Venezia 74 – Suburbicon, la recensione

di Alessandro Faralla (Responsabile Cultura e Spettacoli F&D)

SUBURBICON

Venezia 74

Staccionate, intolleranza, violenza e indifferenza, tutti ingredienti presenti in Suburbicon, sesta regia di George Clooney sceneggiata tra gli altri dai fratelli Coen. Pacato nella forma e nei dettagli, messaggio personale di Clooney all’ America del presidente Trump.

Ispirato ad un fatto di cronaca avvenuto a Levittown, Pennsylvania, nel 1957 Suburbicon è una tranquilla e confortevole città che nell’estate del 1959 viene scossa dall’arrivo della prima famiglia afroamericana. A Suburbicon vivono i Lodge, una di quelle famiglie con un giardino impeccabile, e un bambino pulito e ordinato. In coincidenza con l’arrivo dei nuovi vicini due malviventi irrompono nella casa di Gardner Lodge stordendo lui, sua moglie Rose, la sorella gemella Margaret e il figlio Nicky.

Da qui ha inizio una vicenda che mostra la vera natura di persone apparentemente docili alle prese con segreti, ricatti e ambiguità. Individualità insoddisfatte che tentano maldestramente di gestire qualcosa di atipico e imprevisto nelle loro esistenze. Comun denominatore dei personaggi coinvolti la volontà di essere altro rispetto all’immagine di un habitat puro e disincantato.
Suburbicon tiene piedi due vicende, quello dei Lodge, e del resto di una comunità che ad oltranza osteggia e denigra la famiglia di colore, “gli animali che stanno inquinando la loro piccola isola felice” senza darle mai una relazione omogena.

Trattenendosi dal volere sfociare nel paradossale, lo sviluppo narrativo di Suburbicon è una ripetizione di azioni e parole che non riescono ad infondere una solidità di intenti agli sgangherati fini dei protagonisti. Nel mentre c’è un bambino che vive, vede e comprende presto il quadro generale con una lucidità assente nei parenti, aspiranti truffatori. Lui che non voleva giocare a baseball perché fondamentalmente annoiato da un quotidiano monotono e per nulla ridente ci mette due secondi ad entrare in sintonia col coetaneo di colore.

Le staccionate che gli abitanti di Suburbicon innalzano per non porgere lo sguardo ai nuovi indesiderati ospiti sono il simbolo di una debolezza e una frustrazione tutta personale da sfogare contro gli ultimi arrivati, ed è questo l’aspetto più riuscito del film, la capacità di mostrare il rifiuto e la resistenza senza cedere in virtuosismi, mettendo in evidenza come il marcio e la meschinità possano appartenere anche agli insospettabili rappresentanti della specie caucasica che abitano a due passi.

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