Strage di Ustica: l’ultimo volo del DC-9 Itavia precipitato nel mistero

IL 27 GIUGNO 1980 LA TRAGEDIA DI USTICA
Più di trent’anni per darci risposte giudiziarie. E non sono arrivate tutte quelle che ci si aspettava di sicuro. Ma le domande su quell’ultimo drammatico volo dell’aereo di linea Douglas DC-9 dell’Itavia, squarciatosi improvvisamente mentre sorvolava le isole di Ponza e di Ustica, poi precipitato e scomparso in mare, non sono mai arrivate. Il relitto del velivolo se l’è mangiato il mare, il Tirreno, che nel suo cuore lo custodisce ancora, almeno in parte. Trent’anni di mistero su quella che ancora oggi resta una delle pagine più nere della cronaca internazionale. Nel disastro aereo di Ustica persero la vita 81 persone tra passeggeri, piloti ed equipaggio. Si scrisse molto, quasi tutto, su quel drammatico volo del 27 giugno 1980. Ed oggi, dopo trent’anni di inchieste, indagini, ricostruzioni, accuse, ricorsi, lacrime e musei della memoria a ricordare le vittime della tragedia, i giudici civili del Tribunale di Palermo sono arrivati a un punto di snodo fondamentale. Nella sentenza pronunciata il 14 giugno 2011 scrivono che a far precipitare il DC-9 della compagnia aerea Itavia fu un missile o “una quasi collisione tra velivoli militari non identificati che volavano attorno all’aeroplano al momento del disastro”. E’ una delle conclusioni a cui sono giunti i giudici, che hanno condannato i Ministeri a risarcire i familiari delle vittime del disastro. I magistrati escludono che a causare l’incidente fu una bomba piazzata a bordo.

Il Fatto: Alle 20,08 del 27 giugno 1980 la partenza del volo IH870 diretto dall’aeroporto di Bologna a quello di Palermo. Decollo con due ore di ritardo, ma regolare nei tempi e nella rotta, come stabilito dal controllore procedurale di Roma Controllo. Alle 21,04 si perdono i contatti. Chiamato per l’autorizzazione di inizio discesa su Palermo, il volo IH870 non risponde più a nessuna chiamata dalla Torre di controllo dell’aeroporto di Palermo, ne da altri due voli dell’Air Malta che seguono la stessa rotta, ne dal radar militare di Marsala. Il velivolo DC-9 avrebbe dovuto atterrare a destinazione alle 21,13. Ma del volo più nessuna notizia. Iniziano le ricerche, vane per molte ore. L’aereo dell’Itavia sembra disperso, sparito nel nulla. Inghiottito in quello stesso fitto mistero che ne serba la tragica fine da trent’anni.
Solo all’alba del
28 giugno un elicottero del Soccorso aereo individua qualcosa: alcune decine di miglia a nord di Ustica viene individuata una macchia oleosa. Allora, solo allora, vengono avvistati i primi relitti e i primi cadaveri. Ottantuno le vittime, di cui tredici bambini. Ma solo le salme di trentotto persone vengono ritrovate e restituite ai familiari per essere piante. Su sette dei 38 corpi recuperati viene disposta ed effettuata un’autopsia. Dall’analisi delle lesioni enfisematose polmonari causate da decompressione e dei traumi riscontrati a livello scheletrico-viscerale, il medico legale stabilisce che l’aereo si era aperto in volo. Gli enfisemi da depressurizzazione non furono la causa del decesso, ma provocarono una perdita dei sensi. La morte sopraggiunse solo in seguito, a causa dei traumi riportati dall’impatto continuo dei corpi con la struttura dell’aereo in caduta e dalle schegge metalliche che li trafissero. Nessun sopravvissuto. Il velivolo precipitò in quel punto del Mar Tirreno, ingoiato a oltre tremila metri di profondità.

Le Ipotesi: Negli anni gli inquirenti hanno lavorato su diverse piste. Tra queste, quella secondo cui il DC-9 sarebbe stato abbattuto da un missile; la collisione con un altro velivolo o il cedimento strutturale. Avanzate anche le inquietanti ipotesi dell’esplosione di una bomba a bordo e di una collisione con il Mig Ibico precipitato sulla Sila e ritrovato venti giorni dopo il disastro.

Le indagini: Trent’anni di indagini, inchieste, cartelle di atti, quasi trecento udienze processuali e ancora le cause del disastro aereo di Ustica restano incerte, esattamente come le responsabilità. Furono aperti procedimenti dalle Procure di Palermo, Roma, Bologna. Il Ministro dei Trasporti Rino Formica nominò una Commissione d’inchiesta, autoscioltasi nel 1982 quando la tesi prevalente era che l’aereo precipitò per cedimento strutturale dovuto a cattiva manutenzione. Fu revocata la concessione delle linee aeree all’Itavia. Su alcuni, pochi, resti disponibili gli inquirenti trovarono tracce di esplosivi Tnt e T4, componenti presenti nelle miscele di ordigni militari: questo indirizzò le indagini su due ipotesi, quella della bomba a bordo e della collisione col missile. Secondo le rivelazioni pubblicate su WikiLeaks, l’allora Ministro per le Relazioni con il Parlamento Carlo Giovanardi sostenne in Parlamento la tesi della bomba, per tentare di negare le responsabilità degli Usa. Versione smentita successivamente dal Ministro. Nel 1987 l’allora ministro del Tesoro Giuliano Amato stanziò i fondi per il recupero del relitto, conficcato a 3.700 metri di profondità nel cuore del Tirreno.

Solo alla fine del 1991 il relitto fu riportato in superficie nella sua quasi interezza (il 96%). Lo scheletro del DC-9 venne ricomposto in un hangar dell’aeroporto di Pratica di Mare, dove rimase a disposizione dell’autorità giudiziaria fino al giugno 2006. Poi, trovò un nuovo spazio grazie ai vigili del fuoco di Roma nel “Museo della Memoria” a Bologna.

Nel 1989 venne istituita la Commissione Stragi presieduta dal senatore Libero Gualtieri. Tra le sue competenze rientrava a pieno titolo anche la strage di Ustica. Per undici anni si cercò la verità, interessando i governi e le autorità militari. Nella ricostruzione degli esperti si affermò con certezza che l’abbattimento fu causato da un missile. Ma l’onorevole Francesco Cossiga, allora a capo del Governo, non prese in considerazione questa ricostruzione.

Il presidente della Itavia Aldo Davanzali, per aver condiviso la tesi del missile, fu indiziato del reato di diffusione di notizie atte a turbare l’ordine pubblico. Lo stabilì il giudice romano Santacroce incaricato dell’inchiesta. Davanzali, anconetano, vide distrutta la sua vita e la sua carriera a seguito di questa tragedia ancora senza risposta. Negli anni anche gli inquirenti dovettero ammettere il sostanziale fallimento delle indagini dovuto a estesi depistaggi e inquinamento delle prove da parte di numerosi soggetti. Per questa ipotesi investigativa seguirono altre indagini che si sovrapposero al filone d’indagine originario sulla ricerca delle cause del disastro. Nel corposo fascicolo relativo alla Strage si fa menzione anche di “12 morti sospette”: si tratta di 12 casi di decessi sospetti (tutti per suicidio, omicidio o incidente stradale) di persone che in qualche modo erano direttamente riconducibili al caso Ustica: in due casi permangono ancora indizi di relazione con questo caso.

Le indagini si chiusero il 31 agosto 1999 con il rinvio a giudizio e la sentenza di proscioglimento nei due procedimenti penali in cui si escludevano sia la presenza della bomba a bordo che il cedimento strutturale. Le cause del disastro furono ricondotte a un “evento esterno” non precisato così come mancarono (e mancano ancora) elementi per stabilire le responsabilità.

Poi vi sono gli strascichi giudiziari. Alcuni militari italiani cui vengono contestati i reati di falso ideologico, abuso d’ufficio, falsa testimonianza, favoreggiamento, falso, dispersione di documenti. Non viene loro attribuita una responsabilità nella caduta del velivolo, ma nel comportamento successivo alla strage. Furono rinviati a giudizio i generali dell’Aeronautica militare Lamberto Bartolucci e Franco Ferri, Corrado Melillo e Zeno Tascio per i quali si aggiunge anche l’ipotesi di reato di alto tradimento per aver impedito con la comunicazione di informazioni errate, l’esercizio delle funzioni del Governo. Il 28 settembre 2000 a Rebibbia inizia il processo sui presunti depistaggi davanti alla terza sezione della Corte d’Assise di Roma: 272 udienze, migliaia i teste sentiti. Il 30 aprile 2004 la Corte assolve con formula piena “per non aver commesso il fatto” i generali Melillo e Tascio. Ritenuti colpevoli invece i generali Bartolucci e Ferri, ma dopo 15 anni il reato è già caduto in prescrizione. Anche il processo alla Corte di Assise d’Appello di Roma, conclusosi il 15 dicembre 2005, vede l’assoluzione dei generali Bartolucci e Ferri. Una sentenza ritenuta ‘vergognosa’ dall’associazione Parenti delle vittime della strage di Ustica presieduta dalla senatrice Daria Bonfifetti.

A 28 anni dalla strage, la Procura di Roma apre una nuova inchiesta sulla scia delle dichiarazioni rilasciate nel 2007 dal Presidente del Consiglio all’epoca della strage Francesco Cossiga (“ad abbattere il DC-9 sarebbe stato un missile ‘a risonanza e non a impatto’, lanciato da un velivolo dell’Aéronavale decollato dalla portaerei Clemenceau”; dichiarò inoltre di essere stato informato assieme all’allora Ministro Amato dai servizi segreti italiani). Il 24 maggio 2010 lo stesso ex Presidente emerito della Repubblica Italiana Cossiga dichiarò alla stampa che per non essere visto dall’aereo libico con Gheddafi, un aereo francese era sotto quello italiano: partì un missile “per sbaglio, volendo colpire l’aereo del presidente libico”. Queste nuove dichiarazioni invitarono la Procura della Repubblica ad aprire una nuova inchiesta sulla strage, che è ancora in corso coperta da segreto istruttorio. Sembra che siano state inviate delle rogatorie a Usa, Francia e alleati della Nato. Ma ancora non ci sono risposte.

Il Diritto: “I processi sin qui celebrati non hanno consentito di fare luce sulla dinamica del drammatico evento e di individuarne i responsabili”, ammette il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel messaggio di cordoglio alle famiglie delle vittime inviato il 26 giugno 2010 in occasione del trentennale del Disastro. Un rammarico espresso anche in occasione del trentunesimo anniversario, il 27 giugno 2011, durante il quale Napolitano ha lanciato un appello “perché si compia ogni sforzo, anche internazionale, per dare risposte risolutive”.

Il 10 settembre 2011, dopo tre anni di dibattimento, il Tribunale di Palermo con una sentenza del giudice Paola Proto Pisani condanna i Ministeri della Difesa e dei Trasporti a risarcire di oltre 100 milioni gli ottanta familiari delle vittime della strage di Ustica. I due Ministeri sono stati condannati per non aver fatto abbastanza per prevenire il disastro: secondo il Tribunale di Palermo il cielo di Ustica non era controllato a sufficienza dai radar italiani, militari e civili. Non fu dunque garantita la sicurezza del volo e degli occupanti del velivolo DC-9, inoltre fu ostacolato l’accertamento dei fatti. In base alle conclusioni del Tribunale non c’era nessuna bomba a bordo. L’aereo civile fu abbattuto durante una vera e propria azione di guerra nei cieli italiani senza che nessun ente controllore intervenisse. Nella sentenza si legge inoltre che vi sono responsabilità e complicità di soggetti dell’Aeronautica militare i quali impedirono l’accertamento dei fatti con atti illegali successivi al disastro.

Gennaio 2013- La condanna civile contro lo Stato.  E’ stato un missile ad abbattere l’aereo Dc9 dell’Itavia facendolo sprofondare nel mare di Ustica e scrivendo una delle pagine più nere nella storia dell’aviazione italiana. Oggi la Corte di Cassazione con la sua sentenza civile ha sciolto almeno in parte il mistero sulla strage di Ustica (rileggi la storia e il nostro approfondimento su http://www.fattodiritto.it/strage-di-ustica-l’ultimo-volo-del-dc-9-itavia-precipitato-nel-mistero), di cui da oltre 30 anni si cerca la verità. Secondo la Suprema Corte, lo Stato “dovrà risarcire i familiari delle vittime. La strage fu causata da un missile”. La tesi del missile – e non quella dell’esplosione interna al Dc9 Itavia, come ipotizzato in sede d’indagine e durante alcune fasi del processo penale – “è abbondantemente motivata. I controlli radar non garantirono la sicurezza dei cieli”. E’ forse la prima verità processuale dopo il nulla di fatto dei procedimenti penali che si trascinano sempre più dolorosamente da oltre 30 anni. La Cassazione, condannando lo Stato al maxi risarcimento ai familiari delle 81 vittime di quella strage, riconosce che non è stata garantita la sicurezza in volo con sufficienti controlli dei radar civili e militari. “E’ abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile” accolta dalla Corte di Appello di Palermo a fondamento delle prime richieste risarcitorie contro lo Stato presentate dai familiari di tre vittime della strage di Ustica. Lo scrive la Cassazione civile confermando che il controllo dei radar sui cieli italiani non era adeguato.

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