Ergastolo Ostativo: l’ordinanza N. 97 del 2021 della Corte Costituzionale

di GIUSEPPE CALDARELLI **

184638109_2921117401456432_3828803540900327934_nLa Corte Costituzionale, con l’ordinanza dell’11 maggio 2021, n. 97, è tornata dopo diverso tempo ad esaminare questioni di legittimità costituzionale riguardanti l’ergastolo ostativo. La Corte di Cassazione, I Sezione penale, con ordinanza del 3 giugno 2020, n. 18518, ha infatti rimesso al vaglio della Consulta gli artt. 4-bis, comma 1, e 58-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) e l’art. 2 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamentodell’attività amministrativa), convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203, in riferimento agli artt. 3 e 27, comma 3, Cost. e art. 3 Cedu (norma interposta nel giudizio di costituzionalità rispetto all’art. 117, comma 1, Cost.), “nella parte in cui escludono che il condannato all’ergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia, possa essere ammesso alla liberazione condizionale”. Le norme citate, difatti, introducono una presunzione assoluta di mancata rescissione dei legami con l’organizzazione criminale e di perdurante pericolosità sociale del condannato all’ergastolo per reati collegati alla criminalità organizzata non collaborante, tale da impedire una valutazione nel merito da parte della magistratura di sorveglianza circa i presupposti per la concessione del beneficio penitenziario.

Non è la prima volta che tale presunzione assoluta, capace di trasformare l’ergastolo comune in ergastolo ostativo, ricade sotto la lente della Corte Costituzionale. Questa si è infatti trovata di fronte a un bivio decisorio: da un lato, la sentenza n. 135 del 2003 della stessa Consulta che aveva negato l’esistenza di un’assoluta preclusione di accesso al beneficio, dipendendo quella preclusione, piuttosto, da una scelta volontaria dell’interessato, cioè dalla sua decisione di non collaborare con l’autorità giudiziaria; dall’altro lato invece, la nota sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 13 giugno 2019, Viola c. Italia – che aveva condannato il nostro Paese proprio in ragione di questa presunzione, che vanifica qualunque percorso rieducativo del condannato, escludendo per l’ergastolo ostativo la condizione di “riducibilità” necessaria affinché la pena c.d. perpetua sia compatibile con le prescrizioni dell’art. 3 Cedu (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti) e che aveva già esortato il legislatore nazionale a modificare la disciplina – nonché la sentenza n. 253 del 2019 della Corte Costituzionale – che, al contrario della prima, aveva identificato nella disciplina allora vigente una vera e propria presunzione assoluta di perdurante pericolosità nel caso di mancata collaborazione e aveva dichiarato l’illegittimità del conseguente divieto di accordare permessi premio. La Corte, nell’ordinanza di cui si tratta, condivisibilmente opta per questo secondo percorso.

Con riguardo alla scelta collaborativa, si era già osservato nella sentenza Viola c. Italia come in realtà non sempre la mancata collaborazione derivi da una libera scelta del condannato, potendo questa “far difetto per ragioni diverse dal mantenimento dei legami con organizzazioni criminali”. In questo senso anche la sentenza n. 253 del 2019, secondo cui la presunzione assoluta è irragionevole perché “si basa su una generalizzazione che i dati dell’esperienza possono smentire”. Nell’ordinanza n. 97 del 2021, la Corte Costituzionale la definisce una “scelta tragica”: il condannato all’ergastolo ostativo è infatti “caricato di un onere che può richiedere la denuncia a carico di terzi, comportare pericoli per i propri cari e rischiare altresì di determinareautoincriminazioni, anche per fatti non ancora giudicati”. Pare dunque ancora una volta smantellata l’equazione tra collaborazione con la giustizia e rescissione dei legami con l’organizzazione criminale.

Seguendo il percorso già tracciato dalla sentenza Viola c. Italia e dalla sentenza n. 253 del 2019, in particolare riportando all’esame alcune tra le ragioni poste a fondamento di quest’ultima, la Corte Costituzionale individua il confine di compatibilità con la Costituzione, e in particolare con l’art. 27, comma 3 (principio rieducativo e di umanità della pena), nella completa soppressione di quella speranza del condannato a riacquistare la propria libertà: è possibile rendere più rigorosi e stringenti i presupposti per la concessione della liberazione condizionale, purché tale possibilità non venga soppressa del tutto. È quindi quantomeno necessario che la presunzione diventi relativa così da poter essere vinta da prova contraria, permettendo una valutazione nel merito del tribunale di sorveglianza, non dovendo questo dichiararla in limine inammissibile, in assenza di collaborazione.

Tuttavia, nonostante abbia rinvenuto una incostituzionalità delle norme impugnate e pur avendo richiamato requisiti come l’esclusione dell’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e il rischio del loro futuro ripristino – con i quali aveva contemperato, nella sentenza n. 253 del 2019, le esigenze sottese alla concessione dei permessi premio – e nonostante abbia anche suggerito requisiti aggiuntivi, in ragione della diversità delle due misure (la liberazione condizionale, a differenza dei permessi premio, può comportare l’estinzione della pena), quali la necessità che si annoverino le specifiche ragioni della mancata collaborazione e la introduzione di prescrizioni peculiari per il periodo di libertà vigilata del condannato, la Consulta non ha resistito alla tentazione della c.d. incostituzionalità prospettata, tecnica utilizzata nel noto Caso Cappato, e ha rinviato la formale dichiarazione ad altra udienza (10 maggio 2022), dando così un anno di tempo al legislatore per riformare la disciplina, in nome di un principio di leale collaborazione istituzionale.

Sebbene sul piano dei rapporti istituzionali sembri corretta la scelta di non interferire con la discrezionalità legislativa, essendo negli ultimi tempi sempre più diffusa la sostituzione del primato della legge con il primato del giudice nella creazione del diritto, il rinvio della pronuncia sull’ergastolo ostativo pare criticabile sotto il profilo strettamente costituzionalistico. Invero, quello individuato come il giudice delle leggi, custode della Costituzione e dei diritti inviolabili da essa garantiti, nonostante l’accertato contrasto con la Carta fondamentale, non ha optato per l’immediata declaratoria d’illegittimità costituzionale delle norme impugnate in quanto, stando a quanto si legge nel comunicato che ha preceduto il deposito della pronuncia, ciò “avrebberischiato di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata”. I diritti garantiti dagli artt. 3 e 27, comma 3, Cost. e dall’art. 3 Cedu, non sarebbero infatti suscettibili di contemperamento con le esigenze di contrasto alla criminalità organizzata, che peraltro non trovano alcuna diretta copertura costituzionale.

Ad ogni modo, la salvaguardia di dette politiche criminali non è l’unico motivo del mancato intervento demolitorio immediato poiché questo, come riportato nell’ordinanza, si accompagna alla necessità di non dare incoerenza all’intera disciplina che, altrimenti, vedrebbe l’ergastolano ostativo avere possibile accesso alla liberazione condizionale, restando allo stesso tempo ad esso preclusa la possibilità di accedere ad altre misure alternative che, molto spesso, sono preparatorie al riacquisto definitivo della libertà.

La Corte Costituzionale ha comunque dimostrato grande consapevolezza del tema oggetto della questione e ha resistito a quell’assedio emotivo che, più sul piano socioculturale che giuridico, colpisce il giudice quando è chiamato a decidere di temi così delicati, che toccano la sensibilità dei più, compiendo un altro passo lungo quel cammino, ormai inesorabile, verso il superamento dell’ergastolo ostativo.

 

Bibliografia e sitografia:

  • Corte Costituzionale, ordinanza n. 97 del 2021;
  • Corte Costituzionale, sentenza n. 253 del 2019;
  • Corte Costituzionale, sentenza n. 135 del 2003;
  • Corte di Cassazione, ordinanza n. 18518 del 2020;
  • Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sentenza 13 giugno 2019, Viola c. Italia;
  • Comunicato dell’11 maggio 2021, Ufficio Stampa della Corte Costituzionale;
  • E. Dolcini, “Dalla Corte Edu una nuova condanna per l’Italia: l’ergastolo ostativo contraddice il principio di umanità della pena”, Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc. 2, 2019, pag. 0925B
  • A. Pugiotto, “Perché l’ergastolo può essere cancellato, decisione della Consulta potrebbe cancellare il fine pena mai”, https://www.il riformista.it/;
  • M. L. Di Bitonto, “I diritti valgono meno della lotta alla mafia? Il rinvio della Corte Costituzionale sull’ergastolo ostativo”, https://www.open.luiss.it/.

**ARTICOLO SELEZIONATO COME VINCITORE  DELLA CATEGORIA “DIRITTO COSTITUZIONALE ” del progetto di Law Review realizzato in collaborazione tra Associazione Culturale Fatto&Diritto e ELSA Macerata

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

Back To Top