Sport e Diritti- Coppi e Bartali: un’immagine che va oltre le parole.

Il 2 gennaio l’anniversario della morte di un grande campione. Era il 2 gennaio 1960 e a soli quarant’anni moriva Fausto Coppi. Ripubblichiamo la storia di sport scritta alcuni mesi fa.

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La storia di oggi è una di quelle che tutti abbiamo davanti agli occhi, condensata in una immagine. Quella borraccia passata tra i due, momento magico e mai svelato catturato da una foto di Carlo Martini sul passo del Galibier, durante l’ascesa verso la mitica Alpe d’Huez. Era il Tour de France del 1952, Fausto Coppi indossava la maglia gialla e quel passaggio di borraccia- di cui i due protagonisti mai vollero svelare la direzione- mostrò al mondo quello che qualcuno aveva già capito, oltre le parole: una storica rivalità può nascondere in sé una grande amicizia. Rispetto, amore per la strada e il sudore, sportività, coraggio, forza, lealtà. Valori di uno sport che, forse, ormai non esiste più. Cemento, pavé, breccia, e ancora sudore, urla della folla, e un’Italia che nel dopoguerra monta su quella bicicletta per scalare con la stessa fatica la montagna verso il benessere. E in quella borraccia c’è tutta la vita e quella solidarietà umana che troppo spesso negli anni a venire è stata messa da parte, nello sport come nella quotidianità.

Ma facciamo un passo indietro. 1940, Giro d’Italia, Bartali era già un campione affermato. Fausto Coppi era un gregario della sua stessa squadra, la “Cicli Legnano”. Durante una tappa, Bartali fu attardato da una caduta, i gregari si fermarono ad aiutarlo e fargli recuperare il gap col gruppone. Coppi invece, su ordine del direttore sportivo della squadra, proseguì sino il traguardo per mantenere la buona posizione di classifica conquistata sino ad allora.Inaspettatamente, o forse non per chi capiva di ciclismo, Coppi vinse la tappa staccando tutti. Bartali si complimentò col giovane compagno di sqadra, ma lo mise in guardia dalle salite delle prime tappe di montagna. Coppi era un passeur, un passista da classiche di un giorno, mentre Bartali era un famoso scalatore.

In quel giro Coppi, forte della migliore posizione di classifica, divenne l’uomo-vittoria e il campione più esperto Bartali si mise al servizio dell squadra.

Nella tappa Firenze-Modena il piemontese Coppi scattò sull’Abetone e sotto una pioggia biblica vinse la tappa e conquistò la maglia rosa. Ma sulle Alpi arrivarono difficoltà e crampi per il giovane Coppi, che si decise a ritirarsi da quel giro. Ma Gino Bartali lo aiutò, lo spronò, e lo convinse. Nel ciclismo come nella vita non si deve mai abbandonare. Fausto Coppi vinse il suo primo Giro d’Italia, Bartali dovette accontentarsi di dominare la classifica degli scalatori.

Due anni dopo al celebre Velodromo Vigorelli, Coppi conquista l’allora ambitissimo record dell’ora, con 45,87 km percorsi, in un clima surreale dove il fiato era sospeso non per l’attesa sportiva ma per l’imminente pericolo dei bombardamenti.

La Guerra ebbe il sopravvento su quelle meravigliose battaglie sportive. Almeno per un po’. Coppi fu mandato in Africa con la fanteria, fu fatto prigioniero dagli inglesi, ma per fortuna riuscì a tornare in Italia nel 1945 e riprendere la sua ascesa sportiva.

Nacque la rivalità tra Coppi e Bartali, che divise l’Italia diventandone a tratti anche una metafora della divisione politica dell’Italia del dopoguerra. Un po’ come Don Camillo e Peppone, Coppi e Bartali divennero l’emblema strumentalizzato dei due principali partiti della Repubblica neonata. Il Partito Comunista e la Democrazia Cristiana.

Tra il 1940 ed il 1954 Coppi e Bartali dominarono la scena del ciclismo, con un bilancio di vittorie strepitoso: 8 giri d’Italia (5 Coppi e 3 Bartali), 39 tappe (22 Coppi e 17 Bartali), 4 Tour de France (due per uno), 7 Milano-Sanremo (4 Bartali e 3 Coppi.

Ginettaccio Bartali, per via di quel carattere scanzonato e dell’ironia pungente da buon toscanaccio. Campione contadino, amante della buona tavola e del buon vino, simpatico e un po’ tradizionalista che correva per la “Cicli Legnano”.

L’Airone Coppi, per quella sua eleganza sui pedali e nella vita, piemontese austero e gentiluomo, magrissimo, tormentato e un po’ “maledetto” che fece grande la “Bianchi”.

Curzio Malaparte scrisse: “c’è sangue nelle vene di Gino, mentre in quelle di Fausto c’è benzina”.

Momenti di tensione in quella acerrima rivalità.

Al mondiale di ciclismo del 1948, disputato nei Paesi Bassi, Coppi e Bartali difendevano insieme la maglia azzurra.

Si diedero battaglia per tutta la corsa, facendo saltare tutti i disegni tattici del selezionatore e consumando tutte le loro energia. Ritirati entrambi. La federazione li sanzionò con due mesi di squalifica per quell’assurda battaglia tra compagni di nazionale.

Eccoci a quella foto da cui siamo partiti, e al Tour de France del 1952. Da più di dieci anni quella rivalità animava il ciclismo e l’Italia. Quella rivalità nascondeva una grande amicizia.

I due non svelarono mai chi passò la borraccia a chi. Mille illazioni e ricostruzioni furono fatte su quel passaggio di borraccia.

La storia della rivalità tra Coppi e Bartali fu anche la storia dell’affacciarsi sulla scena del ciclismo del “terzo incomodo”, Fiorenzo Magni, meno forza e tecnica dei due campioni, ma scaltro e con tanto cuore. Vinse tre Giri d’Italia, approfittando del fatto che i due campionissimi spesso si dimenticavano del resto del gruppo e si davano battaglia l’un l’altro in una gara nella gara che accedeva la fantasia e le passioni dei tifosi.

La storia di Bartali e Coppi fu anche la storie di un’Italia che cambiava, rapidamente, mentalità, superando pian piano il bigottismo contadino e provando ad emanciparsi (senza mai riuscirci) ma sempre sentendo la necessità di nascondersi dietro un dito di ipocrisia. Coppi fu al centro anche delle cronache scandalistiche del tempo per la relazione extraconiugale avuta con Giulia Occhini, moglie di un noto medico e tifoso del ciclista, conosciuta durante la Tre Valli Varesine del 1948. La “Dama Bianca”.Tra Fausto Coppi e Giulia Occhini iniziò una intensa storia d’amore, resa pubblica nel giugno del ’53 e subito additata da parte dell’opinione pubblica e dalla Chiesa, con il Papa Pio XII che pubblicamente prese posizione condannando i due amanti. Coppi e la moglie Bruna Ciampolini si separarono nel 1954, mentre la Occhini fu denunciata, insieme all’amante, dal marito per adulterio (che allora era reato) e fu spedita in Ancona in attesa del processo.

Il processo, celebrato nel marzo del 1955, si concluse con la condanna di Coppi a due mesi e della Occhini a tre mesi di carcere con la condizionale. Ma ciò non fermò l’amore dei due, e la loro voglia di stupire il mondo. L’airone sposò la Dama Bianca in messico ed nel 1955 ebbero un figlio, Angelo Fausto detto Faustino.

Nel 1959 la coppia Coppi- Bartali si ricostituisce nel progetto della squadra “San Pellegrino”, diretta da Gino Bartali, che dovrebbe avere come capitano proprio Fausto.

Ma pochi mesi dopo, nel dicembre del ’59, Coppi partecipa con alcuni amici ciclisti francesi ad una gara nel Burkina Faso, in occasione dei festeggiamenti per l’indipendenza del Paese. Forse durante una battuta di caccia nei giorni successivi,il Campionissimo contrae la malaria. Febbre altissima al ritorno in Italia, il ricovero in ospedale, le condizioni che si aggravano, l’intera nazione trattiene il fiato, come quella volta sull’Alpe d’Huez. Ma questa volta non basta una borraccia, l’amicizia di Ginettaccio e la solidarietà dell’Italia intera a scalare questa montagna. Fausto Coppi entra in coma e il 2 gennaio 1960, a poco più di quarant’anni, muore.

“Ginettaccio” Bartali, morì per un infarto nel 2000, nella sua casa di Firenze.

Il 25 aprile 2006 il Presidente della Repubblica Ciampi lo insignì della medaglia d’oro al valore civile per aver aiutato e salvato tanti ebrei durante la Seconda guerra mondiale.Ancora una volta il mondo scopre l’umanità, il coraggio e la solidarietà del grande Gino Bartali.

Mi piace pensare che questa sia la chiave dell’enigma su chi passò quella borraccia durante la scalata dell’Alpe d’Huez. A volte le parole contano, altre volte non sono necessarie per capire la grandezza di piccoli gesti.

TOMMASO ROSSI

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