsdamer Platz, Corriere della Sera 2/10/1998).

 Questa frase di Renzo Piano delinea perfettamente la tendenza di Berlino ad essere una città in continua evoluzione e trasformazione, anche a scapito di quelli che sono monumenti alla storia, monito di tempi trascorsi che non debbono più ripetersi. Pare che sia una caratteristica tedesca quella di cancellare per fare posto al nuovo, come se, riducendo in polvere gli edifici o le costruzioni che ricordano un dolente passato (Terzo Reich, Seconda Guerra Mondiale, occupazione sovietica), si potesse demolire anche la realtà storica, risaltando sempre più il riscatto tedesco da periodi in cui per il mondo la Germania non è stata solo un modello di forza e potenza economica, ma anche un pericolo e terra di drammi sociali ed umani.

Un anno fa proteste e sdegno per la rimozione di un altro pezzo di muro, un pezzo di ciò che resta del muro dopo che la gran parte è stato venduto a pezzetto ai turisti di tutto il mondo. La rimozione di una trentina di metri dei resti della East Side Gallery (che con i suoi 1,3 kmcostituisce il tracciato del muro più grande rimasto nella posizione originale) è stata autorizzata per la creazione di un accesso al nuovo condominio e per costruire un ponte pedonale, il quale sarà la ricostruzione di uno distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale.

Si possono riprendere anche le parole, pronunciate nel 1994, di Vittorio Magnago Lampugnani, architetto italiano e direttore del Museo di architettura a Francoforte. In quegli anni, la Germaniaera da poco stata riunificata e c’erano moltissimi progetti per costruire, demolire, reinventare Berlino: “Non ci si libera dai fantasmi del passato eliminandone la vestigia e cancellando un’intera epoca. Ritengo che Albert Speer, l’architetto di Hitler, fosse pessimo. Ma a Berlino dopo la guerra sono riusciti a distruggere quasi tutto quello che aveva costruito. Così non si affronta la realtà, ma si sfugge”.

O forse è solo quell’economia da cui siamo partiti a determinare queste scelte, dove la storia, la memoria e i simboli sono calpestate in nome del frusciante biglietto effigiato con i simboli dell’Europa.

 

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