La tutela giuridica degli animali alla luce della L.189/2004

PRINCIPALI MODIFICHE ED ESEMPI APPLICATIVI GIURISPRUDENZIALI

di Avv. Michela Foglia

cat-and-dog-1410030836fcsLa normativa riguardante i delitti posti in essere nei confronti degli animali è stata oggetto, in epoca recente, di diversi interventi, finalizzati ad ampliarne la portata, con la prospettiva di una sempre maggior tutela del fenomeno animale nei suoi aspetti sociali e di relazione.

Le istanze di riforma, provenienti, in gran parte ma non solo, dalle associazioni animaliste, sollecitavano il legislatore ad intervenire, per reprimere quei comportamenti lesivi nei confronti degli animali che, fin ad allora, restavano di fatto non puniti in una società, come quella italiana postmoderna, in cui la crescente sensibilità collettiva faceva apparire i maltrattamenti e la violenza, prima ancora dell’uccisione, degli animali sempre più intollerabili.

Risale, dunque, alla legge n. 189/2004 l’introduzione, al titolo IX bis inserito nel secondo libro del codice penale, di quattro ipotesi delittuose a tutela del sentimento per gli animali, nell’ottica di un riconoscimento del soggetto passivo animale su cui ricade l’azione, non più solo quale bene patrimoniale, ma anche come il destinatario di sentimenti di pietà e affezione che necessitavano di una specifica e adeguata salvaguardia.

Preliminarmente, è opportuno evidenziare come la legge non si esprima sulla nozione di animale oggetto di tutela; ciononostante la dottrina prevalente individua l’oggetto materiale del reato in tutti quegli animali nei cui confronti l’uomo provi un sentimento di pietà e di compassione; si è, infatti, osservato che “una mosca, un grillo, o una cavalletta non sono nel sentire comune la stessa cosa di un cane, di un gatto, di un cavallo, di un leone”.

Tuttavia, nulla esclude che la nozione di animale de qua sia destinata ad assumere diverso contenuto al variare della concezione che l’uomo ha di esso, ben potendo così estendersi la tutela penale anche a quelle specie che “occupano gradini più bassi della scala zoologica”.

Se è vero, difatti, che lo stesso concetto di sentimento è un concetto astratto, difficilmente circoscrivibile, è anche opportuno osservare a questo proposito come, pur ampliando la tutela giuridica per salvaguardare il mondo animale, il legislatore abbia nello stesso tempo conservato, di fatto, la sua visione antropocentrica, continuando a tutelare gli animali stessi non in quanto autonomi portatori di diritti, bensì quali destinatari di sentimenti relativamente ai quali l’uomo rimane, quantomeno per ora, l’unico protagonista.

Una rapida disamina delle nuove fattispecie introdotte, alla luce anche delle relative applicazioni pratiche, consentirà di meglio evidenziare l’ampliamento della tutela determinato dagli apporti normativi della riforma del 2004, soprattutto alla luce dell’applicazione e interpretazione delle norme nelle aule di tribunale.

Occorre, innanzitutto, premettere che nel nostro codice, all’art. 638 c.p. era già prevista e punita l’ipotesi dell’uccisione o danneggiamento di animali, ma già la stessa collocazione della norma tra i delitti contro il patrimonio, implica una fondamentale diversificazione, in primo luogo del bene oggetto di tutela penale, costituito in questo caso dalla proprietà privata dell’animale nonché e di conseguenza di una parte offesa identificata esclusivamente nel soggetto “proprietario”. Con la modifica rappresentata dall’inciso “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, la fattispecie de qua diviene, del resto, ipotesi residuale, destinata ad uno scarso rilievo pratico e, dunque, ad una sostanziale abrogazione.

A seguito della legge n. 189/2004, l’uccisione di un animale, sia esso di proprietà altrui rispetto all’agente, ovvero di proprietà dell’agente stesso, è confluita nella nuova ipotesi regolata dall’ art. 544 bis che ne prevede la realizzazione “per crudeltà o senza necessità” e ha sostituito la precedente fattispecie di cui all’art. 727 c.p. oggetto di totale riscrittura; il reato di uccisione di animale, che “apre”, dunque, il titolo dei delitti contro il sentimento per gli animali, diviene un delitto ascrivibile sia ad una terza persona, sia al proprietario stesso e lesivo non solo del valore economico del bene, ma anche e soprattutto del sentimento di cui gli animali sono oggetto.

Elemento soggettivo del reato è il dolo, sicchè non sono punibili i casi di morte dell’animale cagionata per colpa. La morte dell’animale è presa in considerazione anche da altri articoli del medesimo titolo, come conseguenza del reato previsto; ciononostante i reati possono concorrere tra loro se l’autore, cessato il primo reato (es. maltrattamento) pone in essere comportamenti diretti a realizzare il secondo (uccisione).

Sempre relativamente al dolo, occorre ricordare, a livello di elemento soggettivo del reato, il chiarimento offerto dalla pronuncia della Cassazione, sez. III, sent. n. 7671/2012, secondo cui nel caso di specie, per quanto concerne il maltrattamento ex art. 544 ter c.p., – ma la medesima distinzione potrà operarsi anche per l’uccisione ex art. 544 bis –  si tratta di un reato a dolo generico, quando la condotta del reo è tenuta senza necessità ma configura un reato a dolo specifico quando la condotta del soggetto è assunta per crudeltà.

La sussistenza di uno dei suddetti presupposti fa sì che divenga penalmente rilevante la condotta di uccisione di animale, non illecita in se per se, ma solo in presenza, in via alternativa, di tali requisiti, in quanto in presenza di crudeltà non vi è bisogno di mancanza di necessità, presupponendo l’incrudelimento stesso l’assenza di qualsiasi giustificabile motivo da parte dell’agente.

In particolare, relativamente alla crudeltà, si fa riferimento alla giurisprudenza del vecchio art. 727 c.p., comprendendo con essa, anche un’uccisione con atti concreti di volontaria inflizione di sofferenze, pur se posti in essere per insensibilità dell’autore del reato; non è, dunque, necessario il solo scopo della malvagità, potendosi avere crudeltà anche per mera insensibilità, né è necessario il compiacimento nell’infierire sull’animale, ritenendo sufficiente l’indifferenza.

Con riferimento al concetto di “assenza di necessità” è evidente che si deve prima comprendere cosa si intende per “necessità”, considerato che ogni qualvolta si ravviserà la presenza di una necessità che richiede l’uccisione o alla lesione di un animale, l’agente sarà scriminato. Dunque, a parte i casi che possono rientrare nell’alveo della legittima difesa (art. 52 c.p.) e dello stato di necessità (art.  54 c.p.), in generale può dirsi esistente la necessità quando i fatti che costituiscono generalmente il reato di maltrattamenti, uccisione o lesione dell’animale, sono necessitati per evitare un pericolo imminente o un danno giuridicamente apprezzabile ovvero in presenza di bisogni socialmente accettati come l’alimentazione o attività di produzione purchè rispettose delle norme di legge; di conseguenza solo se l’azione sia contenuta entro i limiti della causa giustificatrice, deve ritenersi che il 544 bis non trovi applicazione.

Ne deriva che sarà opportuno di volta in volta, verificare l’effettiva e non superabile situazione di necessità della condotta che ha portato alla morte dell’animale e tale valutazione sarà affidata al prudente apprezzamento dell’autorità giudicante.

Il regime sanzionatorio introdotto dalla Legge 189/2004, ulteriormente inasprito con la Legge 201/2012, è mitigato, altresì, dall’articolo 19 ter inserito nelle disposizioni  di coordinamento e  transitorie del codice, nel quale si statuisce la non applicabilità  “ai casi previsti dalle leggi speciali  in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione scientifica degli stessi, di attività circense, di giardini zoologici, nonché delle altre leggi speciali in materia di animali”, e che prevede, inoltre, che  “le disposizioni del Titolo IX Bis del II Libro del Codice Penale non si applicano altresì alle manifestazioni storiche e  culturali  autorizzare dalla Regione competente”.

A seguito dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni, il reato di maltrattamenti nei confronti degli animali, di cui all’art. 544 ter c.p., assurge al rango di delitto e non più una contravvenzione, com’era, invece, previsto dalla vecchia normativa e, in conseguenza di ciò, anche il trattamento sanzionatorio ne risulta inasprito.

E’ bene evidenziare come la nuova disposizione normativa riconduce nell’alveo del reato di maltrattamento di animali, qualsiasi condotta attiva od omissiva che arrechi una lesione all’animale: vi potrebbero essere ascritte, dunque, tanto le percosse quanto la semplice non curanza o addirittura indifferenza di fronte al precario stato di salute dell’animale stesso, come, anche il comportamento di colui che tiene un comportamento tale da sottoporre l’animale a sevizie, fatiche o comportamenti insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. Per il perfezionarsi del reato è, inoltre, sufficiente l’aver posto in essere un’unica condotta, a differenza di quanto richiesto per il reato di maltrattamenti in famiglia, per il quale sono richieste più condotte reiterate.

Nonostante la dizione normativa, secondo la giurisprudenza non è necessario, per la sussistenza del reato, che i maltrattamenti abbiano provocato una vera e propria lesione all’integrità fisica dell’animale; la Corte di Cassazione, infatti, ha più volte statuito che per ritenere configurato il reato di maltrattamento “non è necessario che si cagioni una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti” (Cass. Pen., sez. III, 21.12.1998, n. 3914). In considerazione di ciò il reato di maltrattamento può essere ravvisato anche nel caso in cui l’animale sia sottoposto a sofferenze di tipo ambientale, comportamentale, logistico ed operativo.

Al secondo comma dell’articolo in commento, si è introdotto, per la prima volta, il reato di doping a danno degli animali, prevedendo, nella forma di reato di pericolo, la somministrazione di sostanze stupefacenti ovvero la sottoposizione dell’animale a trattamenti che gli procurano un danno alla salute e prescindendo anche dal concetto di necessità o di crudeltà.

Al terzo comma dell’art. 544-ter viene disciplinata una circostanza aggravante a effetto speciale, che comporta ad un aumento fisso della metà della pena e si realizza nell’ipotesi in cui dalle condotte previste al primo comma derivi la morte dell’animale. Tale aggravante sussiste solo se la morte dell’animale è conseguenza non voluta del maltrattamento, della quale l’agente non ha neppure accettato il rischio nella forma del dolo eventuale; contrariamente, infatti, si configurerebbe il reato più grave di uccisione di animali ex art 544 bis.

La sempre più avanzata tutela penale del sentimento di pietà e compassione per la sofferenza degli animali, garantita dalla fattispecie di reato in esame, ha consentito di ritenere sussistente il delitto di maltrattamento anche in relazione ad animali destinati a morire. In altre parole la tutela penale non sembra limitata agli animali da affezione, ma la giurisprudenza ha ritenuto di estenderla a quelli destinati al macello ovvero al consumo alimentare.

Considerato, infatti, che il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice è il “sentimento umano di pietà e compassione per la sofferenza degli animali”, è indubitabile che sottoporre un animale, pur se destinato a morire, ad inutili ed ingiustificate sevizie, quali quelle inflitte al bovino soprannominato Doris nell’omonimo caso giunto in Cassazione – che, impossibilitato a deambulare per le precarie condizioni di salute era stato trascinato, vessato, bastonato e sottoposto a scosse elettriche e altre vessazioni – non può che suscitare nell’uomo sentimenti di pietà e compassione.

Nell’affermare la configurabilità del delitto di maltrattamento di animali la S.C., con la decisione 38789/2015, in primo luogo ha precisato come per integrare la condotta prevista dal delitto di cui all’art. 544 ter c. 1 c.p. non sia necessaria la produzione di lesioni fisiche (non accertate nel caso di specie), ma sia sufficiente aver cagionato “sofferenze di carattere ambientale, comportamentale, etologico o logistico, comunque capaci di produrre nocumento agli animali, in quanto esseri senzienti“; in secondo luogo ha ritenuto sufficiente il dolo generico, rappresentato dal carattere non necessario del comportamento, potendo la condotta rilevante essere realizzata per crudeltà o senza necessità.

Occorre, infine, evidenziare che nel caso deciso dalla Corte, anche l’operatività dell’art. 19 ter disp. coord. c.p. di cui si è detto sopra può considerarsi del tutto esclusa, in considerazione del fatto che esso implica che la normativa speciale- che in questo settore ad esempio prevede l’immediato abbattimento e macellazione dell’animale, senza inutili sofferenze – sia stata rispettata sicchè a nulla sarebbe giovato invocare la suddetta causa di giustificazione.

Tale assunto conferma quanto già espresso dalla Cassazione, Sez. III, con la decisione n. 11606/2012 con la quale, nel decidere in merito all’imputazione per il reato di maltrattamento di animali nei confronti del titolare di un circo, svolge un’accurata analisi della portata applicativa della clausola espressa dall’art. 19-ter disp. coord. c.p., fornendone un’interpretazione coordinata con le leggi in materia di attività.

Secondo questa interpretazione della Corte di Cassazione, l’art. 19-ter disp. coord. c.p. non nega l’operatività delle fattispecie a tutela del sentimento per gli animali alle materie già disciplinate da altre leggi, bensì stabilisce che quelle fattispecie non si applichino ai casi previsti dalle leggi in materia di caccia, pesca, allevamento etc.: in altre parole, secondo l’espressione della Corte «l’eccezione deve ritenersi operante solo nel caso in cui le attività in essa menzionate vengano svolte entro l’ambito di operatività delle disposizioni che le disciplinano e ogni comportamento che esuli da tale ambito è suscettibile di essere penalmente valutato». In altre parole, per potersi ritenere scriminate, dette attività debbono essere svolte nel rispetto delle leggi che le regolano.

Venendo all’art. 544 quater, esso prende, a sua volta, in considerazione, salvi i casi in cui il fatto configuri un reato più grave, l’organizzazione e la promozione – dando ad essi la qualificazione più ampia, fino a ricomprenderne tutte le attività fin’anche la pubblicizzazione e il sostegno, ma non la condotta di assistervi –  di spettacoli e manifestazioni che comportino strazio o sevizie per gli animali.

Per quanto riguarda i combattimenti e le competizioni tra animali, il loro specifico divieto di organizzazione, anche qui nella sua accezione più ampia, è stato disposto con l’art. 544 quinquies, introducendo tre ipotesi delittuose quali il reato di promozione, organizzazione e direzione di combattimenti tra animali, il reato di destinazione di animali a combattimenti clandestini ed il reato di organizzazione di scommesse sui combattimenti di animali, colmando, con quest’ultima fattispecie, il precedente vuoto legislativo su un fenomeno notevolmente diffuso come quello delle scommesse su animali, saldamente collegato alla criminalità organizzata.

Per le attività appena descritte, al secondo comma, si determina un aumento di pena “da un terzo alla metà”, in base a tre circostanza aggravanti ad effetto speciale, ovvero se “sono compiute in concorso con minorenni o da persone armate”, se “sono promosse utilizzando videoriproduzioni o materiale di qualsiasi tipo contenente scene o immagini dei combattimenti o delle competizioni”, ovvero se “il colpevole cura la ripresa o la registrazione in qualsiasi forma dei combattimenti o delle competizioni”.

Le predette circostanze aggravanti fanno sì che la cornice edittale sia aumentata al massimo a 4 anni, con la conseguenza di rendere possibile l’arresto facoltativo in flagranza ex art 381 c.p.p. nonchè le misure cautelari reali.

In caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti, l’art. 544 sexies statuisce che sia sempre disposta la confisca dell’animale, salvo che appartenga a persona estranea al reato, con affidamento dello stesso ad associazioni o enti che ne facciano richiesta, riconosciute ai sensi dell’art. 19 quater delle disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale.

Tale previsione è finalizzata ad impedire che la libera disponibilità dell’animale possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato, o agevolarne la ripetizione. Per tale motivo, l’atto propedeutico alla confisca è il sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., a cui la Polizia Giudiziaria deve provvedere in caso di urgenza, qualora non sia possibile attendere un provvedimento del Giudice, prima dell’intervento del Pubblico Ministero.

L’art 727 c.p., sul quale la Legge 189/2004 ha operato delle modifiche resta, a tutt’oggi, inserito nel terzo libro del codice penale nel capo II, sezione I, dedicato alle “contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi” ma la sua portata è stata estesa, soprattutto grazie alla giurisprudenza e alla luce del mutato contesto sociale, alla tutela del sentimento di comune pietà verso gli animali.

Tale disposizione, che in precedenza puniva in generale i maltrattamenti e le crudeltà nei confronti degli animali confluiti nel 544 ter, nella sua nuova formulazione, restringe la sua portata punitiva in primo luogo alle condotte di abbandono degli animali, da intendersi quali l’abbandono di animali domestici o che abbiano acquisito l’abitudine alla cattività e, in secondo luogo, alla detenzione dei medesimi in condizioni incompatibili che comportino loro una grave sofferenza, come evento di danno da valutarsi in sede processuale. Quest’ultimo requisito richiesto dalla norma comporta non pochi problemi di valutazione nell’applicazione pratica, considerato che, sebbene esistano metodologie anche nel campo della sofferenza psichica, come lo stress, per stabilire il grado di sofferenza di un animale, appare tuttavia arduo stabilire quando, clinicamente, questa sofferenza diventi grave e, dunque, tale da far scattare l’illecito penale. Fondamentale sarà, allora, che la p.g. e gli avvocati di parte civile, nel corso delle investigazioni difensive, si avvalgano del supporto di relazioni medico veterinarie e di esperti che la polizia giudiziaria potrà nominare durante le fasi di indagine.

La natura, rimasta di contravvenzione anche dopo le modifiche, rende i comportamenti di cui all’art. 727 c.p. punibili con la pena dell’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da mille a diecimila euro, sia allorchè commessi con dolo, sia se cagionati per colpa, ovvero per negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi o regolamenti.

In merito al rapporto tra la fattispecie prevista all’art. 544 ter e quella di cui all’art. 727 c.p. e ai rispettivi confini strutturali, è opportuno osservare che né il dolo dell’agire “per crudeltà o senza necessità” richiesto dal delitto di maltrattamenti, né tantomeno il contraddittorio sentimento umano nei confronti degli animali che ispira la normativa, indicano con certezza fin dove si spinga la tutela penale.

Vi sono, infatti, numerosi casi in cui i rispettivi ambiti d’applicazione si sovrappongono e conducono i giudici a decidere per una fattispecie in luogo di un’altra sulla base di quelle che, al più, potrebbero considerarsi sfumature: ne è un primo esempio il caso deciso dal Tribunale di Firenze relativo ai crostacei ritrovati nella cella frigorifera di un ristorante adagiati sul ghiaccio. L’imputazione e la successiva condanna, è quella di cui all’art. 727 comma 2 c.p., ovvero quella di aver tenuto detenuto animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze. L’ipotesi delittuosa di cui all’art. 544ter viene espressamente esclusa in quanto, secondo il giudice, non può dirsi integrato l’elemento del dolo specifico della crudeltà, né il fatto può dirsi commesso ‘senza necessità’: il comportamento contestato era stato, infatti, posto in essere al fine di risparmiare sulle modalità di conservazione in quanto gli animali venivano, con quel metodo, mantenuti vivi al fine di poter essere cucinati al momento della richiesta dei clienti, conformemente alla prassi gastronomica che consiglia l’immersione in acqua bollente quando l’animale è ancora vivo.

Nella condotta del ristoratore imputato, pertanto, non viene riscontrata l’intenzione di infliggere sofferenze agli animali, ma solo indifferenza per le loro condizioni nella ricerca di un risparmio economico. Senonchè, pur essendo sicuramente assente il fine della crudeltà, qualche dubbio, tuttavia, può sorgere in merito al fatto che le modalità di detenzione contestate fossero davvero “necessarie”; le evidenti difficoltà a tracciare una netta linea di confine tra i rispettivi ambiti di applicazione delle due fattispecie, conduce la dottrina maggioritaria alla soluzione di interpretare l’art. 727 c.p. come norma speciale ex art. 15 c.p., destinata a trovare applicazione nei casi in cui il “trattamento” degli animali si esaurisca nelle condizioni della loro detenzione.

Sembra aver seguito questo criterio la Cassazione, Sez. III, nella sentenza n. 39159/2014: nell’ambito di un procedimento cautelare a seguito di un’ispezione ministeriale presso un delfinario, che aveva fatto emergere gravi lacune e criticità ambientali della struttura; i giudici avevano statuito confermando la legittimità del provvedimento di sequestro conservativo degli animali collocati in vasche di dimensioni inferiori agli standard previsti dalla normativa in materia e, per ciò stesso, qualificando la condotta come integrante il delitto di maltrattamento di animali. Questa soluzione, per quanto considerata non persuasiva da parte della dottrina, appare sostenuta dal fatto che la Corte, in questo caso, ravvisa la volontarietà della condotta di sottoporre l’animale a comportamenti incompatibili con le sue esigenze naturali basandola sullo “scambio di corrispondenza tra la persona addetta all’addestramento dei delfini” e la Direzione del delfinario costantemente informata ed aggiornata “sulle gravi criticità del/a struttura e sulle conseguenze lesive per i delfini“; nonostante tale conoscenza e malgrado le avvertenze, l’indagato, infatti, “ha persistito nel mantenere lo statu quo sia dal punto di vista ambientale che dal punto di vista della salute dei delfini“.

Su questa linea si posiziona anche la sentenza n. 2568/2013 del Tribunale di Verona, che individua nell’elemento soggettivo doloso la demarcazione tra le due fattispecie: laddove sia ravvisabile il dolo (anche eventuale), come nel caso analizzato, si rientra nel campo di applicazione dell’art. 544 ter c.p., il quale richiede appunto l’elemento soggettivo doloso; sono, invece, punite con la contravvenzione contenuta nell’art. 727 comma 2 c.p. le condotte meramente colpose, consistenti nella detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura tali da provocare gravi sofferenze.

In conclusione, il legislatore con l’introdurre le nuove norme contenute nella L. 189/2004 ha ritenuto imprescindibile la garanzia di un’elevata protezione giuridica di ciascun animale, indipendentemente dal grado della scala biologica da questi occupato, al fine di orientare il comportamento dei consociati al riconoscimento sempre più accentuato di una soggettività animale che deve essere rispettata e tutelata. Per quanto, dunque, l’essere umano continui ad occupare, come ovvio, una posizione privilegiata, la generale sensibilizzazione nei confronti di comportamenti odiosi di sfruttamento e maltrattamento degli animali nonché il loro impiego in attività che li sottopongano a sofferenze, ha aperto il cammino verso una, si auspica sempre maggiore, salvaguardia dei loro diritti che sia rivolta non solo alle conseguenze che i loro patimenti producono nell’animo umano ma che li consideri essi stessi come soggetti meritevoli di tutela, sempre alla luce della considerazione che, prima ancora di comportamenti conformi ad una normativa sempre più stringente, il loro rispetto è da considerarsi sinonimo di umanità e civiltà.

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