Norman Atlantic:il traghetto ‘maledetto’ in fiamme

INDAGINI SULLE CAUSE E SULLA PRESENZA NELLA STIVA DI CLANDESTINI.
di Barbara Fuggiano (praticante avvocato)

Era il Norman Atlantic, partito da Patrasso verso Ancona, il traghetto che, a largo del mare Adriatico, alle 4:30 del 28 dicembre 2014 si è incendiato per un rogo originatosi nel garage della nave. Le difficili condizioni climatiche e il mare particolarmente mosso hanno protratto per oltre 24 ore l’agonia e il terrore dei passeggeri. Le testimonianze raccolte nell’immediatezza sono state drammatiche: “Siamo fuori sul ponte, stiamo morendo di freddo e soffochiamo per il fumo, l’incendio si estende sempre di più. I pavimenti sono bollenti, le persone tremano e tossiscono. Non si sa se ce la faremo”, “Le nostre scarpe hanno iniziato a fondersi mentre eravamo nella zona della reception”, “La nave è inclinata, siamo in pericolo, bruceremo come topi”.
La causa dell’incendio è ovviamente ancora ignota. In piedi ci sono diverse ipotesi: un guasto all’impianto elettrico, lo sfregamento del tetto di un camion con il soffitto del garage per via del mare mosso, la presenza di clandestini nei mezzi trasportati nella stiva.
Il traghetto Norman Atlantic, sottoposto a sequestro, ha attraccato poche ore fa nel porto di Brindisi. Immediatamente è stata recuperata la scatola nera, elemento essenziale per accertare le cause dell’incendio e per conoscere la dinamica degli eventi. Come spiega il sostituto procuratore di Bari, Ettore Cardinali, essa “sarà analizzata a Bari con un accertamento tecnico irripetibile nei prossimi giorni. Ora abbiamo fatto un primo sopralluogo per verificare innanzitutto le possibilità di accesso alla nave, .. (ma) al momento nella parte interna della Norman Atlantic non è possibile, per questioni di sicurezza, poter entrare e verificare (la presenza di) eventuali altri corpi, che non si esclude ci siano”.
Nei locali della stiva della nave, infatti, la temperatura è ancora elevatissima, alcuni locali sono andati completamente distrutti dalle fiamme e dai boccaporti del traghetto fuoriesce ancora fumo.
I corpi delle vittime fino ad ora recuperati ammontano a 11, ai quali si aggiungono purtroppo i due marinai di un rimorchiatore albanese che hanno perso la vita nel tentativo di agganciare il relitto “maledetto”. Tre vittime sarebbero autotrasportatori italiani (uno, in verità, ancora disperso) che lavoravano per la Eurofish di Volla (Napoli), i quali, per beffa del destino, non avrebbero neanche dovuto trovarsi sulla Norman Atlantic, abituati a viaggiare sulla Superfast, ed erano persino riusciti a salire su una scialuppa di salvataggio.
Con ottimismo si prevede che il numero di dispersi – clandestini esclusi – si aggiri intorno alle 10-15 unità, anche se i numeri ufficiali si conosceranno solo ne momento in cui la Grecia fornirà una lista d’imbarco attendibile, cosa che, si spera, avvenga nel più breve tempo possibile, nonostante “i tempi lunghi di Atene”, per usare le parole del procuratore di Bari, Giuseppe Volpe.
Tra i dispersi, nove cittadini greci, i cui parenti sono giunti nei pressi della banchina di Costa Morena (dove è ormeggiata la nave) per mezzo della compagnia Anek Lines che ha messo a disposizione viaggio, pernottamento e vitto. La nipote di un camionista greco disperso ha chiesto ai giornalisti “Dateci una mano a raccogliere informazioni. Non abbiamo più speranze di trovarli vivi, almeno che si spenga l’incendio e ci dicano se sono là dentro. Non abbiamo fiducia più in nessuna autorità, né quelle italiane né quelle greche: come potremmo, dopo tutto quello che è successo?”. Parole pregne di comprensibile disperazione e rassegnazione.
Nel corso di un secondo sopralluogo effettuato ieri, il pm della procura di Bari ha coordinato un pool ispettivo di guardia costiera, carabinieri e polizia e fatto strada a tre uomini della Commissione ministeriale per i sinistri in mare (della Direzione Generale per le investigazioni ferroviarie e marittime del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) che pare abbia avviato un’inchiesta per far luce sulle cause del disastro.
In particolare, grazie all’aiuto dei Vigili del Fuoco, per la procura sarà necessario verificare lo stato delle dotazioni di sicurezza nonché il funzionamento del piano antincendio, elementi fondamentali ai fini dell’accertamento della colpa nei reati eventualmente commessi e per comprendere perché l’incendio non sia stato domato in tempo e se vi siano anche responsabilità nell’imbarco di persone e mezzi di trasporto, nel ritardo nel dare l’allarme e nel chiedere l’abbandono della nave. Per ora due elementi sono quasi certi: certificazioni non conformi alle normative e carico irregolare nella stiva.
L’attenzione della procura è rivolta anche al precedente rogo di un altro traghetto della Anek Lines, la Ierapetra L. (diretta a Igoumenitsa), lo scorso 30 novembre, sempre originatosi in un locale della sala macchine.
I tre fascicoli di indagine aperti dalle procure di Bari, Lecce e Brindisi sono stati uniti in un’unica inchiesta alla guida del procuratore Giuseppe Volpe; diversi ufficiali (tra i quali, il comandante Giacomazzi e l’armatore Visentini) e sottoufficiali sono indagati per naufragio colposo, omicidio plurimo colposo e lesioni colpose, mentre il relitto è sotto sequestro da lunedì scorso.
Dopo i primi sopralluoghi a Brinidisi, nel registro degli indagati sono stati iscritti altri quattro nomi: quello del legale rappresentante della società noleggiatrice della nave (la greca Anek Lines), Pavlos Fantakis (dipendente della Anek Lines), e quelli di altri due membri dell’equipaggio della Norman Atlantic.
Sentito in sede di interrogatorio, il capitano Argilio Giacomazzi, che ha gestito i lavori di soccorso fino all’ultimo minuto evitando che la situazione degenerasse, ha dichiarato “Ho solo fatto il mio dovere: avrei voluto portarli tutti a casa”.
Mentre buona parte dell’opinione pubblica concentra la propria attenzione su colui il quale è divenuto ormai l’”anti-Schettino” per antonomasia, i giornalisti si sfidano a duello per riportare calcoli matematici sul numero esatto (circa 500) delle persone a bordo del traghetto, nonostante gli stessi inquirenti abbiano sostenuto di non poter ancora fornire “stime precise”, e le autorità pugliesi locali si pavoneggiano per l’importanza del proprio intervento, la mia attenzione si è concentrata sulla probabilità, sempre più concreta, che sul traghetto in fiamme si trovassero decine di clandestini.
Gli “addetti ai lavori” (Avvocati e Forze dell’Ordine) del Foro di Ancona – come suppongo accada in tutte le città portuali – sanno bene che nelle stive delle navi o dei traghetti delle compagnie di trasporto marittimo spesso sono collocati pullman, camion o altri mezzi ove vengono nascosti clandestini, con l’intento di favorirne, anche solo momentaneamente quale “tappa intermedia”, l’ingresso in Italia.
Queste persone, disperate e magari di giovanissima età, sono collocate nei garage delle navi proprio perché, nel corso della navigazione, l’accesso in quei locali è perentoriamente vietato, in conformità alle condizioni generali di trasporto e per ragioni di sicurezza, e le loro condizioni di viaggio sono davvero prossime alla tortura, affinché nessuno possa accorgersi della loro presenza.
Se venisse accertata la presenza di altri clandestini nella stiva del traghetto incendiato, i capi di imputazione certamente si aggraverebbero ai sensi dell’art. 12 d.lgs. 286/1998, qualora si dovesse individuare l’autore del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (magari tramite l’assunzione in sede di incidente probatorio delle prove testimoniali dei tre clandestini già identificati tra i superstiti, tra i quali uno ha già chiesto asilo politico) e si ritenesse competente l’autorità giudiziaria italiana.
Quello che mi fa più rabbia è che, ancora una volta, i corpi di queste persone non avranno un nome, non se ne conoscerà la storia, le loro famiglie probabilmente non saranno rintracciate. Nella stiva, a morire, erano soli. Nessuno avrebbe potuto cercarli o aiutarli, perché nessuno sapeva fossero lì.
Mentre l’ingiustizia delle vittime “regolari” viene gridata a gran voce dagli altri, noi vi chiediamo di rivolgere un pensiero alle vittime “irregolari” e alla sfortuna che ha perseguitato la loro vita sino all’ultima agonia.

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