Dopo la condanna di Karadzic il Tribunale Internazionale de L’Aja assolve Seselj

IL POLITICO ERA ACCUSATO DI PULIZIA ETNICA IN NOME DELLA GRANDE SERBIA

di avv. Mary Basconi

 
  A pochi giorni dalla lettura della sentenza nel giudizio contro Radovan Karadzic, la Terza Camera del Tribunale Penale Internazionale per l’Ex Yugoslavia (ICTY) si è riunita in seduta pubblica per definire un altro processo, quello contro Vojislav Seselj. Stessa Sezione dello stesso Tribunale, adunata nella stessa aula di udienza. A cambiare, stavolta, sono l’imputato, i giudici, e soprattutto la decisione. Il Tribunale ha infatti assolto l’imputato da tutti i capi di imputazione a lui ascritti.

Il Presidente del collegio, Jean-Claude Antonetti, ha dato lettura, lo scorso 31 marzo, di un “estratto” della sentenza, una sorta di sommario in cui sono stati esposti i capi di imputazione, le principali fonti di prova acquisite, ed il giudizio sulla colpevolezza o meno dell’imputato.

 

La premessa, da cui i Giudici sono partiti, è che il Tribunale non ha il compito di stabilire la verità sulle complesse e numerose vicende che hanno caratterizzato il conflitto, ma quello di fornire una risposta legale alle accuse mosse nei confronti dell’imputato Seselj, sulla base delle prove offerte al Tribunale.

 

Vojislav Seselj è un uomo politico, all’epoca dei fatti Presidente del Partito Radicale Serbo e membro dell’assemblea della Repubblica Serba, accusato dal Procuratore di essere responsabile per aver commesso, istigato o comunque agevolato, i crimini attribuiti ai protagonisti del conflitto serbo durante il periodo compreso dal mese di agosto 1991 a quello di settembre 1993 e di essersi associato con altri in una “impresa criminale” (Joint Criminal Enterprise, JCE) al fine di attuare la pulizia etnica dei territori serbi dalla popolazione Croata e Musulmana.

 

L’ipotesi accusatoria si fonda sostanzialmente sul fatto che Seselj avrebbe sostenuto il progetto politico di una “Grande Serbia” in base al quale la popolazione Serba (sparsa nei vari territori dell’Ex Yugoslavia) doveva essere riunita in un unico territorio che, contestualmente, andava “ripulito” dai membri non appartenenti a tale categoria. Per realizzare l’obbiettivo, l’imputato avrebbe commesso crimini quali: persecuzione, concorso in omicidio, torture, trattamenti disumani, espulsioni forzate, distruzione e devastazione di villaggi, distruzione e devastazione di luoghi dedicati al culto e saccheggio.

 

Secondo il Procuratore l’imputato avrebbe partecipato a questo progetto criminale insieme alle autorità locali e nazionali, tra cui Slobodan Milosevic (nei cui confronti il processo si è concluso a causa del decesso dell’imputato durante il periodo di detenzione), i maggiori esponenti delle forze militari e politiche, nonché membri paramilitari che si sono riuniti volontariamente in unità chiamate “Cetniks” e “Seseljevci”. Oltre ad aver portato avanti la propaganda di odio contro i non-serbi, Seselj avrebbe avuto un ruolo centrale proprio nel reclutamento e nell’organizzazione di questi gruppi “volontari” i quali sarebbero stati inviati nei vari territori a supporto ed integrazione delle forze armate, rendendosi responsabili di numerosi attacchi alla popolazione civile compiendo direttamente omicidi e torture contro i civili non-serbi, croati e musulmani. A ciò, si sarebbero aggiutni atti di distruzione, saccheggio, devastazione dei villaggi, tutti ingiustificati e militarmente non necessari, nonché atti di distruzione e danneggiamento di istituzioni dedicate al culto religioso.

 

Nonostante Seselj non ricoprisse cariche militari, secondo il Procuratore avrebbe in ogni caso concorso alla commissione dei crimini per aver contribuito all’organizzazione ed il supporto logistico delle truppe volontarie, monitorandone gli spostamenti, e fornendo le informazioni necessarie, fino a decorare alcuni membri con la carica di “Vojvoda” (Duca), titolo che lo stesso Seselj possedeva.

 

Inoltre, l’imputato avrebbe personalmente e direttamente portato avanti una campagna di odio verso la popolazione non-serba, ed in particolar modo contro i Croati di Vukovar (Croazia) e Hrtkovci (Serbia), con discorsi pubblici che avrebbero incitato ad un’azione collettiva volta alla loro eliminazione dai territori citati.

 

Seselj, che nel processo ha assunto direttamente la sua difesa senza l’assistenza di avvocati, si è dichiarato non colpevole respingendo tutti i capi di accusa. Durante il processo, l’imputato non ha negato di aver agito in base alla sua ideologia di una Grande Serbia, tuttavia ha negato che il progetto politico fosse stato perseguito anche tramite azioni violente, così come ha escluso fermamente il suo coinvolgimento e quello dei suoi uomini in eventuali azioni criminose commesse in quel periodo.

 

Il processo è iniziato il 7 Novembre 2007, sono stati acquisiti 1.400 documenti probatori, ascoltati 99 testimoni, 90 dei quali chiamati dal Procuratore e 9 dal Tribunale. Al termine, i Giudici hanno ritenuto che, dal materiale raccolto, non è stato possibile stabilire la partecipazione di Seselj all’impresa criminale (JCE).

 

Sul coinvolgimento di Seselj nelle azioni criminali commesse dalle forze armate. Il Tribunale ha infatti stabilito che il progetto di una Grande Serbia ha assunto il carattere di un programma politico e non di un piano criminale. Osservano i Giudici che non è stato sufficientemente provato che i crimini commessi dalle forze armate fossero esecutivi dell’ideologia portata avanti da Seselj, né che fossero ad essa direttamente connessi.

 

Il reclutamento di volontari, che il Procuratore indica come la prova dell’esistenza di una Joint Criminal Enterprise, si è risolta in realtà in un’attività legale regolata dalla Costituzione e dalle leggi vigenti all’epoca dei fatti, sulla libertà di associazione dei cittadini. Inoltre, è emerso che i volontari, una volta entrati a far parte del movimento ed inviati sul campo insieme alle forze militari serbe, non si trovavano sotto il comando dell’imputato, dal quale non ricevevano ordini né venivano istruiti.

 

Sulla responsabilità di Seselj per avere istigato la commissione di crimini con i suoi discorsi pubblici. Il Procuratore ha sostenuto che l’imputato, tramite i suoi numerosi discorsi pubblici, avrebbe alimentato la campagna di odio contro la popolazione non serba, incitando, supportando ed istigato la commissione dei crimini commessi, dei quali deve pertanto ritenersi responsabile.

 

In relazione a tali fatti tuttavia, il Tribunale ha ritenuto che le parole pronunciate dal leader politico non avessero carattere criminale perché espressione di un pensiero ideologico legittimo, e non un incitamento alle truppe a sterminare la popolazione civile. Inoltre, durante il lasso temporale a cui si fa riferimento nei capi di imputazione, non è risultato che vi fossero attacchi sistematici e diffusi alla popolazione civile (tale condizione è invece l’elemento materiale necessario affinché possano configurarsi crimini contro l’umanità). Infine, non è stata sufficientemente fornita da parte del Procuratore la prova che i discorsi tenuti dall’imputato abbiano di fatto influenzato od istigato la commissione dei crimini perpetrati.

 

Il Tribunale ha pertanto assolto l’imputato per tutti i capi di imputazione a lui ascritti. Solo in relazione ad uno però la decisione è stata presa all’unanimità dai tre componenti del Collegio giudicante (Capo 14, saccheggio di proprietà pubblica e privata). Per tutti gli altri, la decisione non è stata unanime.

 

Il Giudice Flavia Lattanzi ha redatto una propria memoria con cui, ritenendo che il coinvolgimento criminale di Seselj fosse stato provato nel corso del giudizio, ha espresso le ragioni per cui ritiene di non aderire al pensiero espresso dalla maggioranza. Nella memoria (Dissenting Opinion) il Giudice Lattanzi ritiene pienamente provato l’elemento oggettivo del reato, ovvero dell’esistenza di un attacco esteso e sistematico alla popolazione civile e la commissione di crimini contro l’umanità. Per ciò che attiene l’elemento soggettivo (ovvero la piena consapevolezza di partecipare ad una azione criminale comune), Lattanzi ritiene che Seselj ha concorso nei reati. Sfruttando la sua funzione politica ha pronunciato discorsi “infiammatori”, diretti chiaramente da un lato, a denigrare ed umiliare la popolazione croata comparandone gli appartenenti a dei “primati”, “vampiri” e vigliacchi, e rivolgendosi ai bosniaci musulmani definendoli “escrementi” (discorso tenuto ad Hrtkovci il 6 maggio 1992); e dall’altro, a rafforzare ed incitare le forze armate (compresi gli arruolati volontari) a compiere atti anche violenti diretti alla eliminazione della popolazione civile non-serba. Non solo. Il fatto che squadre di volontari fossero state incorporate nelle forze militari serbe e avessero agito in loro supporto e sotto il loro comando, costituisce la piena prova dell’esistenza di un piano comune (JCE) condiviso a vari livelli politici e militari e messo in atto con lo scopo di realizzare la “pulizia etnica”.

 

Interessante è anche l’osservazione che il Giudice Lattanzi fa in merito alla valutazione delle testimonianze rese nel corso del giudizio. Seselj, che durante il processo ha interrogato direttamente i testimoni, ha adottato un comportamento fortemente intimidatorio, tanto che molti di questi hanno modificato, corretto o contraddetto le dichiarazioni che avevano precedentemente rilasciato, specie nella parte in cui avevano accusato il leader politico di aver partecipato ai crimini. Una simile circostanza, non può, scrive Lattanzi, non essere presa in considerazione ai fini della pronuncia perché riguarda direttamente l’attendibilità e la credibilità di quanto riferito in aula. Infine, il Giudice è in disaccordo con la decisione di assoluzione perché è stata completamente omessa la valutazione del contesto generale in cui i fatti sono avvenuti, ovvero il violento ed illegale disfacimento della Yugoslavia portato avanti con azioni criminali su tutto il territorio.

 

Un disaccordo, quello della Lattanzi, piuttosto netto, tanto che afferma che nel leggere le motivazioni della sentenza ha avuto l’impressione di essere tornata indietro si secoli, quando, Cicerone per primo e in più in generale i Romani in seguito, per giustificare il sangue, le conquiste e gli omicidi dei loro rivali politici nella guerra civile, usavano dire “silent enim leges inter arma”, ovvero “Tacciono, infatti, le leggi in mezzo alle armi”.

 

Seselj, di fatto, è ora uomo libero. Ma la sua vicenda giudiziaria non si è ancora definitivamente conclusa visto che la decisione potrà essere impugnata.

 

 

 

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