Tutti vogliono qualcosa, la recensione

Tutti vogliono qualcosa

di Alessandro Faralla (Responsabile Cultura e Spettacoli F&D)

Tutti vogliono qualcosa


Richard Linklater
ci conduce negli anni 80, per la precisione nel 1981 e ci trasporta negli ultimi giorni di vacanza che precedono l’inizio dell’università.
Jake Bredford (Blake Jenner) è una giovane matricola che prende possesso della casa che condividerà con i compagni della squadra di baseball.
Mancano solo tre giorni all’inizio delle lezioni e il neo arrivato Jake assimila ben presto le sfumature di un habitat fuori dagli schemi e apparentemente folle.
Il film è considerato da molti un sequel spirituale di La Vita è un Sogno, film del 1993 sempre ad opera di Linklater, che seguiva la vicenda di alcuni ragazzi nel corso dell’ultimo giorno di liceo.

Per chi non conosce il regista e il suo stile può sembrare spiazzante seguire i momenti della giornata di un gruppo di giovani estroversi e un po’ cazzoni, ci si aspetta sempre una svolta, un senso specifico nella trama che però non troverete, perché non bisogna cercarlo, bisogna osservare, seguire l’attimo e Linklater è un maestro nel cogliere i piccoli momenti, le sfaccettature, gli episodi anche banali ma pieni di energia della vita.

Sono gli anni 80’ e la ricostruzione dell’epoca non appare mai artificiosa, è tutto meravigliosamente spontaneo, naturale: i contesti, le varie situazioni, i costumi, i suoni persino i profumi quasi stessimo guardando un video di una festa dei nostri genitori o zii.
Tra estrose storie per rimorchiare, feste di ogni genere e personaggi originali vediamo il giovane Jake lasciarsi trascinare in questa nuova strada , eccitante e mai scontata.
Un plauso alla scelta degli attori, ai più sconosciuti, assieme emanano un’alchimia e una forza non facile da riscontrare, ogni personaggio ha una sua precisa identità, qualcosa che lo contraddistingue nella rappresentazione della loro quotidianità.

Il difetto di Tutti Vogliono Qualcosa sta nel ritmo debole e nell’assenza di quell’ omogeneità, della carica umana che a mio avviso distinguevano l’ambizioso Boyhood e la trilogia di Before.
Qui probabilmente la sensazione di incompleto è data dal fatto che molto deve ancora avvenire, siamo solo agli inizi di un percorso che deve solo essere vissuto.

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