True Blood: l’America Ferita

Le serie-tv o telefilm o, come chiamano in usa, i tv-shows mi hanno sempre appassionato. Molte le ho seguite puntata per puntata ‘day by day’ altre invece in un unica tranche in quella che viene solitamente definita ‘la maratona notturna’ ossia vedersi in una notte 15/20 episodi di una serie. Ciò è successo con 24, con Stargate, e con molte altre. La mia serie preferita? “LA SERIE” ossia LOST. Potrei iniziare a parlare di questo ma sono talmente tante le cose che ho da dire e talmente tante le cose da evidenziare. Parlare di Lost equivale a parlare di filosofia, storia, religione e molto altro ancora. Ne parlerò, non ora ma ne parlerò. Resta il fatto che per me LOST è la più grande opera prodotta per il piccolo schermo negli ultimi 30anni.
Da un paio d’anni a quest aparte sto seguendo True Blood, una serie tv americana di grande successo da una trama molto particolare. Il genere è Horror ma si può anche inserire in altri sotto-insiemi come Trash, Erotismo, Violenza, Splatter ecc…
E’ facile dare già un giudizio e pensare “deve essere davvero brutta questa serie se comprende tutti questi generi”, ma in realtà non è così.

La serie è prodotta dalla HBO creata da Alan Ball ed è basata sui romanzi del Ciclo di Sookie Stackhouse (di Charlaine Harris).

La trama:
La time-line della serie e parallela ai giorni nostri. Grazie alla creazione di un sangue sintetico (il ‘true blood’ che tradotto è ‘sangue vero’), i Vampiri che sin da sempre hanno vissuto insieme agli umani nascosti tra di loro decidono di mostrarsi in pubblico e dichiarare ufficialmente la loro esistenza. Grosso modo sono dei classici: immortali, fotosensibili, dormono sotto terra, zanne al posto dei canini che scattano alla bisogna, iper-velocità, super-forza, ecc… Non soffrono la religione, il crocifisso non ha effetto su di loro (anche se in futuro scopriremo che possono ‘piegarsi’ sotto alcuni riti di natura religiosa-mistica). Questi esseri chiedono una sorta di parità di diritti e una integrazione tra la società degli umani senza discriminazione, si professano buoni, succhiano comunque sangue umano senza ucciderlo e solo se quest’ultimo acconsente. Nascono quindi veri e propri locali pubblici gestiti da vampiri (come il ‘fangtasia’ slang preso da fang=zanne) e altrettanti culti di umani che venerano questi esseri ‘non-morti’ facendosi mordicchiare da loro così come, il rovescio della medaglia, vere e proprie congregazioni anti-vampiro.
Siamo a Bon Temps, cittadina fittizia a nord della Luisiana (Bon Temps = Bei Tempi), dove vive una cameriera di nome Sookie Stackhouse. Questa ragazza ha un dono: legge i pensieri della gente. Questo ‘dono’ le ha sempre creato delle difficoltà nel relazionarsi con le persone che la circondano, infatti riesce sempre a sapere cosa queste persone pensano di lei, sia nel bene, che nel male. Ciò facendo lei cerca sempre di mantenere le distanze da tutti. Un giorno, anzi, una sera, entra nel locale dove lei lavora un ‘giovane’ vampiro. Non si erano mai visti vampiri in quella città e la presenza di questo ‘essere’ provoca curiosità, diffidenza e sospetto nei confronti di tutti i clienti che si trovano in quel locale. Unica ad avere un certo interesse è proprio lei, Sookie, la quale non solo ne rimane affascinata ma si accorge che non riesce ad entrare nella mente nel vampiro sentendosi così ‘normale’ al suo fianco. E’ facile immagnare che nascerà la classica storia d’amore umano/vampiro ecc.. ecc…

La serie si presenta con una sigla molto bella e quello che più mi ha colpito è la location: Luisiana.
La sigla (che gli americani chiamano ‘Opening’) è a parere mio favolosa. Si intitola Bad Things composta da Nathan Barr e cantata da Jace Evett. Le immagini presentano ambienti paludosi, riti esorcizzanti, camionisti ubriachi nei bar, carcasse di animali morti e molto altro di questo genere. Grazie a questa Opening abbiamo subito un’idea dello scenario dove si svolge la serie. Non un classico scenario USA dove i grattacieli e gli ambienti mondani fanno da padrone bensì la campagna, la povertà e il vivere comune dell’americano medio, che tira avanti giorno per giorno per campare.

Siamo in Luisiana, stato confinante del Mississipi dove sono ancora calde le ceneri delle lotte interraziali. Questi stati, a parere mio, rappresentano l’america ferita l’america povera e forse l’america più vera. La popolazione locale vive di agricoltura, di pesca, non ci sono industrie degne di nota. Principalmente la gente vive grazie ad una propria attività. L’uragano Katrina, il disastro della BP cadono proprio in quei posti dove le ferite non sono ancora cicatrizzate.

Per quanto questa serie possa presentare contenuti sessuali espliciti e spinti, sangue, splatter e cose di questo genere è facile, seguendo la storia e la trama, identificare questi vampiri come quella minoranza alla quale non viene concesso alcun diritto dal punto di vista morale, sociale e politico. Sembrano una sorta di gay, di omosessuali, che tutt’ora la popolazione comune fa fatica ad accettare.
Molti sono i collegamenti infatti che lo fanno pensare. Sulle strade si leggono cartelli come ‘God hate fangs’ = ‘Dio odia le zanne’ riferito ai denti dei vampiri ma con impressionante somiglianza a cartelli (o a frasi o a pensieri) che si leggono quotidianamente nella vita reale ‘God hate fags’ = ‘Dio odia i froci’.

Senza dubbio è una questione che l’autore vuole sottolineare e sensibilizzare, un pò come Gene Roddemberry fece negli anni ’60 con Star Trek dove, con la scusa dello spazio, toccava temi più che reali e sensibili dell’epoca (tra questi anche le discriminazioni sociali).

Io quello che vedo in realtà è molto superficiale, non vado così a fondo nell’apprezzare questa serie. Quello che mi piace è l’ambiente, la trama, le storie dei personaggi. Ognuno è molto particolare e i colpi di scena non mancano mai puntata per puntata. Certo, anche io apprezzo questi metodi di ‘denuncia-sociale’ che molti autori utilizzano nelle proprie produzioni, ma io non mi fermerei solo a questioni di Gay o di razzismo bianco/nero. Ognuno di noi dovrebbe guardarsi attorno e capire che c’è sempre una minoranza, un qualcosa di diverso che noi tendiamo a ghettizzare o a isolare. Per alcuni sono i Romeni, Albanesi, Nordafricani, per altri sono gli atei, i testimoni di geova, i preti per altri ancora i punk, i terroni, i polentoni… ne possiamo trovare di qualsiasi pasta e tipo se vogliamo ma mi fermo qua perchè l’argomento è più che noto e discusso.

Questo è True Blood, è l’ America ferita, è l’ America povera ma è anche quella parte di America vera, non quella spesso iconizzata dove troviamo strade enormi, costruzioni faraoniche e… supereroi.

Chiudo con i miei complimenti agli auturi di questa serie, sperando che abbia ancora un lungo proseguo. In questi giorni sta andando in onda negli States la quarta stagione, speriamo che continui e soprattutto che, quando sarà ora, abbia un bel finale d’autore.
Alla Prossima.

John Crichton

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