Virus Ebola, aumenta la paura di una pandemia

TRA ALLARMISMO E NUOVE SCOPERTE: FACCIAMO IL PUNTO

del dottor Giorgio Rossi

imagesCon le 8.914 persone finora ( metà ottobre) ammalate di cui 4.447 morte e soprattutto con l’uscita della infezione dai confini dei paesi dell’Africa Occidentale, Ebola sta preoccupando sempre più la popolazione mondiale, i governi e le strutture sanitarie .

Dal primo caso riscontrato nel 1976 in Congo, varie sono state le epidemie scoppiate nel corso degli anni in diverse zone dell’Africa occidentale che si sono risolte in tempi relativamente brevi, tanto che Ebola si era ritagliata la fama, di virus ad alta mortalità, ma a scarsa diffusibilità.

I focolai erano rimasti circoscritti nonostante i bassi livelli della sanità pubblica delle zone colpite e le infezioni avvenivano soprattutto per la scarsa igiene delle popolazioni e di alcune particolari abitudine come quella di consumare carne di pipistrello che sembrerebbe l’animale maggiormente coinvolto come serbatoio di virus. In sostanza la malattia febbre emorragica causata dal virus Ebola è sempre stata considerata una malattia di interesse locale ed è per questo che i grandi istituti di ricerca e soprattutto le multinazionali del farmaco non hanno mai avviato ricerche né per capire a fondo le caratteristiche e l’epidemiologia del virus, né per identificare una specifica cura o vaccino o farmaco.

In questi 38 anni di presenza, il virus Ebola, come dimostrato da uno studio condotto dal Massachusetts Institute of Techonoly, ha subìto per 300 mutazioni rendendo l’attuale virus diverso da quello originario.

Da qui il fatto che alcuni aspetti si stanno conoscendo in corso d’opera durante l’attuale epidemia. E’ il caso del rapporto del Centro Europeo per il Controllo delle Malattie (ECDC) datato 6 ottobre ove viene definitivamente dichiarato che il virus di Ebola permane vitale nello sperma umano fino a 7 settimane dopo la guarigione, dopo la scomparsa del virus dal sangue. Motivo per cui viene raccomandata l’astensione dai rapporti sessuali per almeno 3 mesi dopo la guarigione. Nello stesso rapporto si legge che il rischio di trasmissione andrebbe considerato anche in relazione alle donazioni di cellule riproduttive , sia per fecondazione omologa che eterologa, indicando 12 mesi il periodo di differimento per la donazione. Altro serbatoio di virus che permane dopo la guarigione è stato individuato nel latte materno. Aumentano così le vie di contagio, fermo restando quelle ormai considerate classiche e cioè i fluidi biologici : saliva, sangue, urine, feci, vomito, lacrime; confermata la non trasmissibilità per via aerea.

Alcuni esperti virologi, tra cui Robert Gallo, famoso studioso dell’HIV, affermano che la minore mortalità di epidemia 2014 rispetto alle precedenti può contribuire alla maggiore diffusione. Analizzando lo storico si osserva che la mortalità viaggiava intorno al 70% con punte del 90%, contro il 50% attuale; la maggiore sopravvivenza delle persone colpite aumenta il tempo di esposizione all’ambiente con una maggiore probabilità di diffondere il contagio.

Inoltre sono anche sotto indagine le varie procedure di protezione del personale sanitario per verificare se esistono punti deboli che possano giustificare l’avvenuto contagio tra il personale sanitario nei paesi al di fuori della zona calda dell’Africa Occidentale ove invece si sa che non sempre vengono perfettamente seguiti i protocolli di protezione specie tra la popolazione . Ciò, ovviamente, rappresenta la maggiore causa del mantenimento dell’epidemia.

Un interessante editoriale è comparso sulla prestigiosa rivista medica britannica The Lancet in cui vengono analizzati alcuni aspetti delle vie seguite dalle Istituzioni sanitarie mondiali di fronte ad Ebola, in particolare viene riferito sulla World Health Organization (WHO), Organizzazione Mondiale della Sanità, riguardo al ritardo, solo l’8 agosto, con cui ha dichiarato al mondo che l’attuale epidemia di Ebola “ rappresenta una emergenza sanitaria internazionale e una chiara minaccia alla sicurezza sanitaria globale”. Ciò viene essenzialmente messo in relazione al fatto che già nel lontano 1969 la WHO aveva creato un suo ramo, The International Health Regulation (IHR) con la funzione di monitorare costantemente epidemie o altre emergenze sanitarie a livello mondiale. All’IHR afferiscono 196 paesi nel mondo che avrebbero il compito di aggiornare costantemente il database globale della WHO su ogni singola situazione sanitaria, ma non essendo previsti compensi economici né sanzioni per i vari paesi, questo flusso non sempre risulterebbe adeguato alle varie situazioni.

Inoltre la WHO non avrebbe budget adeguati per fronteggiare le richieste di aiuto economico dei paesi colpiti.

Ecco allora gli interventi diretti dei Capi di Stato. Il Presidente degli Stati Uniti il 18 ottobre ha nominato un consigliere speciale , un super commissario , lo zar, come viene definito in America , con l’incarico di guidare la risposta degli USA al pericolo Ebola. L’Inghilterra sta inviando in Sierra Leone navi della Royal Navy attrezzate ad ospedale con personale sanitario specializzato. Il 16 ottobre a Bruxelles riunione dei ministri della salute europei per decidere una strategia comune anti-infezione. L’Italia è pronta ad intervenire con due aerei militari C130 attrezzati per il trasporto dei malati al Centro di Riferimento Ospedale Spallanzani di Roma , anche se l’orientamento emerso a Bruxelles è quello che i malati delle aeree colpite vengano curati localmente.

Intanto, però, il 17 ottobre arriva una dichiarazione della Casa Farmaceutica GSK (GlaxoSmith Kline) che il vaccino che sta allestendo, anche nei suoi laboratori di Pomezia in provincia di Roma , sarà pronto soltanto nel 2016. Attualmente sono in corso test di fase 1 su volontari sani in USA, Gran Bretagna e alcuni Paesi africani per valutare gli effetti collaterali, poi verrà cercata la dose efficacie e la durata del tempo di protezione e quindi i tempi per una produzione in larga scala.

Contemporaneamente negli USA le Autorità Sanitarie hanno chiesto ai laboratori competenti di produrre in larga scala il siero ZMapp, prodotto dalla Mapp Biopharmaceutical di San Diego, California, primo farmaco ad essere usato con l’autorizzazione della FDA ( Food and Drug Administration) nonostante la mancanza di registrazione e che contribuì alla guarigione dei due operatori sanitari americani tra i primi ad essere colpiti.

E intanto continuano gli appelli di Medici senza Frontiere :” nessuno sa quando durerà l’epidemia, ma i nostri pazienti, gli operatori e la popolazione in Africa Occidentale non possono permettersi di aspettare , ritardi inammissibili”.

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