Wonder Woman, la recensione

di Alessandro Faralla (Responsabile Cultura e Spettacoli F&D)

IL FILM PIÙ COERENTE E ARMONIOSO DELL’UNIVERSO CINEMATOGRAFICO DC CON UN’IRRESISTIBILE GAL GADOT. LA REGISTA PATTY JENKINS PORTA SUL GRANDE SCHERMO LE ORIGINI DI UNA GUERRIERA LEGGENDARIA, PIENA DI CUORE E SENSIBILITA’

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Io sono Diana di Themyscira” . Lo ripete spesso la giovane amazzone Diana una volta catapultata nella civiltà, lontana dalla tranquillità e dalla bellezza dell’Isola Paradiso, isolata dal mondo esterno e abitata solo da donne guerriere.
Cresciuta con il Mito di Zeus che creò le amazzoni per proteggere il mondo dalla malvagità del figlio Ares, signore della Guerra, convinto che il genere umano fosse incline soltanto alla corruzione, Diana fin da giovanissima è una figura curiosa e indomita, addestrata duramente da Antiope, sua zia nonché generale delle Amazzoni. Al contrario della regina Ippolita, preoccupata nel proteggere la figlia dal suo stesso potere, Antiope ha la lungimiranza e la tenacia di vedere ciò che Diana è destinata ad essere.

Se L’Uomo d’Acciaio e Batman v Superman facevano incessante riferimento ad immagini bibliche e simbolismi, in questa che è una storia di origini l’eco dell’antichità, del mito greco è l’incipit che motiva la storia e il cammino di una principessa nel mondo degli uomini, un mondo che gli precipita addosso quando il capitano americano Steve Trevor giunge sulle sponde dell’Isola dopo un atterraggio d’emergenza (forse l’isola non era proprio nascosta!).
Diana per la prima volta si trova dinanzi un esemplare dell’altro sesso, un uomo che le comunica come nel mondo esterno un enorme conflitto sta mietendo distruzione e morte.

E sarà su questo doppio binario, sugli sguardi opposti con cui il capitano e l’amazzone si rapportano con la realtà che Wonder Woman si snoderà: la prima guerra mondiale lo sfondo per introdurre Diana nel grigiore e la barbaria del genere umano, lontana dai colori accesi, puri e rassicuranti dell’Isola dove è cresciuta.
La Diana Prince enigmatica e affascinante vista in BvS fa spazio ad una ragazza ingenua e impreparata alla civiltà, fermamente convinta che il dolore perpetrato in maniera così cinica dagli uomini è frutto dell’inganno di Ares. Che sia un piano del Dio della guerra o no la Diana plasmata da Patty Jenkins è spaesata, fatica a comprendere che in battaglia è impossibile salvare tutti, che principi e onore il più delle volte soccombono.
L’animo candido, l’ardore e la generosità dell’eroina che è in lei la spingono a fare ciò che gli altri non possono o non vogliono fare e così con la stessa fermezza con cui ha deciso di lasciare la quiete di Themyscira assistiamo alla nascita di una leggenda rappresentata nelle movenze - dai corpo a corpo alle corse a cavallo - con un’efficacia sostenuta da temi musicali che vanno ad integrarsi nello sviluppo senza invadere la scena. Convince quindi in questi passaggi movimentati l’uso della slow motion che al contrario del prologo sull’isola paradiso durante l’allenamento delle amazzoni o nello scontro con i tedeschi appariva leggermente meccanico per quanto coreografato lucidamente.

Se dopo il piccolo e graffiante ruolo in BvS qualcuno aveva ancora dei dubbi sul casting di Gal Gadot questo standalone spazzerà via le perplessità dei più critici.
Il volto, gli sguardi e la presenza scenica di Gal Gadot, nelle sequenze action o quando indossa abiti civili, rendono il personaggio carico di una maestosità genuina.
L’alchimia istantanea tra Diana e Steve e quindi tra la Gadot e Chris Pine fa di Wonder Woman non semplicemente un prodotto che promuove il femminismo o l’emancipazione di un genere ma un racconto universale fatto di scoperta, reciprocità e fiducia nell’incognita della guerra.
Tempi e spazi naturali tra i due sono conditi da un’ironia semplice, priva di eccessive sottolineature ed è proprio la grande e positiva novità del quarto film dell’Universo DC: i momenti di humour non sono un vezzo, una tassello stonato all’interno della storia ma un elemento che senza storpiare si inserisce nella narrazione con equilibrio aderendo all’identità del cinecomic.

Il terzo atto nei suoi ultimissimi  risvolti rimane la nota più dolente dei film DC: non per come ci  arrivi ma per il modo sciatto e riduttivo con cui si contrappone sul piano del linguaggio il villain. Un’inversione , in aggiunta ad un casting, qui si decisamente poco incisivo per il ruolo dell’antagonista, che disperde la linearità di un lavoro di penna non certo audace o privo di superficialità ma senz’altro dignitoso e con un paio di guizzi che riescono a dire molto, con poco, della condizione di certi uomini in guerra o di alcune minoranze.
Anche questo finale, meno caotico di quello concepito in Batman v Superman pur utilizzando tonalità cromatiche molto simili va in affanno depotenziando il percorso avvincente condotto fino all’apice da un’eroina che fa della compassione, dell’amore il vero mito su cui fondare il futuro dell’umanità.

Wonder Woman mancherà di scene madri, della potenza visiva di un stiloso come Zack Snyder ma rimane, nel complesso, il film dell’universo esteso DC più omogeneo e strutturato.
Ed ha nella sua protagonista, in Gal Gadot un’eterno momento di meraviglia, magnetica in ogni inquadratura, sensuale ed eccitante nel suo essere sé stessa da valere la visione.

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