Capodanno: cotechino, mortaretti e ‘chi più ne ha più ne metta’

LE TRADIZIONI DI FINE ANNO NELLA STORIA E NEL MONDO

di dott.ssa Vanessa Marini

UnknownIl tempo non ha nessuna divisione visibile che ne segni il passaggio, non una tempesta con tuoni, né squilli di tromba che annuncino l’inizio di un nuovo mese o un nuovo anno.

Persino quando inizia un nuovo secolo siamo solo noi mortali che suoniamo le campane e spariamo in aria con le pistole.” (T.M.)

Il 2014 è alle porte.
Una manciata di giorni e finalmente il mondo – normalmente diviso in tutto – si unirà per il tanto atteso quanto noto conto alla rovescia…. “5…4…3…2…1….Buon Anno!”

Nell’immaginario collettivo la fine dell’anno non è una festa, ma La festa del “tutto è concesso”.

È il giorno in cui gli eccessi, i peccati di gola e le follie di ogni tipo diventano quasi diritti.

Il “rituale magico” del Capodanno, così come ogni tradizione, ha una sua storia. Una storia carica di simboli. Una storia che conserva gelosamente nel tempo i suoi stessi tratti somatici e da cui nessuno riesce a svincolarsi del tutto.

Il capodanno legale è fissato, oggi, alla mezzanotte del 1° gennaio.

Ma non è stato sempre così.

Fino a qualche secolo fa le date del Capodanno variavano da popolo a popolo, perfino da città a città.

Per alcuni il Capodanno coincideva con l’inizio della primavera, quando il sole finalmente tornava a splendere, dopo il pallore invernale che faceva temere la fine del mondo.

Per altri l’anno nuovo cadeva invece il giorno del solstizio d’estate quando, dopo la raccolta delle messi, il vecchio raccolto lasciava spazio a quello nuovo.


La tradizione del 1° gennaio risale alla Roma di inizio Impero o meglio così racconta Ovidio nei suoi Fasti.

Gennaio (Ianuarius in latino) era il mese dedicato al dio Ianus (Giano), dio dai due volti – l’uno vecchio e barbuto e l’altro giovane – «che guarda indietro e avanti, alla fine dell’anno trascorso e all’inizio del prossimo». Dio il cui ruolo era, appunto, quello di presiedere agli inizi, alle soglie, ai passaggi da un periodo temporale a un altro.

Dopo l’Editto di Milano (313 d.C.) il dio bifronte ha abbandonato la sua natura pagana per assumere connotati religiosi.

Il ruolo di Giano cristiano è stato dunque attribuito a San Silvestro, la cui ricorrenza non a caso cade il 31 dicembre.

Silvestro, Papa dal 314 al 335, secondo alcune fonti fu colui che battezzò l’imperatore Costantino; fu dunque colui che segnò la fine dell’era pagana (il vecchio) e diede origine a quella cristiana (il nuovo).

Nonostante la reinterpretazione religiosa, la matrice pagana del Capodanno non si è tuttavia persa completamente.

Essa conserva il suo intimo vigore nella tradizione culinaria e nei festeggiamenti del Capodanno.

Durante l’Impero Romano il sacerdote offriva al dio Giano farro mescolato a sale e una focaccia di cacio grattugiato, farina, uova e olio cotti al forno, nel tentativo di garantire al popolo l’influenza benefica del dio sulla natura e sui futuri raccolti.
I Romani invitavano a pranzo gli amici e si scambiavano, in un candido vaso, miele con datteri e fichi rugosi accompagnati da ramoscelli di alloro come augurio di fortuna e felicità.

Oggi, abbandonata la comune tradizione dello scambio dei regali (spostata al Natale), ciascun popolo, perfino ciascuna città, difende il proprio diritto di propiziare il fato e di farlo attraverso la tavola e attraverso i festeggiamenti.

In Giappone si mangia la carpa, pesce che, nuotando contro forti correnti e risalendo le cascate, simboleggia la possibilità di grandi imprese per il nuovo anno. Poco prima della mezzanotte, le famiglie si recano nei templi per bere sakè ed ascoltare 108 colpi di gong che annunciano l’arrivo di un nuovo anno (l’ascolto di questi suoni dovrebbe purificare l’anima poiché il popolo cinese ritiene che il numero dei peccati commessi da una persona in un anno sia di 108).

In Ungheria si mangia un maiale arrosto con una mela in bocca, simbolo di abbondanza.

In Israele, si immergono le mele nel miele per auspicare la dolcezza per l’anno nuovo.

In Cina il «Kwo-nion» (Capodanno cinese) è un rito che impegna il popolo per metà mese.

Il rito inizia la notte di Capodanno in cui le famiglie cinesi si raccolgono nella propria intimità e salutano il dio del focolare, che se ne va. L’idoletto di legno è gettato nel fuoco, affinché, bruciando, il suo spirito possa salire verso il padre, al quale riferirà sulla condotta della famiglia.
Perché parli dolcemente, prima di bruciarlo gli si unge la bocca di miele. Per evitare che i demoni e gli spiriti cattivi turbino la pace domestica si mettono sulla porta di casa figure terribili e si sparano petardi. Sulla tavola zuppa con spaghetti lunghi per propiziare ai viventi una vita lunga.

Ma non è tutto. Il 15 gennaio inizia il secondo periodo delle feste; molti si vestono da donna e diventano ballerini, musicisti e cavallerizzi. La festa si conclude con la processione del drago, mentre brillano le famose
«lanterne delle anime» che devono illuminare chi, al mondo di là, si è perduto o disorientato.

In Spagna, a Madrid, sotto l’orologio della Puerta del Sol, alla mezzanotte del 31 dicembre, l’anno nuovo viene salutato con l’uva: si devono mangiare dodici chicchi, uno per rintocco. Colui che segue la giusta cadenza e inghiotte il dodicesimo chicco in sincronia con l’ultimo rintocco, può garantirsi un anno fortunato.

In Grecia, a Capodanno i bambini ricevono, ancora oggi, i regali; regali che porta San Basilio. Nelle tavole una torta molto semplice fatta con farina, zucchero, burro e uova, chiamata vassilòpitta nella quale, durante la preparazione viene nascosta una moneta. La leggenda popolare dice che al fortunato cui toccherà la fetta con la moneta sarà assicurato un anno di gioia e ricchezza.

Anche a Capodanno la nostra Italia non poteva che confermare il suo titolo di “culla della civiltà”, di madre delle tradizioni.

I riti culinari e i festeggiamenti propiziatori variano da regione a regione.

Sulle tavole italiane primi generosi, come tortellini o paste ripiene, da servirsi rigorosamente in brodo di cappone.

Fra i secondi, dominano la carni lesse e l’arrosto.

Al sud si mangia una specie di anguilla chiamata capitone, mentre al nord lenticchie e cotechino, ma tutti auspicio di prosperità economica per l’anno che comincia.

Tra i dolci generalmente natalizi, tipica è “la carenza”, una specie di pan dolce dove viene nascosta una moneta simbolo di buona sorte.

La frutta assume un ruolo importante nella cucina di inizio anno.

In quasi tutte le tavole compaiono uva passa, melagrana e mandorle simbolo anch’esse, come già le lenticchie, di prosperità.

C’è chi mangia, per Capodanno, tre chicchi d’uva bianca perché si dice che così maneggerà denari per tutto il nuovo anno.

Quanto ai festeggiamenti propiziatori negli Abruzzi vasi fioriti vengono piazzati dietro i vetri delle finestre e tutti cercano di far tutte le cose buone che si vorrebbero fare per l’intero anno.

In Emilia, appena spunta l’alba del 1 gennaio, i bambini escono di casa e, a piccoli gruppi, vanno dai parenti, dagli amici, anche dagli sconosciuti, augurando il «Buon Anno!» e ricevono in dono dolci e soldi.

A Bologna si brucia il «Vecchione», un pupazzo enorme di paglia e legna seduto su una grande sedia al centro di piazza Maggiore, che simboleggia l’anno vecchio. Il tutto mentre la folla raccolta in piazza lancia razzi e fa scoppiare castagnole e mortaretti.

Tutti vestono biancheria di colore rosso per allontanare il negativo.

Ma l’usanza ad oggi più singolare (e più pericolosa) per eliminare il male, fisico e morale, accumulatosi nell’anno trascorso, è conservata a Roma e Napoli: a mezzanotte avviene il “lancio dei cocci”, delle cose vecchie ed inutili.

La famiglia si disfa della roba vecchia e inservibile con un atto di valore simbolico anche se a discapito delle auto parcheggiate e degli incauti passanti.

Ai cocci rotti si accompagnano gli spari, col duplice significato di scacciare gli spiriti maligni e di esprimere allegria per l’anno che inizia.

Qualunque sia il rituale magico che compiamo, la verità è una sola: dinanzi al Capodanno tutti siamo un po’ bambini.

Bambini che sperano in un domani migliore e pensano che un piatto di lenticchie e qualche frutto magico possano cambiare o più semplicemente migliorare un destino che a volte sembra prendersela con noi.

Ma la verità è diversa e tutti noi la conosciamo.

Ma come puro promemoria lascio che sia Benjamin Franklin a ricordarcelo “Sii sempre in guerra con i tuoi vizi, in pace con i tuoi vicini, e lascia che ogni nuovo anno ti trovi un uomo migliore.”.

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