Il J’accuse di Zola, grido d’amore per una democrazia in pericolo

Ed è volontariamente che mi espongo. Quanto alle persone che accuso, non le conosco, non le ho mai viste, e non nutro contro di esse né rancore né odio. Per me sono soltanto entità e spiriti di malvagità sociale. E l’atto che compio oggi non è che un mezzo rivoluzionario per sollecitare l’esplosione della verità e della giustizia. Non ho che una passione, quella della chiarezza, in nome dell’umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto ad essere felice“.
Parole che sembrano scritte per questo momento particolarmente difficile per le democrazie occidentali, scolpite invece nella pietra il lontano 13 gennaio 1898, quando il quotidiano “L’Aurore” pubblica la lettera di Emile Zola al Presidente francesce Felix Faure.
Nel suo celebre “J’accuse” Zola punta il dito, nome e cognome, contro tutti i responsabili di una della pagine più cupe e miserabili della democrazia francese, la condanna di Alfred Dreyfus. Innocente.
Dreyfus era un ufficiale ebreo impiegato presso il Ministero della Guerra, accusato nel 1894 di aver rivelato importanti segreti militari relativi alla difesa nazionale all’addetto militare tedesco a Parigi. Una montatura, nulla di vero.

Arrestato, giudicato in modo sommario e condannato alla deportazione a vita nella Guyana Francese: l’Isola del Diavolo.

Zola punta il dito contro i responsabili, contro la ragion di Stato, contro il degrado dei valori che dovrebbero guidare un politico.

Ma il J’accuse di Zola è, al tempo stesso, una potente dichiarazione d’amore verso la Francia, verso quei valori di eguaglianza, libertà, fratellanza che non sono solo colori di una bandiera, ma spirito nazionale che si fa anzitutto difesa dei diritti umani.

Il libro è stato recentemente ripubblicato in italiano nella sua versione integrale, con prefazione di Roberto Saviano.

Nei momenti insopportabili del quotidiano, quando le notizie ti raggiungono come prova oggettiva dell’impossibilità di poter vivere in un paese giusto, quando ti accorgi che la soluzione adottata dai più è abbandonarsi al livore o alla rassegnazione, ci sono pensieri che riescono a concedere una possibilità di soluzione. Qualcosa in più di un semplice conforto. Così almeno è per me. Queste pagine di Émile Zola, che dopo molti anni tornano a essere pubblicate in Italia, sono una sorta di preghiera, versi che reciti in silenzio, a mente, che la memoria ti restituisce proprio quando servono a confortarti e non perdono bellezza mai, anche a ripeterli infinite volte.

Queste le parole di Saviano con cui ci viene aperta la porta alla lettura di queste pagine che tutti noi dovremmo, almeno una volta, leggere.

Per ricordare l’importanza di difendere i diritti umani, anche quando non siamo coinvolti, disposti a pagare un prezzo alto per un princìpio.

Zola pagò con il carcere, ma il suo coraggio di intellettuale libero che, combattendo con le sue armi, riuscì a salvare un uomo innocente e l’architrave portante della Repubblica francesce dal gorgo di corruzione e vergogna che la stava avvolgendo.

L’affaire Dreyfus non fu un errore giudiziario, ma una complessa macchinazione ordita per trovare un capro espiatorio all’alto tradimento allo Stato che sia era realizzato con la pubblicazione di quelle informazioni sensibili.

In questi casi, in genere, la sabbia del mistero copre lo scandalo e la vergogna dei responsabili in vita. Le colpe vere vengono poi coperte con la terra dell’oblio, in morte. In Italia siamo rassegnatamente abituati a questa trama.

Emil Zola può insegnarci che non è necessario che le cose vadano come Qualcuno decide che debbano andare.

Leggete Zola, vi sentirete pervasi di uno spirito migliore per l’Anno che ci accingiamo ad iniziare. Questo è il mio augurio per tutti voi lettori, per me stesso e per il nostro amato Paese.

TOMMASO ROSSI

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