Legittima difesa: tra certezze, criticità e suggestioni americane

di Dott. Valentino Verdecchia

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LA NORMATIVA ITALIANA

L’ordinamento italiano prevede all’articolo 52 del codice penale una causa di giustificazione, la “legittima difesa”, che offre, in presenza di tassative condizioni, ai cittadini la facoltà di difendere un proprio o altrui diritto, contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, purché la difesa sia proporzionata all’offesa.

La scriminante in esame è una causa di esclusione dell’antigiuridicità del reato, vale a dire che, se è presente, il fatto di reato (umano e tipico) viene demolito per la mancanza dell’ulteriore ed essenziale requisito dell’antigiuridicità, cioè della contrarietà del fatto alla norma giuridica penale.

Per l’effetto il soggetto agente dovrà essere assolto dalla penale responsabilità con la motivazione che “il fatto non costituisce reato”, con l’ulteriore conseguenza che sul piano civilistico nessun risarcimento, né equo indennizzo (come invece avverrebbe se si fosse agito in presenza di “stato di necessità”), potranno essere a lui richiesti.

Affinché sussista la legittima difesa, è necessario che si verifichino congiuntamente tre condizioni: un presupposto e due requisiti.

In primo luogo il presupposto consiste in un pericolo attuale di un’offesa ingiusta.

In secondo luogo deve esistere il requisito della necessità di difendersi, che sta a significare che il soggetto che si difende non può sventare l’offesa senza commettere un fatto penalmente rilevante; inoltre questa azione difensiva intrapresa deve essere la meno lesiva ragionevolmente attuabile.

In terzo luogo deve operare anche l’ulteriore requisito della proporzionalità tra difesa e offesa.

Quest’ultimo elemento attiene non ai mezzi utilizzati per offendere e specularmente difendersi, bensì ai beni giuridici in conflitto, la cui scala di valori è stabilita dalla nostra Costituzione.

Ne consegue, a titolo d’esempio, che ci si può difendere sottraendo a un aggressore il bene giuridico della vita, solo se questo abbia attentato il medesimo bene, o a limite un diritto prossimo a questo (si pensi alla libertà sessuale); al contrario non sussiste proporzionalità se per difendere il bene della proprietà si tolga la vita a un ladro.

Nel 2006 è stato aggiunto il comma secondo dell’art. 52 c.p., con il quale, se nelle intenzioni dei suoi ideatori si voleva far uscire “dalla porta” tutte le criticità di cui ci si lamentava in precedenza, si è finito, per come è stato scritto, per farle rientrare “dalla finestra”, allorquando si dice che ci si può difendere in casa o nei luoghi di lavoro con le armi legittimamente detenute, a condizione che “non vi è desistenza o vi è pericolo di aggressione”.

Pertanto la portata di questo secondo comma non ha apportato novità significative, mentre al contrario rischia di far sorgere in chi si possa potenzialmente difendere, i falsi miti del “far west”, con il rischio di commettere errori di diritto sulla scriminante, che non assumono pregio alcuno ai fini delle sanzioni penali a cui si corre il rischio di andare incontro difendendosi illegittimamente.

E’ necessario poi aggiungere, ai sensi dell’art. 55 c.p., che se chi si difende agisce travalicando i limiti stabiliti dalla legge e dalla necessità, cioè commette un errore nel rappresentarsi la situazione fattuale o eccede colpevolmente nell’esecuzione della condotta difensiva, dovrà rispondere per il reato commesso a titolo di colpa, perciò se si tratta di omicidio risponderà di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p.

Sotto il profilo civilistico, quando si ha l’eccesso colposo chi difendendosi abbia cagionato dei danni, sarà tenuto a risarcire il suo aggressore in maniera parziale, sussistendo una situazione di concorso di colpa tra colui che ha aggredito e colui che si è difeso, in base al combinato disposto degli articoli 1227 e 2056 c.c.

Se invece il soggetto agente si sia rappresentato correttamente la situazione di fatto e abbia voluto con coscienza e volontà agire in un modo che integra un reato, dovrà essere punito per quel reato a titolo di dolo, quindi se si è commesso un omicidio sarà quello di cui all’art. 575 c.p., in questo caso si può parlare di eccesso doloso di legittima difesa e il soggetto agente dovrà ovviamente risarcire integralmente il danno commesso.

DIFFERENZE CON GLI STATI UNITI

In Italia i media negli ultimi tempi spesso affrontano questioni legate alle armi e alla legittima difesa evocando gli Stati Uniti d’America, spesso in modo superficiale e tendenzioso, circostanze che non di rado generano incomprensioni e falsi miti.

Innanzitutto bisogna considerare separatamente il tema della legittima difesa da quello della diffusione e del possesso delle armi.

Negli Stati Uniti si discute se vi sia un diritto alla legittima difesa in cui sia lecito difendere non solo la vita, ma anche la libertà e la proprietà, sancito dalla Costituzione federale del 1787.

Autorevole dottrina considera questo principio ricavabile dal “Nono Emendamento” e dalla “Due Process Clause”, regola che affonderebbe le sue radici nel diritto naturale; tuttavia va sottolineato che alcuni precedenti giurisprudenziali hanno messo in dubbio questa teoria.

I sostenitori della tesi in esame adducono a motivo ulteriore anche il “Secondo Emendamento”, che garantirebbe anch’esso il diritto alla legittima difesa (questa tesi è stata sostenuta dal Congresso, tramite l’ufficio di consulenza legale del dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, nonché avvalorata da alcuni sporadici pronunciamenti giurisprudenziali).

Che ci sia o no un diritto alla legittima difesa sancito direttamente dalla Costituzione federale, quel che è certo è che le Costituzioni di 21 Stati membri, con differenze più o meno marcate, affermano questo diritto.

Ciò posto bisogna considerare che la “personal defense” deriva da regole di common law le quali sono state talvolta recepite dalla legge.

In ogni caso, negli USA, il diritto di difendersi non può considerarsi illimitato.

Negli Stati Uniti, in aggiunta alle disposizioni costituzionali, sull’argomento vige un complesso di principi definiti “Castle Law”, raccolti in una dottrina legale, che tuttavia non è stata recepita allo stesso modo in atti normativi da parte dei singoli Stati.

Sotto il profilo storico, il principio dell’inviolabilità del domicilio in occidente è conosciuto fin dall’epoca romana, è presente anche nel diritto biblico (cfr. Esodo, 22,1-4) e per quanto qui d’interesse, esso si è poi sviluppato nella common law inglese e successivamente in America durante la conquista del West.

Il principio cardine stabilisce che: “For a man’s house is his castle, et domus sua cuique est tutissimum refugium” (E. Coke, The institutes of the laws of England, 1628).

Questo era considerato un diritto assoluto attraverso il quale si poteva escludere chiunque dall’accesso nella propria casa, compresi gli agenti della Corona che avessero tentato di entrare senza un mandato, salve eccezioni stabilite dalla legge (W. Blackstone, Commentaries on the Laws of England, 1769), questo principio è in parte recepito anche nel IV emendamento della Costituzione federale degli Stati Uniti.

Nel XVIII secolo molti Stati americani hanno posto in essere leggi d’ispirazione britannica con cui sono stati posti limiti alla legittima difesa, ne è un esempio l’obbligo in capo alla vittima di un’aggressione di ritirarsi, che tuttavia lasciava aperta la strada a rimedi di natura civilistica.

A contemperare queste norme c’era la Castle doctrine, invocabile quando ci si difendeva nella propria casa.

Questa dottrina è stata protagonista nel corso dell’espansione verso ovest e proprio in quegli anni ha iniziato ad affermarsi un orientamento che tendeva a negare l’obbligo della vittima di ritirarsi di fronte a un’aggressione non provocata, sul punto rilevanti sono stati il precedente del celebre pistolero Doc Holliday, assolto il 28 marzo 1885 e una decisione della Corte Suprema del 1887 (Jay Roger, 14 agosto 2006, Spitting Lead In Leadville: Doc Holliday’s Last Stand”, Historynet Wild West Magazine).

Oggi la “Castle doctrine” è stata recepita, anche se in maniera differente, dalla maggior parte degli Stati USA e ove sia invocabile oltre ad offrire a chi venga aggredito il diritto di difendersi, garantisce anche minori oneri probatori per dimostrare la legittimità della reazione.

Affinché possa invocarsi questa dottrina, devono sussistere una serie di elementi.

Il luogo in cui sia lecito difendersi è di regola la casa, ma in certi Stati esso può essere anche il luogo di lavoro, l’auto, etc.

Chi intende difendersi deve occupare la casa in modo lecito, non ha titolo per invocarla, ad esempio, un latitante ricercato che si sia rifugiato in una casa.

L’aggressione deve essere illecita, non ci si può perciò difendere, per ipotesi, da agenti di polizia nell’esercizio delle proprie funzioni che entrino in casa con un regolare mandato.

Deve operare anche la circostanza secondo cui chi intenda difendersi debba tentare una ritirata o una reazione non mortale, prima di porre in essere una reazione letale, salvo che per motivi di sicurezza questa condotta non risulti inattuabile o troppo rischiosa.

L’entità dell’offesa deve essere tale da far credere in modo ragionevole che l’aggressore intenda infliggere la morte o gravi lesioni a chi si trova in casa.

Chi si difende non deve aver precedentemente dato causa all’aggressione.

Può essere lecito difendersi in modo letale anche nel caso in cui colui che si introduca in casa voglia compiere reati minori, come ad esempio il furto, ma ciò è permesso solo in una minoranza di Stati (ciò nonostante va tuttavia considerato che il valore della proprietà negli USA è di gran lunga più rilevante di quanto non lo sia in Europa e in particolare in Italia).

Ciò posto, se chi si è difeso lo ha fatto lecitamente, non può sussistere nei suoi confronti né responsabilità penale e nemmeno responsabilità civile, salvo che l’azione difensiva non abbia causato danni a terzi estranei al conflitto.

Il tema della legittima difesa negli USA è fortemente legato anche a quello del possesso delle armi, sull’argomento bisogna considerare che gli Stati Uniti per ragioni soprattutto storiche prevedono il diritto, costituzionalmente garantito, di possedere armi.

Più precisamente la Costituzione degli Stati Uniti d’America prevede nel Secondo Emendamento (risalente al 1791) il diritto per tutti i cittadini di possedere armi per difendere sé stessi e la Nazione.

La norma testualmente recita: “essendo necessaria, per la sicurezza di uno Stato libero, una milizia ben organizzata, non sarà violato il diritto del popolo di tenere e portare armi” (col termine “milizia” bisogna intendere: quei pionieri, quei patrioti che alle origini hanno contribuito ad ottenere l’indipendenza e a fare la storia degli Stati Uniti).

Quarantaquattro Stati hanno recepito direttamente nella propria Costituzione questo diritto, seppur con sensibili differenze, mentre solo in pochissime Nazioni non è permesso il diritto individuale di portare armi (che tuttavia non si estende anche a precludere di possederle).

Mentre in Italia vige una teoria di politica-criminale, sostenuta da parte della dottrina, avversa alla legittima difesa, la quale si fonda sull’assunto secondo cui chi sceglie di difendersi metterebbe a rischio la propria incolumità dal momento che i delinquenti sarebbero più inclini e preparati all’uso della violenza; nel contempo la scelta di difendersi sarebbe “criminogena”, poiché spingerebbe i criminali ad agire con maggiore aggressività.

Negli Stati Uniti invece si preferisce avvalorare una teoria opposta, secondo cui non sarebbe affatto scontato che arrendendosi non si subiranno conseguenze, anzi in un’ampia casistica, si è osservato non solo l’esatto contrario, ma anche che i delinquenti, se tutte le vittime si arrendessero, sarebbero incentivati a svolgere la loro “occupazione criminale”, che si dimostrerebbe remunerativa e con scarso rischio.

In quest’ottica la legittima difesa diventerebbe un dovere morale e sociale verso i propri cari e verso l’intera società.

Sul punto c’è chi ritiene infatti che i delinquenti non temerebbero: né la legge, né la polizia, né i giudici; gli unici che possano intimorirli sono le proprie vittime, se queste decidessero di passare al contrattacco; se tutte le vittime si difendessero i delinquenti sarebbero costretti a cambiare mestiere (Jeff Cooper, Principles of Personal Defense, cit.)

CONCLUSIONI

L’ordinamento italiano oggi presenta sull’istituto della legittima difesa non poche criticità.

L’eccesso colposo comporta a volte conseguenze più gravi per chi si difende piuttosto che per chi aggredisce.

Intervenire seriamente sull’argomento non è semplice, perché modifiche che permettano di uccidere chi vuole commettere reati minori, rischiano di scontrarsi sia con la nostra Costituzione, sia con i limiti imposti dall’articolo 2, comma secondo, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La politica, sempre in cerca del consenso elettorale, sull’argomento si divide e di fatto rimane immobile.

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