Manchester By The Sea, la recensione

di Alessandro Faralla (Responsabile Cultura e Spettacoli F&D)

Casey Affleck

È impossibile congelare una ferita ancora apertissima, è quasi stoico riuscire persino a camminare per chi come Lee Chandler non conosce più il potere delle parole.
Manchester By The Sea di Kenneth Lonergan parla di sofferenza, di vuoto, di assenza di prospettiva in un’ambientazione come la cittadina della costa nord settentrionale del Massachusetts, che da il titolo al film, tanto pacifica da rendere lacerante ogni piccolo mutamento.

Casey Affleck è Lee Chandler, un uomo dimesso e solitario che trascorre la sua vita come tuttofare e idraulico in un condominio di Boston. Alla morte del fratello maggiore Joe è costretto a far ritorno a Manchester, la città dove è cresciuto perché è stato nominato nel testamento del fratello  tutore del nipote sedicenne Patrick (Lucas Hedges).
Questa piccola comunità di pescatori, con le sue casette tutte di diversa tonalità, le barche e i gabbiani che la proteggono come custodi ha un sapore catartico, consolatorio ma non per Lee e il suo animo smarrito. Impreparato non solo nel gestire la morte del fratello prendendosi cura del nipote ma inerme dinanzi allo specchio dei propri drammi.

Manchester By The Sea ha l’angoscia di un dolore indelebile, che riecheggia costantemente tra passato e presente come se fosse un’unica realtà. Kenneth Lonergan mostra la drammaticità di questo scenario senza enfasi, non invadendo le emozioni dei protagonisti; non ci sono strappi o situazioni portate all’estremo, non serve gridare o evocare, capisci perfettamente il male di Lee Chandler, la sua immobilità, il suo essere bloccato come la barca dove un tempo pescava assieme a Patrick e Joe. È cristallino come a differenza del nipote Patrick, anch’esso schivo e rigido nella postura, Lee non abbia nessun riferimento per sfuggire da quell’apatia: nessuna band, nessuna doppia ragazza, niente con cui mitigare il suo esser assente da tutto e tutti.

Il film si avvale di  una scrittura onesta nel raccontare lo straniamento di un’anima persa senza indugiare più del dovuto nel suo vuoto perché è sufficiente il viso scavato di Casey Affleck, i brevi discorsi che fuoriescono dalle sue labbra cucite, a restituirti l’atrocità di un demonio che ti schiaccia le spalle impedendoti di alzare lo sguardo gelandoti mente e cuore così che diventa inevitabile sentirsi in quella condizione, e di essere fisicamente in quel tempo.
Perchè Manchester By The sea non è solo un luogo gelido dove è arduo lasciarsi le ferite alle spalle, è la stagione di una paralisi esistenziale che non si esaurisce nell’attualità di una nuova tragedia, e che non può svanire nelle due ore di un film.
Kennet Lonergan lo sa bene e ritrae tutto ciò con una dovizia che ti appare naturalissima eppure è ponderata come il vero e unico reale dialogo di tutto il film tra Michelle Williams e Casey Affleck, una scena che è lo specchio di tutto Manchester By The Sea: ti senti dannatamente vicino ai protagonisti non per quello che dicono, ma per la maniera faticosissima con cui tentano di esprimere quel magone che li dilania fino alle viscere, in definitiva per ciò che non dicono e per come fanno propri quei silenzi dolorosissimi.

manc. by the sea

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