Uccidere i propri figli: raptus, volontà omicida o incapacità di intendere e volere?

ANALISI GIURIDICA DEI TERRIBILI FATTI DI SANGUE E FOLLIA DI QUESTA ESTATE
10369901_709393269096866_6639938944236517895_nCatania, l’ultima follia omicida.  Una notte di tormento per il lavoro perso, per la moglie andata via di casa, una relazione che sta per scoppiare, un peso di vita che diventa sempre più gravoso da sopportare. Quattro figli da mantenere, un uomo tranquillo da cui  mai nessuno si sarebbe potuto aspettare qualcosa di simile. Roberto Russo, 47 anni, apre gli occhi e si scaglia con un coltello da cucina contro le sue figlie uccidendo la più piccola, Laura,12 anni, e riducendo in fin di vita la più grande, Marica, 14 anni. La piccola non ha avuto neppure il tempo di reagire, di urlare; la grande ha gridato destando l’attenzione dei due fratelli che dormivano nella stanza accanto, 17 anni il primo, 22 il più grande, Andrea. Che si è lanciato contro il padre e l’ha fermato, mentre il padre cercava di uccidersi con una coltellata rivolta contro il petto.
Ancona, tragica uccisione di Alessia.

“Sì Alessia l’ho uccisa io. Una voce interiore mi ha detto di farlo”. Dopo alcuni giorni di mutismo e Luca Giustini confessa al Gip l’omicidio della figlioletta di appena 18 mesi da un letto del reparto di Psichiatria dell’ospedale di Torrette di Ancona. A pochi metri di distanza, in una sala appartata dello stesso nosocomio, la famiglia del macchinista di Trenitalia dà l’ultimo addio alla bambina in forma strettamente riservata. Giustini avrebbe detto di aver agito come obbedendo a una volontà superiore, qualcosa che domenica pomeriggio, l’ha spinto ad affondare per cinque volte la lama di un coltello da cucina nel corpicino della figlioletta che dormiva nella culla.
L’uomo, in stato confusionale ancora dopo alcuni giorni, avrebbe parlato di un “disegno di Dio”, “precetto di nostro Signore”, o “progetto di Dio venuto tra noi” con cui i giorni prima aveva riempito una decina di fogli di block notes e quaderni.
Alla fine dell’interrogatorio, cui era presente anche il pm Andrea Laurino, il giudice Carlo Cimini ha convalidato gli arresti domiciliari di Giustini in ospedale: resterà sedato e sorvegliato. Si teme, come speso avviene in questi casi, che l’uomo, riacquistata la lucidità, possa compiere gesti estremi contro di sé.
Verrà disposta una perizia psichiatrica al più presto per capire quali fossero le condizioni psichiche dell’uomo al momento del terribile omicidio.
Due fatti simili, due famiglie distrutte. Tante domande, tanto dolore per tutti. E purtroppo tante analogie con altri fatti terribili.
“Il raptus non esiste”. 
La criminologa anconetana Margherita Carlini, intervistata subito dopo il terribile fatto, ha escluso che in questi casi si possa parlare di raptus.Sulla stessa linea altri esperti. Intervistato qualche giorno fa da Corrieredellasera.it, Claudio Mencacci, l’ex presidente della Società italiana di psichiatria oltre che direttore del Dipartimento di Neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano, dice: «noi, in psichiatria, tendiamo a escludere l’esistenza del raptus». «Troppo spesso, direi. Sotto il cappello del raptus, o alcune volte della follia, si mette la violenza inaudita, quella imprevista, impulsiva. E non si considera mai che, guarda caso, quella violenza ha come oggetto i più fragili, i deboli, le persone indifese e quindi le più esposte. Lei ha mai sentito dire di qualcuno colto da raptus che ha assalito un uomo grande e grosso?». «Serve molto a chi fa le perizie per giustificare le azioni di grande violenza e attenuare la gravità del fatto e la colpa di chi le commette. Servirebbe invece un impegno culturale e civile perché questo non succedesse. Per non giustificare mai la prevaricazione, la prepotenza, la violenza esplosiva e cruenta. Perché giustificare in un certo senso è come avallare l’idea che sui più deboli si possa accanire la violenza».   Secondo il Dr. Mencacci, «bisognerebbe imparare a capire che ci sono individui che covano malvagità, crudeltà, cattiveria. Che quando accade un fatto di violenza apparentemente improvvisa c’è sempre una spiegazione, un motivo che si è costruito nel tempo. Non è mai un fulmine a ciel sereno e tendere a giustificare non aiuta nemmeno a cogliere i segnali di un eventuale pericolo.(…) Spesso pensiamo che il seme del male cresca a casa degli altri perché cerchiamo di espellerlo dai luoghi e dalle persone più care. E invece il male può essere ovunque, la cattiveria alberga anche a un passo da noi. Riconoscerla mentre cresce può voler dire salvarsi».

La nostra opinione e l’analisi giuridica.

Dichiarazioni forti, quelle del Dr. Mencacci, e a mio avviso discutibili.

Ricordiamo, per maggiore facilità di comprensione della vicenda, che nel nostro ordinamento penale gli artt. 88 e 89 del codice penale richiedono, ai fini della esclusione della imputabilità, l’esistenza di una e vera propria malattia mentale, ossia di uno stato patologico che incida sui processi intellettivi e volitivi della persona oppure di anomalie psichiche che, seppur non classificabili secondo precisi schemi medico-legali, risultino tali per la loro intensità ad escludere o scemare grandemente la capacità di intendere e volere dell’autore di un reato.

E’ previsto che in caso di riconoscimento della totale incapacità di intendere e volere al momento in cui l’autore del reato ha agito, lo stesso venga dichiarato non imputabile con la conseguenza che non viene applicata la pena ma la misura di sicurezza del ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario- o in altro luogo di cura- laddove il soggetto sia considerato socialmente pericoloso.

Nel caso, invece, di un riconoscimento di parziale incapacità di intendere e volere il soggetto risponde del reato compiuto, ma la pena viene diminuita.

Il raptus, invece, chiamato anche “reazione a corto circuito” ossia una situazione spesso ricollegata a condizioni di turbamento psichico transitorio non dipendenti da una causa patologica bensì emotiva o passionale, non viene valutato dal nostro sistema penale codicistico e giurisprudenziale quale causa di esclusione o diminuzione della capacità di intendere e volere in quanto non è considerato un fattore in grado di diminuire o limitare la capacità di rappresentazione della realtà e di autodeterminazione di un soggetto.

Ma c’è un ma. Qualora le c.d. reazioni a corto circuito risultino manifestazioni di una vera e propria patologia in grado di incidere negativamente sulla capacità di intendere e volere, l’imputabilità del soggetto autore del reato potrà essere esclusa oppure diminuita con le diverse conseguenze sanzionatorie anzidette. Il “Raptus” dunque può diventare patologia, anche se transitoria, e come tale incidere, escludendola, sulla capacità di intendere e volere.

In passato una sentenza delle Sezioni Unite, la n. 9163 del 25.1.2005, ha stabilito che anche i disturbi della personalità, che non sempre sono inquadrabili nel ristretto ambito delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di infermità purchè, però, “siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale”.

Parlare quindi genericamente di “raptus” come causa che esclude la capacità di intendere e volere, e dunque la punibilità, ma altrettanto non corretto è affermare de plano “il raptus non esiste”!

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