Mafia Capitale,e torna lo spettro del ‘romanzo criminale’

QUANDO LA REALTA’ SUPERA IL ROMANZO E SCOPERCHIA UN SISTEMA CRIMINALE CHE DOMINA ROMA
di Avv. Tommaso Rossi (Studio Legale Associato Rossi- Papa-Copparoni)
imagesRoma, siamo negli anni ’70. In città imperversano traffico di droga, estorsioni e regolamenti di conti con pistolettate per strada. Si affaccia un’idea. La mafia in città.Nell’Italia di quegli anni l’attenzione delle forze dell’ordine è combattere il terrorismo. Nero, rosso. Stragi. Stragi che resteranno impunite, o sommerse di polvere.
In entrambi i casi si sente la puzza di politica, di servizi segreti deviati. Di mafia.
E di potere.
Il Libanese, il Freddo, il Dandi, il Secco, il Nero…….flirtano con uomini di Stato, ma questo si saprà dopo. O forse mai.
La Banda della Magliana si impossessa di Roma più degli Imperatori romani.

Rapine, estorsioni e sequestri di persona compiuti dalla manovalanza criminale creano i denari liquidi. I traffici di droga inondano di polvere bianca e di eroina la città e moltiplicano il denaro come e più dei pani e dei pesci. Prostituzione, case da gioco e locali notturni alla moda abbagliano di fumo e pajettes gli occhi della gente comune.

Ciò che succede nell’Italia degli anni di piombo sembra un problema maggiore.
Ma tutto si intreccia, i “soliti noti” entrano nelle stanze dove si muovono gli ingranaggi del potere e della mafiosità italiana che domina tutti i settori. E la Banda della Magliana diventa l’interlocutore romano che al tempo stesso è criminalità e rapporti con il para-Stato, la mafia meridionale, il Vaticano deviato e il terrorismo nero.

Le mani sulla città che fu dei re e degli imperatori. La gente tutto sommato sa e lascia fare. Il cittadino comune non viene toccato da questa presa di Roma. Anzi, sembrano anni di benessere e ricchezza. Il prezzo da pagare per quella “Roma da bere” è perdere la libertà e scambiarla con il potere.

E ora Mafia Capitale. Catapultati a quei giorni, scoperchiato un pentolone da cui esce di tutto.
Criminalità, politica, denaro, imprenditorialità.
Sono i Grandi Appalti la polvere bianca che inonda di soldi il nuovo millennio.
E Mafia Capitale si intreccia con Romanzo Criminale.

Massimo Carminati sembra il personaggio del “Nero”, ma sopra di Lui c’è qualcuno di più grande. Un “insospettabile”.

Milanese di nascita ma a Roma dall’adolescenza Carminati, dopo una breve militanza politica, entra nei ranghi dei NAR, grazie alla conoscenza fatta tra i banchi di scuola di Valerio Fioravanti, Alessandro Alibrandi e Franco Anselmi.
Per le operazioni di terrorismo nero dei NAR, Carminati viene arrestato il 20 aprile 1981 mentre era in procinto di scappare all’estero.
Nel corso delle operazioni di cattura, si spara. E molto. Carminati viene ferito gravemente: perderà poi l’uso di una gamba e l’occhio sinistro, guadagnandosi il soprannome  di “Guercio”.
Ma il vero ruolo del “Nero” Carminati lo vede protagonista all’interno o meglio all’esterno della Banda della Magliana, secondo i racconti dei collaboratori. A fargli da apripista, sempre secondo i racconti di chi poi scelse di collaborare, il rapporto con i boss Franco Giuseppucci e Danilo Abbruciati nato frequentando il bar Fermi e il bar di via Avicenna, nella zona di Ponte Marconi, ritrovo del gruppo criminale. Questo rapporto finisce anche al centro di diversi processi, nei quali Carminati però viene quasi sempre assolto. Una condanna a dieci anni di reclusione arriva invece nel 1998 nel processo, scaturito dall’operazione Colosseo, che vede alla sbarra l’intera Banda della Magliana.
 ”C’è sempre qualcuno dei ripuliti a comandare, a stare sopra, senza i ripuliti non andremmo da nessuna parte, fermi alle rapine”. L’intervista rilasciata l’8 dicembre al Fatto Quotidiano da Antonio Mancini, ex boss della Banda della Magliana, detto “Accattone”, apre altri scenari.

Antonio Mancini-che deve il suo soprannome a un personaggio della narrativa di Pierpaolo Pasolini e oggi vive a Jesi dove gestisce una cooperativa sociale- conosce Massimo Carminati da “quando aveva tutti e due gli occhi boni”. Inizialmente non lo vedeva come un leader, “per me era un ragazzo d’azione. Ma è stato bravo a riempire il vuoto lasciato da Renatino De Pedis dopo la sua morte”.

Tra Danilo Abbruciati, Enrico De Pedis detto Renatino, Abbatino e gli altri, tra loro, c’era anche lui, Mancini, uno dei boss, uno abituato “a drizzare i torti”, uno che la strada la batteva dalla fine dei Sessanta “quando ho iniziato la mia vita da bandito”.

Se non fosse stato ucciso “oggi Renatino starebbe in Parlamento, minimo sottosegretario. Lui è morto incensurato. Eppure ha ammazzato la gente con me, ha rapinato con me, è stato dentro, ma è riuscito a farsi ripulire tutto”. Fu lo stesso De Pedis a dire ad Antonio Mancini che “era stato sempre Carminati a far parte del commando che ha ammazzato Mino Pecorelli”, il giornalista ucciso nel 1979. E aggiunge: “Ha presente quante e quali prove avevano su di lui rispetto all’omicidio Pecorelli? Chiunque altro, me compreso, sarebbe stato condannato”.
Carminati- sempre secondo il racconto di Mancini- sale poi ai vertici dell’organizzazione perché  ”di tutti gli altri che c’erano attorno a Renato, era l’unico ad avere lo spessore giusto, appellava De Pedis come presidente, ci sono le intercettazioni a raccontarlo, ed era l’unico a poter riacchiappare i fili della varie componenti”. Come dicevamo all’inizio, c’è  qualcuno sopra Carminati, Antonio Mancini è sicuro di questo: “C’è sempre qualcuno dei ripuliti a comandare, a stare sopra, senza i ripuliti non andremmo da nessuna parte” spiega al Fatto Quotidiano, “anche per questo nella Banda c’è stata la frattura tra noi della Magliana e quelli di Testaccio”. Perché “loro avevano preso le sembianze mafiose, esattamente quelle che hanno scoperto ora. Noi della Magliana eravamo banditi da strada, amavamo le rapine, senza guardarci le spalle, senza compromessi”.

Per quelli di Testaccio Carminati “era l’unico ad avere le chiavi per entrare nell’armeria del Ministero della Sanità” e Mancini lo tira in ballo per la strage di Bologna perché “il fucile ritrovato alla stazione stava nella nostra armeria, e lui aveva le chiavi e lui già stava dentro a certe storie di Servizi”.

Accattone è convinto che Carminati uscirà presto, “prima di quanto potete immaginare, altrimenti dovrebbero incarcerare mezzo mondo”. Ricordando il suo passato da Boss della Banda della Magliana, Mancini dice che la Banda fu strumentalizzata e poi scaricata dalla politica: “noi eravamo il terzo mondo di Carminati, quello in basso; mentre oggi quello di mezzo, e quello sopra, si utilizzano a vicenda, per questo dico che Carminati ne uscirà pulito; il mondo di sopra si salverà, e porterà con sè il mondo di mezzo e ucciderà il mondo di sotto”.

Il mondo si sopra, il mondo di sotto, il mondo di mezzo. Tutto coperto da tanta polvere, che più che cocaina sembra sabbia.

La sabbia che avvolge nell’oblio della vergogna i tanti misteri italiani.
La sabbia che diventa ruggine e corrode un Paese ormai lacerato dal malcostume e dalla corruzione.
Dalla Mafiosità che è entrata nelle radici e nel dna di ogni italiano.

Tra rassegnazione e connivenza, tra romanzo criminale e mafia capitale.

Print Friendly
FacebookTwitterLinkedInWhatsAppGoogle+TumblrEmailPrintFriendlyCondividi

Leave a Reply