“Bob Dylan e gli anni ‘60”

SAGGIO DI ISTITUTO STORIA MARCHE E CLUEB

di Salvatore Cammarata

 

F&D copertina Dylan,jpg– Ancona -Robert Zimmerman, in arte Bob Dylan. Il cantautore vate, enigmatico e geniale che ha affascinato il movimento giovanile degli anni ’60. L’ultimo numero della rivista quadrimestrale “Storia e problemi contemporanei” (curata dall’Istituto Storia Marche ed edita da Clueb) è un’antologia saggistica che tratteggia un profilo completo di quello che era ed è l’artista, evidenziandone molte peculiarità. L’abbandono della politica attiva avviata dal cantautore durante la “svolta elettrica”, genere musicale più aggressivo e stridente, deplorata da buona parte del suo pubblico nel ’63, viene interpretata dagli autori Emanuele  Mochi e Massimo Papini come una maturazione della protesta di Dylan, che risulta più disincantata e critica. Ci presentano Bob Dylan come un interprete profeta delle inquietudini di quegli anni che precedevano il ‘68, generanti una “fiction moda edonistica” rappresentata dagli hippies come antesignani degli yuppies degli anni 80. E chi scrive condivide questa apparentemente spericolata analogia. C’è dell’ altro nell’articolo: il contraddittorio del ”nuovo”. Ovvero, i nuovi ideali di modernità e di benessere, apparentemente simboli di progresso, secondo i due autori sono invece caratterizzati da violenza o da qualsiasi altro tipo di disvalore.  E’ proprio l’autorappresentazione contraddittoria dell’America a generare personaggi epici come Kennedy o Martin Luther King per poi distruggerli. Un’America che traduce la pace e la libertà in guerra, segregazione razziale ed autoritarismo.

Riccardo Bertoncelli nel suo contributo (uno dei nove dell’antologia) si sofferma invece sulla svolta epocale  del ’65, avvenuta con il brano “Like a rolling  stone”, considerato una sintesi di musica USA dove le sfumature di voce smorfiata, la timbrica d’avanguardia (all’epoca) dell’organo Hammond e la chitarra blues “puntuta” di Bloompield sono i tratti più caratteristici del nuovo stile folk rock. Le esibizioni elettriche fecero allora molto discutere negativamente. Tanto che Bob fu costretto a “prendere una vacanza”, durante la quale a Woodstok una brutta caduta dalla moto lo immobilizzò, costringendolo – per sua fortuna – ad annullare tutti gli impegni, dandogli il tempo di riprendere in mano la situazione. E cosi fu.

Più speculativo il carattere dell’articolo di Alessandro Carrera sulla condizione di “fuorilegge” di Dylan. Tutto fu originato dalle polemiche divampate tra il pubblico, che considerava traditore e fuorilegge il suo idolo. Dylan, con una virata di 360°, dirigeva ormai la prua della sua poetica letteraria verso i nuovi lidi della metamorfosi “elettrica”. E raccolse la sfida insistendo sull’onestà della sua posizione di “fuorilegge”, affermando nel brano “Absoluty sweet Marie” l’importanza della condizione di onestà non tanto fuori dalla legge quanto al di fuori del riparo dalla legge. In quanto per vivere al di fuori della legge bisogna essere onesti. Soprattutto con se stessi. Carrera affronta poi la “questione giustizia”, che per Dylan è solo divina, non pacifista ma cruenta. Il brano “Masters of war” ne è un esempio. Considerato una canzone pacifista, per Carrera non lo è. Basta soffermarsi sugli ultimi versi delle strofe finali intrise di castighi violenti e vendette inenarrabili contro gli ingiusti profittatori di guerre e di iniquità. La carità cristiana risulta essere del tutto inesistente. La legge del taglione fa da padrona.
La raccolta fluisce inoltre sulle ideologie che hanno inciso sull’opera di Dylan. Sono degni di nota: il Marxismo Brechtiano e il Nichilismo elettrico, di cui si occupano rispettivamente Mochi e Daniela Simoni. Nel complesso un eccellente lavoro che ci fa conoscere Dylan come imprevedibile e sibillino genio dei nostri tempi.

Per informazioni sulla pubblicazione: www.storiamarche900.it – 071/2071205

(tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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