Il web e la morte di Tiziana Cantone

UN SUICIDIO INIZIATO DA UN GIOCO E FINITO NELLE PIEGHE MORTALI DELLA RETE

di dott.ssa Giorgia Mazzei

UnknownTiziana Cantone è morta per una cosa che era cominciata come un gioco. Era un gioco fare sesso cambiando partner, era un gioco lasciarsi riprendere, era un gioco inviare poi i video ad altri uomini. Lei ha giocato senza rendersi conto di quanto fosse pericoloso. Non ha capito che mandare in giro quelle immagini significava mettere la sua intimità nelle mani di gente che avrebbe potuto farne qualsiasi cosa. Se ne è resa conto quando ha scoperto di essere finita sui siti porno. E ha provato, inutilmente, a fermare quel mondo incontrollabile che è il web. Quello che Tiziana oggi non può più raccontare le sue libere scelte sessuali, la condivisione dei video e ritrovarseli online, e poi la vergogna e gli insulti e le battutacce, e la solitudine, la depressione, le lacrime, la voglia di farla finita, lo raccontano le carte giudiziarie dei procedimenti nati dalle sue denunce e dai suoi tentativi di far sparire dalla rete quei filmati.

È il maggio del 2015, quando Tiziana si presenta in Procura per fare una denuncia. Racconta di aver girato quei video e di averli poi inviati a persone con le quali, spiega al magistrato, aveva intrecciato «relazioni virtuali» sui social network. Era un periodo di «fragilità e depressione», fa mettere a verbale, e ancora peggio sta ora che ha scoperto che quei video sono su molti siti porno. Fa i nomi dei quattro a cui ha inviato le immagini, e tutti vengono indagati per diffamazione: sono due fratelli emiliani, un brindisino, un altro di cui viene indicato anche il nickname che usa su facebook. La donna non parla di altri, nessun riferimento al suo ex fidanzato quando ha girato i video.

Sono giorni in cui Tiziana fa di continuo scoperte che la avviliscono. Le racconta, una dietro l’altra, nella memoria che il 13 luglio 2015 presenta al giudice civile di Aversa per chiedere la rimozione dei video da siti e motori di ricerca. Anche qui premette di essersi fatta riprendere «volontariamente e in piena coscienza», e specifica che le registrazioni sono sei. Conferma anche i nomi contenuti nella denuncia di maggio come destinatari delle sue condivisioni. E racconta quello che le succede a partire dal 25 aprile, quindi pochissimo tempo dopo aver girato i video. Quel giorno la chiama un amico e le dice di averla vista in un filmato su un sito porno. Lei riconosce le immagini e ricorda pure a chi dei quattro amici virtuali le aveva mandate. Due giorni più tardi una nuova scoperta su altri due siti porno, e dopo meno di una settimana un’altra ancora. Tiziana comincia a passare il suo tempo a fare ricerche mirate. Scopre un forum per adulti in cui si parla di lei come della protagonista di video pubblicati da un sito di scambisti, e alcuni gruppi su Facebook dedicati a lei, ma soprattutto numerosi profili fasulli con il suo nome e le sue foto tratte dai frame di quei filmati, seppure parzialmente coperte per non incorrere nella censura del social network. Poi le arriva la telefonata di un altro amico che le racconta di aver ricevuto su WhatsApp una sua foto, sempre di quelle tratte dai video. Che ormai stanno girando all’impazzata.

Tiziana torna in Procura, fa una integrazione alla denuncia di maggio e i pm aggiungono il reato di violazione della privacy, ma stavolta non iscrivono nessuno nel registro degli indagati. Intanto lei smette di uscire da casa perché le è capitato di essere «riconosciuta e derisa», scrive nella denuncia. Non va più al supermercato, né in palestra, al cinema o al ristorante. Gli amici spariscono, nessuno la chiama più, nessuna la invita a uscire. Lei comincia a stare male, ha attacchi di panico, piange, pensa al suicidio. Ci prova anche ma la fermano in tempo. L’unico che le è accanto e che la sostiene anche nelle spese per l’avvocato è l’ex fidanzato. Se per affetto o per altro non è chiaro. E anche questo, così come un suo eventuale ruolo in tutta la vicenda dei video, cercheranno di capire i pm della Procura di Napoli Nord che martedì hanno aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio. Per adesso senza nessun indagato. L’istigazione al suicidio è disciplinata dall’articolo 580 c.p. recita: “chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.
Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1 e 2 dell’articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della, si applicano le disposizioni relative all’omicidio”.

Il reato in oggetto si caratterizza per la presenza di un evento materialisticamente intenso, la morte ovvero le lesioni personali gravi o gravissime; ciò consente di affermare che l’istigazione o aiuto al suicidio è un reato di evento e non di mera condotta. L’elemento psicologico è il dolo specifico, risultando la rappresentazione e la volontà dell’evento lesivo connotate significativamente dalla finalità di facilitare l’altrui condotta suicida. Il tentativo di istigazione o di aiuto non è punibile in quanto si risolve in una istigazione non accolta, difettando l’evento morte o le lesioni personali gravi o gravissime richieste della norma giuridica. Anche dopo la sua morte Tiziana Cantone divide il web tra innocentisti e colpevoli, lasciando che la giustizia faccia il suo corso è tutta questa faccenda finisca restituendo dignità a una persona morta e alla sua famiglia, l’unica colpa , se si può parlare di colpa, di questa ragazza è stata fidarsi di persone che l’hanno ingannata.

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