Rock & Diritto- “Un giorno anche la guerra si inchinerà al suono di una chitarra”: Jimi Hendrix

In questi giorni di odio e rabbia tra Islamismo e occidente, odio contro gli americani e i loro simboli di civilizzazione, la memoria va inevitabilmente ad un altro periodo di rottura e lotta. Tutto era straordinariamente differente: la visionarietà e la potenza di quella battaglia era proprio in questa sua prerogativa: combattere con i fiori e con l’amore la guerra del Vietnam e l’imperialismo dilagante della politica estera americana. “Un giorno anche la guerra si inchinerà al suono di una chitarra“. 

Lui è l’emblema di questa lotta, la sua esibizione in chiusura del festival di Woodstock 1969 ne è la colonna sonora: Jimi Hendrix che suona l’inno nazionale americano con la sua mitica Fender Stratocaster in maniera completamente distorta è il suono della rivoluzione pacifista e di tutto quel che essa rappresentò in America.

James Marshall “Jimi” Hendrix nasce a  Seattle il 27 novembre 1942.
Quello che all’inizio sembrava il suo treno del destino arriva nel 1966 perché durante una serata al Cheetah Club conosce  Linda Keith che gli fece conoscere Andrew Loog Oldham, manager dei Rolling Stones. In realtà dall’incontro non nacque sere scintille ma la ragazza gli fece conoscere anche Chas Chandler bassista degli Animals.
Stavolta l’incontro è quello delle scintille.  Oldham propose a Jimi di interpretare il brano Hey Joe che Jimi Hendrix rielabora in una sua straordinaria interpretazione che lascia senza parole tanto che subito decide di portarlo con sé a Londra per incontrare il manager uscente degli Animals Michael Jeffery. Prima però decide di acquistare utti i diritti legali sugli accordi che vincolavano Hendrix, in modo da ottenere l’esclusiva sulla sua futura produzione (anche se il chitarrista si dimenticò del contratto con Chalpi  il quale lo avrebbe rivendicato anni dopo!).

Dopo un complicatissimo arrivo a Londra per problemi di documenti si lavora per affiancare Jimi ad  altri musicisti per accompagnarlo  nel suo modo tutto personale di fare musica e cosi nasce la Jimi Hendrix Experience con il chitarrista Noel Redding al basso ed il batterista Mitch Mirchell.
Dopo l’esperienza ed il successo londinese Jimi ed il suo gruppo dovevano tornare nella grande America e cercare di sfondare anche qui. L’occasione nel 1967 per il festival del Monterey International Popo Festival: plasmano qui una delle esibizioni più acclamate del festival, suonando, fra le altre canzoni, proprio “Hey Joe” e  nei 40 minuti dell’esibizione Hendrix suona la sua mitica chitarra Fender Stratocaster in un modo fino ad allora mai visto,  arrivando quasi a mimarvi rapporti sessuali o  a suonarla con i denti, dietro la schiena, contro l’asta del microfono e contro l’amplificazione.

Il palcoscenico è per Jimi un luogo di catarsi, qui con la sua chitarra riesce ad entrare e a far entrare il pubblico in un vortice di puro delirio per la musica che in pochissimi forse sono riusciti nella storia della musica.
Incanto e coinvolgimento le parole che mi vengono in mente ascoltandolo.

L’esibizione al festival di Monterey diventa famosa il tutto il mondo anche per la sua conclusione: Jimi dà fuoco alla sua chitarra e la distrugge contro palco ed amplificatori. Una sorta di catarsi personale che passa attraverso ala distruzione della sua chitarra come a voler estrarre da questa ancora più note e musica.

Hendrix però è sempre più in rottura con il mondo ortodosso della musica e appena può sottolinea ed esaspera questa rottura che lo porta  ad interrompere i rapporti anche con il suo manager. Il suo stile è stato definito visionario, acido, i qualche modo colorato da pennellate di modalità psichedeliche che difficilmente poteva essere racchiuse dentro quegli schemi convenzionali che a volto il mondo discografico richiede.
Jimi però è anche un perfezionista, di quelli che  oltre  pretendeva che i musicisti ed i tecnici registrassero  all’infinito fino a trovare l’equilibrio perfetto.

Ben presto però la personalità forte ed ingombrante di Jimi porta anche alla fine della Jimi Hendrix Experience nel 1969.  Un anno difficile per il chitarrista anche per altri aspetti:il suo stile di vita completamente fuori e contro le regole ed i sistemi gli portano inevitabilmente numerosi problemi legali tanto da essere arrestato anche per possesso di droga.

Un anno si difficile il 1969 per Jimi ma è anche l’anno del grande festival di Woodstock.
La sua esibizione divenne ed lo è ancora oggi il simbolo di quello straordinario evento dai tratti mondiali. Un evento conosciuto e  famoso in tutto il mondo, una pietra miliare della musica di tutti i tempi. In quei tre giorni la cultura hippie trovò la sua massima espressione ma non solo quella, il festival diventa la cultura di quella musica che sa trovare un canale di espressione e che sa esplodere senza alcuna previsione.
Il sogno di un mondo migliore,di un futuro diverso e di pace e, per qualcuno e per chi ha vissuto quell’esperienza, forse quell’evento era anche il risveglio da quel sogno . La mitica versione di The Star-Spangled Banner, l’inno americano suonato con la chitarra distorta ad imitare le bombe e le urla della guerra del Vietnam, e infine la canzone che ha concluso il raduno, Hey Joe sono tra le perle di quel festival; quella memorabile esibizione resta e resterà sempre nella storia della musica e non solo: l’esecuzione in quel modo dell’inno americano sembra risuonare ancora ogni volta che si parla di Woodstock, anche a distanza di anni,anche nelle orecchie di chi nemmeno era nato in quegli anni ma che ha vissuto quello straordinario evento attraverso il ricordo degli altri.(https://www.fattodiritto.it/focus-rock-diritto-woodstock-tre-giorni-al-centro-del-mondo/)

Dopo altre numerose produzione e cambi di formazioni musicali a rappresentare la difficoltà di una grande artista a riuscire a confrontarsi con altri, nel 1970 si esibisce allo storico Festival dell’Isola di Wight .
Il 6 settembre 1970 al Festival di Fehmarn in Germania la sua ultima esibizione dal vivo  che però è una grande delusione per Jimi che viene accolto da fischi e contestazioni da parte del pubblico.

La mattina del 18  settembre 1970, la parabola di Jimi  Hendrix si chiude: viene trovato morto nel suo appartamento.
Sulla sua morte ancora oggi non ci sono versioni certe ed univoche. Quella più diffusa, messa in circolo dalla sua ragazza tedesca Monika Dannemann, presente nella stanza al momento del fatto, racconta di come Hendrix sia soffocato nel suo vomito dopo un improvviso cocktail di alcool e tranquillanti.
Dopo la morte, le spoglie di Hendrix vennero riportate negli Stati Uniti e sepolte nel Greenwood Memorial Park di Renton a  Washington e sulla lapide venne fatta incidere, assieme al nome, la sagoma di quella che fu la sua chitarra, la Fender Stratocaster.
Ben presto però viene progettata una sepoltura autonoma dati i numerosi fan che spesso affollano la tomba ed in questa cappella ora riposa Jimi , suo padre e la sua famiglia.

O forse mi piace pensarlo che non riposa affatto ma che insieme alla sua mitica chitarra intona assoli raffinati per chiunque, con la sua musica nel cuore, gli vada a fare visita.

VALENTINA COPPARONI

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