Caso Marò: la vicenda giudiziaria

L’ANALISI DI QUESTA VICENDA CHE DA ANNI DIVIDE IL PAESE

Di Dott.ssa Amii Caporaletti

La vicenda ha inizio il 15.2.2012, quando i due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone insieme ad altri 4 fucilieri appartenenti ad una squadra della Marina Militare Italiana, secondo quanto previsto dalla legge n. 130 del 2 agosto 2011 (e del decreto di attuazione del Ministero della difesa del 1° settembre 2011), sono in servizio sulla nave italiana Enrica Lexie, con il principale compito di difendere il mercantile da possibili attacchi pirati.

Durante il servizio, viene individuata una nave non meglio identificata e credendo si tratti di una nave pirata, viene aperto il fuoco al fine di intimidire i presunti malintenzionati.

Ma quella nave non era pirata, bensì un peschereccio nel quale perdono la vita due pescatori indiani.

Il mattino seguente i due fucilieri vengono fermati dalle autorità indiane, con l’accusa di aver ucciso, a largo del Kerala, due pescatori indiani scambiati per pirati. Successivamente viene avviato un procedimento penale da parte del Tribunale del Kerala, a carico dei due militari per omidicio.

Il Paese italiano, promuove ricorso all’Alta Corte del Kerala, sostenendo che vi è un difetto di giurisdizione in quanto l’incidente sarebbe avvenuto in acque internazionali (difatti ai sensi dell’art.97 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, la giurisdizione appartiene allo Stato della bandiera della nave che ha provocato l’incidente) ed essendo avvenuto da parte di ufficiali italiani in servizio, trova applicazione il c.d. principio della “immunità funzionale”.

Nei primi giorni del mese di marzo 2012, il Tribunale di Kollam, dispone il trasferimento dei due presso il carcere di Trivadrum.

A fronte dell’istanza italiana presentata presso l’Alta Corte del Kerala, quest’ultima si pronuncia respingendo quanto richiesto dal Governo italiano, concedendo la libertà vigilata su cauzione ai due ( cauzione ammontante a 143.000 € circa), che vengono trasferiti nell’ambasciata italiana in India, con l’obbligo di firma quotidiano, misura cautelare che di fatto impedisce loro di tornare a casa.

Nel dicembre 2012, dopo un estenuante braccio di ferro, il Governo italiano ottiene un permesso per i due Marò di soggiornare per non più di due settimane in Italia presso le loro rispettive famiglie. A scadenza del permesso, con molta sofferenza, i due marò fanno ritorno in India, seguendo i patti avvenuti con il paese indiano. Tornano dalla propria famiglia il 22 dicembre, per fare ritorno in India il 3 gennaio.

Il caso dei due marò viene trasferito alla Corte Suprema di New Delhi in quanto il caso, avvenuto in acque contigue, non appartiene alla competenza del Kerala. In tale occasione la Suprema Corte indiana ribadisce la propria competenza a giudicare i due marò, sostenendo l’inapplicabilità del principio dell’immunità funzionale in quanto, la carica ricoperta dai due non rientrerebbe nei casi previsti dal principio ed in quanto la prassi indiana non riconosce lo stesso in capo a personale armato imbarcato su navi appartenenti a stati stranieri. Secondo la Corte indiana, non trova neppure applicazione l’art. 97 richiamato dall’Italia, in quanto lo stesso riguarderebbe l’alto mare in senso stretto e non acque contigue rientrati nella zona economica esclusivamente appartenente ad uno stato. Nel frattempo, nel mese di febbraio 2013 in occasione delle Elezioni politiche, viene concesso un nuovo permesso ai due italiani per fare ritorno in Italia per un tempo di 4 settimane. Ed è qui che l’Italia, prova a fare la voce grossa, preannunciando che i due non rientreranno in India, visto che New Delhi non ha rispettato i patti. La Capitale indiana però minaccia seri provvedimenti disciplinari e giudiziari in capo ai due marò, ed il governo italiano è costretto, ancora una volta, a chinare il capo e a rimandare i due in India. Il ministro degli esteri italiano Terzi, dissociandosi dalla decisione presa dal governo, rassegna le proprie dimissioni.

Intanto sale il timore che il Procuratore indiano possa incriminare i due marò alla luce della legge sul diritto marittimo indiano denominata Sua Act, che prevede la pena capitale. Vengono disposte ulteriori indagini da parte della polizia antiterrorismo indiana Nia, che indaga proprio sulla base di tale legge.

Nel novembre 2013 vengono interrogati in videoconferenza altri 4 marò presenti sulla nave. In base ad una perizia della Marina gli spari fatali non provenivano dalle armi in possesso di Latorre e Girone e la Nia conclude le sue indagini.

La Corte Suprema dichiara che nel caso dei due marò non sarà applicata la legge Sua Act, in quanto trattasi di una caso non rientrante nel terrorismo internazionale previsto dalla predetta legge, scongiurando la possibilità che ai due marò venga applicata la pena capitale. Il processo viene sospeso.

Sono passati due anni, e i due si trovano ancora in India, in attesa di un processo che sembra non finire mai. Nell’agosto 2014 Latorre viene ricoverato immediatamente all’ospedale di New Delhi per un ischemia cerebrale. L’Italia chiede al Paese indiano di concedere il permesso al marò di fare rientro nella nazione d’origine per gravi motivi di salute, ed è così che Massimiliano Latorre torna in Puglia, lasciando il compagno Girone in India in attesa di essere giudicato. Rientrato in Italia però il Marò presenta altri problemi di salute e viene successivamente operato per un anomalia cardiaca. Dal mese di agosto 2014, a seguito di diverse proroghe dettate da ragioni di salute, il suo periodo di permanenza si estende fino a luglio 2015 (per rimanervi fino ad oggi).  

Tornando alla vicenda giudiziaria, è il 15 gennaio 2015, quando il Parlamento Europeo approva una risoluzione pro marò nel quale viene auspicato il rientro dei due nel Paese italiano e la definizione del giudizio a favore della giurisdizione italiana o attraverso un arbitrato internazionale. L’India però non ci sta, e giudica la risoluzione completamente inopportuna, ed è così che, di fronte all’impossibilità di raggiungere un accordo con il Paese indiano, il Governo italiano decide di attivare l’arbitrato internazionale istituito presso la Corte dell’Aja, chiedendo al più presto il rientro di Girone in Italia.

Nell’attesa di definizione dell’arbitrato, I’Italia propone anche ricorso al Tribunale Internazionale del Diritto del Mare di Amburgo il quale nell’agosto 2015, nelle more del giudizio dell’Aja, diffida l’Italia e l’India invitandole a sospendere immediatamente ogni iniziativa giudiziaria e dissuadendole ad intraprenderne di nuove.

Nell’agosto 2015 viene fissata un’udienza nell’ambito della quale la corte di New Delhi dovrà presentare un rapporto ufficiale sul caso .

Il 29 aprile 2016, il Tribunale dell’Aja decide che per l’intera durata dell’arbitrato internazionale, Salvatore Girone dovrà fare ritorno in Italia. La Corte Suprema Indiana non può che ubbidire a quanto stabilito dal Tribunale internazionale, e dispone l’immediato rientro di Girone in Italia.

Il 27 maggio Salvatore Girone lascia ufficialmente l’India e sbarca a Ciampino il 28 maggio 2016.

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