Le origini della Mafia: 1 PUNTATA – Il Risorgimento.

Parte un nuovo viaggio storico di Fatto&Diritto alla scoperta delle origini e del radicarsi del fenomeno MAFIA in Italia. Seguiteci.

Il Risorgimento 
La mafia, così come la conosciamo, nasce nel secolo scorso, nella zona tipica del feudo, nel cuore della Sicilia: lo Stato è assente e la mafia ne approfitta.
All’inizio i mafiosi sono criminali organizzati in bande che difendono i privilegi di baroni e gabellotti. A poco a poco i mafiosi finiscono con il sostituirsi ai nobili proprietari terrieri. Esercitano un controllo ferreo: è la cosiddetta mafia agricola, che si dedica all’abigeato e alla protezione forzosa dei raccolti. Per chi resiste non c’è scampo: il bestiame viene rubato o ucciso, i campi devastati; dopodiché o si capisce o si cede. Oppure si muore.
Antonino Cutrera, che fu un delegato di pubblica sicurezza, ha descritto il sistema dell’abigeato così come si presentava negli ultimi decenni dell’Ottocento: <Dopo alcuni giorni gli animali ritornano misteriosamente al posto, donde erano stati involtati. Una buona mancia ricompenserà i picciottidelle loro oneste fatiche. Se poi il padrone che è stato derubato è amico sincero di qualche capo mafia, uno di quelli per cui la parola è sentenza…allora gli animali sono restituiti senza spendere un centesimo e con delle scuse.>
Il primo documento in cui si allude a una cosca mafiosa è del 1837: il procuratore generale, presso la Gran Corte criminale di Trapani, Pietro Calà Ulloa, fedele ai Borbone, scrive ai suoi superiori a Napoli, per segnalare strane fratellanze impegnate in attività criminali finalizzate alla corruzione anche di impiegati pubblici.
Nella relazione finale della Commissione d’inchiesta Franchetti-Sonnino del lontano 1875/76 si legge che «la mafia non è un’associazione che abbia forme stabili e organismi speciali. Non ha statuti, non ha compartecipazioni di lucro, non tiene riunioni, non ha capi riconosciuti, se non i più forti ed i più abili; ma è piuttosto lo sviluppo ed il perfezionamento della prepotenza diretta ad ogni scopo di male».
I governi dell’epoca convivono tranquillamente con il fenomeno: per Crispi e Giolitti la mafia quasi non esiste.
Fino alla rivoluzione del 1848 i Borbone utilizzarono l’ascendente della camorra sul popolino per rafforzare il proprio potere delegando ai camorristi e ai loro capi compiti propri di uno stato di polizia. Anche in Sicilia e Calabria mafiosi e ‘ndranghetisti svolgeranno funzioni d’ordine.
Le organizzazioni mafiose assunsero un ruolo politico e strategico significativo con l’arrivo in Sicilia di Garibaldi, che non si fece scrupolo di contattare la malavita locale pur di incrementare il numero dei suoi combattenti. La mafia fa dunque il suo esordio in politica con l’Unità d’Italia.

SABRINA SALMERI

(Continua……)

Fonti: Archivio Rai, Enzo Ciconte “Storia criminale”, Nino Criaco “Come gli Indiani d’America“.

 

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