Gli inquietanti collegamenti con il mostro di Firenze

UNA VICENDA DOLOROSA E ANCORA MOLTO MISTERIOSA

imagesLa vicenda del maniaco seriale arrestato ha riportato a galla il ricordo del “mostro di Firenze” e di anni di processi e inchieste che mai del tutto hanno fugato la coltre di nebbia e mistero legata alla vicenda.

L’ultimo mattone fu messo al tribunale di Perugia nel 2012, quando sono state depositate le motivazioni della sentenza pronunciata dal gup del Tribunale di Perugia sulla morte del medico Francesco Narducci, ripescato cadavere nel lago Trasimeno nel 1985, dopo l’ultimo omicidio commesso dal mostro di Firenze. Il processo era stato avviato dalle Procure di Perugia e Firenze per risalire ai mandanti degli omicidi del “mostro”.

Nel corso degli anni si erano rincorse inquietanti ipotesi di collegamento tra la serie di crimini commessi da quei “compagni di merende” Mario Vanni e Giancarlo Lotti (condannati in via definitiva come gli autori materiali dei quattro duplici omicidi avvenuti tra il 1968 e il 1985 nella Provincia di Firenze) e Pietro Pacciani, il contadino condannato in primo grado a più ergastoli, individuato come autore di 7 degli otto duplici omicidi del mostro di Firenze e morto prima della celebrazione del processo d’appello.

Il collegamento tra i delitti del mostro e il dottor Narducci. Una pista aveva condotto proprio a Perugia e al dottor Francesco Narducci, medico e docente universitario, sospettato di essere responsabile dei delitti o uno dei capi della misteriosa setta satanica che avrebbe commissionato ai compagni di merende e a Pietro Pacciani gli omicidi seriali. L’8 ottobre 1985, a poche settimane dall’ultimo, feroce duplice omicidio del mostro, il dottor Francesco Narducci venne visto per l’ultima volta a bordo della sua barca sul lago Trasimeno. Dopo quattro giorni, il suo cadavere fu ritrovato proprio in quelle acque. Aveva solo 36 anni. La famiglia avrebbe parlato subito di una disgrazia, additando quello di Francesco come un suicidio. La morte a quel tempo fu considerata accidentale, Narducci era morto per annegamento pertanto sulla salma non fu disposto alcun esame autoptico e si procedette alla tumulazione. Secondo alcune dichiarazioni di persone informate sui fatti e in base ad “anomalie” negli accertamenti sul cadavere, si ipotizzò che il medico fosse stato ucciso. Nel 2001 la Procura di Perugia aprì un’inchiesta sulla morte del medico, dopo che in un’indagine antiusura un’intercettazione telefonica evidenziò la minaccia a una donna: “ti faremo fare la fine del medico del lago”. Nel 2002 la Procura ordinò la riesumazione della salma del medico e stavolta, fu disposta un’autopsia (svolta dal professor Giovanni Pierucci dell’Università di Pavia) dalla quale emersero lesioni compatibili con lo strozzamento. Furono anche trovate tracce di narcotizzanti nei tessuti, che avrebbero avvalorato questa ipotesi. Nel 2002  l’inchiesta sul caso Narducci venne unificata con quella dei delitti del mostro di Firenze, per cui da tempo si ipotizzava l’esistenza di alcuni mandanti.

L’inchiesta della Procura di Perugia. Secondo la Procura del capoluogo umbro, quando il cadavere di Francesco Narducci venne ripescato nelle acque del Trasimeno, furono compiute una serie di irregolarità. Dal presunto omicidio del medico, alla mancata autopsia nel 1985 alla sostituzione di cadavere con quello di uno sconosciuto per insabbiare le indagini sulle effettive cause della morte (autunno 1985): la Procura avviò un’inchiesta giudiziaria profilando il coinvolgimento di una loggia massonica alla quale risultava appartenere Ugo Narducci, padre del medico morto. Secondo la Procura, la loggia sarebbe stata coinvolta sia nella copertura degli omicidi seriali del mostro di Firenze che nella sostituzione del cadavere. Ma Ugo Narducci smentì ogni cosa, sostenendo invece che il figlio Francesco si era suicidato nelle acque del Trasimeno dopo aver appreso una diagnosi medica che gli avrebbe rivelato una grave malattia. Il processo ai mandanti degli omicidi del mostro fu archiviato nel maggio 2008. Fu assolto l’ex farmacista di San Casciano Francesco Calamandrei, che secondo alcuni testimoni avrebbe avuto rapporti e complicità con Narducci. Nel giugno 2005 il gup Marina De Robertis su richiesta del pm Giuliano Mignini, archiviò per insufficienza di prove il procedimento contro Calamandrei, Spezi e due pregiudicati per l’omicidio di Francesco Narducci. A giugno 2009 la parte d’inchiesta sulla morte del medico fu archiviata dal gip Marina De Robertis della Procura di Perugia, la quale accoglieva la richiesta del pm Giuliano Mignini e confermava che Francesco Narducci era stato ucciso, che il cadavere ripescato nel lago Trasimeno il 13 ottobre 1985 non poteva essere quello del medico, ma quello di uno sconosciuto, mentre Narducci era morto in circostanze di tempo e di luogo completamente diverse e non era annegato. E sempre secondo il Gip, Narducci era risultato coinvolto negli ambienti nei quali erano maturati i delitti. Per la gran parte dei reati considerati “minori” (soppressione e occultamento di cadavere, uso illegittimo e soppressione di svariati documenti), il Gip ha riconosciuto l’ormai maturata prescrizione. L’ordinanza fu impugnata in Cassazione dal padre e dal fratello del medico ucciso, ma la Corte stessa ha dichiarato inammissibile il ricorso. Un altro filone d’inchiesta riguardava l’ipotizzata associazione per delinquere e una serie di altri reati più recenti (false dichiarazioni al Pm e concorso in calunnia ai fini di depistaggio), messi in atto da soggetti istituzionali e dalla famiglia, oltre che da giornalisti per nasconderne l’omicidio di Narducci e le sue cause, per sostituire il cadavere e comunque depistare le indagini. In particolare, la Procura contestava ai membri della famiglia di Narducci e ad alcuni esponenti delle istituzioni il reato di associazione per delinquere finalizzata all’occultamento di cadavere. Queste persone – secondo la pubblica accusa – avrebbero occultato le vere modalità della morte di Narducci, in concorso tra di loro, sostituendo il suo cadavere con quello di uno sconosciuto morto per annegamento. E avrebbero impedito l’autopsia. Quando fu ripescato il cadavere che tutti pensavano fosse del medico, con i chiari segni dell’annegamento, non furono scattate nemmeno foto del cadavere. Le uniche utilizzate nelle indagini erano state effettuate da un fotoreporter del quotidiano “La Nazione”. Il tutto sarebbe stato fatto, secondo la Procura, per evitare che emergesse il coinvolgimento del medico nei fatti del mostro di Firenze.  Il 20 aprile 2010 il giudice per l’udienza preliminare Paolo Micheli ha emesso sentenza di non luogo a procedere. Ma la motivazione della sentenza, il cui termine per il deposito scadeva il 20 luglio 2010, a oltre un anno di distanza non è stata depositata.

La motivazione della sentenza del gup. Nelle 934 pagine, il giudice stabilisce che Francesco Narducci si suicidò. Non c’è stato omicidio quindi, “non c’è mai stato un doppio cadavere”, scrive il giudice nella motivazione della sentenza. E con questo, il gup motiva il proscioglimento di una ventina di persone – tra familiari della vittima, pubblici ufficiali, giornalisti – al termine dell’udienza preliminare sulle presunte irregolarità compiute (secondo la Procura di Perugia) al momento del recupero del cadavere. Il gup ritiene che gran parte dei reati ipotizzati a carico della famiglia del medico morto “non abbiano mai avuto effettiva sussistenza”, ma era comunque “doveroso indagare da parte del pm”. “L’ipotesi (suicidio) che si può formulare adesso, dopo consulenze, riesumazioni e migliaia di pagine di atti istruttori, certamente non era possibile esprimere con certezza all’atto del rinvenimento del cadavere, e che non avrebbe potuto essere liquidata come mera evenienza, al pari della tragica  – e comunque non chiarita nella dinamica -  fatalità”. Dunque secondo il gup, le indagini del pm Giuliano Mignini erano motivate. “Non fare un’autopsia -  scrive nelle 934 pagine di motivazione il gup - fu un errore: un errore che commise chi avvertì il magistrato di turno sostenendo che se ne poteva prescindere, ovvero non evidenziando che sarebbe stato doveroso darvi corso, a dispetto di chi insisteva per sbrigarsi. Le indagini fatte era doveroso farle, pur non essendo condivisibili le conseguenze che oggi il Pubblico Ministero sostiene sia necessario ricavarne”. Nella motivazione ci sono anche le basi per il proscioglimento dei venti indagati, tra cui i familiari della vittima. “Ritengo - si legge ancora - che la gran parte dei reati ipotizzati dal pm a carico dei familiari del Narducci non abbiano mai avuto effettiva sussistenza, e che quanto ai residui addebiti si imponga il proscioglimento degli imputati per difetto di dolo: è facile allora immaginare che oggi, al momento del redde rationem, i primi a doversi dolere delle carenze istruttorie dell’epoca siano proprio coloro che nel 1985 verosimilmente si attivarono - pur senza commettere reati – per far sì che ad un’autopsia non si desse corso”.

I reati del mostro di Firenze e il modus operandi. Gli efferati omicidi del “mostro di Firenze” (denominazione con cui la stampa identificava l’autore o gli autori di terribili omicidi seriali nella Provincia di Firenze compiuti nell’arco di quasi vent’anni) riguardarono giovani coppie in cerca di intimità, appartatesi nella campagna fiorentina. Si parlò di omicidi seriali per alcune costanti che ricorsero in tutti i delitti: i mezzi usati, il modus operandi dell’omicida. Tutti i delitti furono compiuti nelle stesse circostanze di tempo e luogo, tranne nel duplice delitto del 1985 in cui le vittime erano in una tenda da campeggio, altrimenti tutte le altre coppie uccise erano state sorprese dal killer all’interno di auto. I luoghi erano la campagna, meglio se in anfratti bui e nelle notti di novilunio, quasi sempre d’estate, nel fine settimana o in giorni prefestivi. In tutti i delitti era stata usata la stessa arma da fuoco: una pistola Beretta serie 70 (viene ormai dato per certo che si tratti del modello 74 o 76 da dieci colpi), calibro 22 long rifle, in commercio dal 1959. I proiettili erano munizioni Winchester marchiati con la lettera “H” sul fondello del bossolo. Efferati i delitti. Mentre il ragazzo veniva ucciso quasi subito, crivellato di colpi, il mostro infieriva con crudeltà sulle donne. In quattro degli otto duplici omicidi compiuti, l’assassino ha asportato il pube delle donne uccise, servendosi di un coltello forse da sub. Negli ultimi due casi venne escisso anche il seno sinistro.

Le vittime. Il mostro di Firenze compì otto duplici omicidi seriali tra il 1968 e il 1985. Le vittime, tutte coppiette in cerca di intimità, furono: Antonio Lo Bianco e Barbara Locci (uccisi a Signa mercoledì 21 agosto 1968); Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini (Borgo San Lorenzo, domenica 14 settembre 1974); Giovanni Foggi e Carmela De Nuccio (Scandicci, sabato 6 giugno 1981); Stefano Baldi e Susanna Cambi (trucidati a Le Bertoline, giovedì 22 ottobre 1981); Paolo Mainardi e Antonella Migliorini (Baccaiano, sabato 19 giugno 1982); Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rusch (Giogoli, venerdì 9 settembre 1983); Claudio Stefanacci e Pia Rontini (uccisi a Vicchio, il 29 luglio 1984); Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot (Scopeti, domenica 8 settembre 1985).

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One Response

  1. uuose
    uuose at |

    ma si puo’ essere piu deficenti, hanno tirato in ballo mezza toscana ,ma secondo molti veri esperti e non lo penso solo io il vero mostro e’ uno solo un povero fortunato maniaco che gli ha detto bene ad uccidere quando ancora non c’erano telecamere dna e controlli vari , se ci avesse provato dagli anni 2000 in poi lo avrebbero preso dopo mezzora!

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