Processo Eternit: la Cassazione annulla la condanna del magnate svizzero per prescrizione

ETERNIT: LUNEDI' SENTENZA PROCESSO 'UNICO NELLA STORIA'/SPECIALE

di Avv. Valentina Copparoni ( Studio legale associato Rossi-Papa-Copparoni di Ancona)

“Vergogna, vergogna!”, “Siete servi dei padroni”, ecco le prime urla cariche di rabbia ed indignazione gridate alla lettura del dispositivo della Suprema Corte di Cassazione nell’ambito del processo Eternit a carico del magnate svizzero Stephan Schmidheiny, unico imputato dopo la morte del barone  belga Louis De Cartier.

Ieri sera la condanna di Stephan Schmidheiny è stata annullata senza rinvio dalla Suprema Corte di Cassazione perché il reato è prescritto. E’ stata cosi accolta dalla prima sezione penale della corte di Cassazione la richiesta formulata anche dal Procuratore generale Francesco Iacovello che chiedeva proprio che la condanna a 18 anni in secondo grado per il magnate svizzero -per i reati di disastro ambientale doloso permanente e omissione di misure antinfortunistiche- non fosse confermata essendo maturata la prescrizione. “Non essendo stati contestati gli omicidi, non si può legare il disastro ambientale alle vittime, il disastro è prescritto per la chiusura degli stabilimenti nell’86 e pertanto la condanna va annullata” cosi il Procuratore Generale che ha poi sottolineato che Schmidheiny “è responsabile di tutte le condotte che gli sono state ascritte” ma “che il giudice tra diritto e giustizia deve sempre scegliere il diritto” e che in questo caso diritto e giustizia “vanno su strade opposte”.

La sentenza in questo modo annulla anche tutto i risarcimenti stabiliti in via provvisionale ma non solo. La Prima sezione penale della Cassazione ha anche condannato al pagamento delle spese legali, la cui cifra per ora non è nota, l’Inps e l’Inail che avevano fatto ricorso per non essere state ammesse come parte civile dalla Corte di appello di Torino nel processo Eternit.

 LA RICOSTRUZIONE DEL PROCESSO

IL SECONDO GRADO PRIMA DELLA CASSAZIONE

Il processo a carico della multinazionale elvetica Eternit, operativa anche in Italia con quattro stabilimenti, è considerato il più grande processo per disastro ambientale mai svolto in Europa ed i numeri in effetti parlano da soli: quasi 2890 persone offese tra lavoratori e cittadini di cui più di 2000 decedute e le restanti ammalate a causa delle polveri tossiche sprigionate dalla lavorazione di un particolare tipo di cemento-amianto, chiamato appunto Eternit, utilizzato in edilizia soprattutto come copertura.

Il 3 maggio 2013  è arrivata la sentenza anche di secondo grado. La decisione è stata parzialmente riformata con la condanna a 18 anni di reclusione per disastro ambientale doloso permanente ed omissione dolosa di cautele antinfortunistiche, con aggravamento della pena inflitta disposta in primo grado (16 anni) a carico del magnate svizzero Stephan Schmidheiny. Quest’ultimo è l’ unico imputato rimasto dopo la morte, avvenuta il 21 maggio scorso, del barone belga Louis De Cartier De Marchienne, a 92 anni; per quel che riguardano le contestazioni a carico di quest’ultimo i giudici si sono pronunciati per l’assoluzione per alcuni degli episodi contestati, mentre hanno dichiarato il non luogo a procedere data la morte dell’imputato per gli altri.

Alla lettura del dispositivo è seguito il lungo elenco dei risarcimenti alle numerose parti civili.

Disposte provvisionali per 20 milioni di euro alla Regione Piemonte e di oltre 30,9 milioni per il comune di Casale Monferrato. Ammontano a 89 milioni gli indennizzi che la Eternit dovrà versare a titolo di provvisionale; a ciascuna delle 932 persone fisiche (malati o parenti di persone decedute) sono stati destinati 30 mila euro.

Le somme dovranno essere pagate dall’imputato, Stephan Schmidheiny e dai responsabili civili Anova, Becon e Amindus.

Tuttavia la Corte d’Appello ha escluso l’Inail dal gruppo delle parti civili che devono essere indennizzate e questo perché è stata pronunciata l’assoluzione dell’imputato dall’accusa di omissione volontaria di cautele antinfortunistiche. Con questa formula l’esecuzione della sentenza (ossia il recupero delle somme), come spiegato dall’Avv. Lamacchia difensore di molti lavoratori ed organizzazioni sindacali, ricade tutto su quest’ultimi mentre prima era a carico dell’Istituto di Previdenza.

Per quanto riguarda Schmidheiny la Corte di appello torinese ha stabilito che il periodo in cui gestì la Eternit è quello dal giugno del 1976 per gli stabilimenti di Casale (Alessandria), Cavagnolo (Torino) e Bagnoli (Napoli) e dal 1980 per quello di Rubiera (Reggio Emilia) arrivando fino al giugno del 1986 per Casale e Cavagnolo, fino al 1985 per Bagnoli e fino al 1984 per Rubiera. Assoluzione, invece, per il periodo che va dal giugno del 1966 al 1976 per non aver commesso il fatto.
Il Pubblico Ministero Raffaele Guariniello ha definito la sentenza “un inno alla vita. È un sogno di giustizia che si avvera. Speriamo che si avveri anche a Taranto (n.d.r. riferimento al caso Ilva) e in tutti i Paesi del mondo in cui si continua a usare l’amianto. Non è che uno sia mai contento delle sentenze di condanna ma questa è un grande messaggio lanciato al nostro Paese e ai Paesi di tutto il mondo; una sentenza importante anche per tutta la popolazione.
Dobbiamo cercare di raccogliere questa sentenza e diffonderla nel mondo: qui in Italia noi siamo riusciti a fare un processo che nessuno è riuscito mai a fare in alcuna parte del mondo. La posta in palio è la tutela dell’uomo e della sua salute. Il disastro ambientale doloso riconosciuto dalla Corte non è solo per i lavoratori ma riguarda tutta la popolazione”.

Il processo di primo grado

Le richieste di condanna in primo grado sono arrivate dopo circa cinquanta udienze del processo iniziato nel 2009 a carico dei vertici della Eternit.
I fatti contestati ai massimi responsabili della multinazionale svizzera risalgono al periodo 1952-2008; in particolare i reati contestati a Stephan Schmidhein e a Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne, dirigenti della Eternit, sono :

  1. disastro ambientale doloso in riferimento all’inquinamento ed alla diffusione delle fibre tossiche del cemento-amianto:

  2. omissione volontaria di cautele sui luoghi di lavoro

Per disastro ambientale si intende un reato previsto dall’art. 434 del nostro codice penale per cui chiunque commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro, è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da 1 a 5 anni. Se però il crollo o il disastro si verificano, la pena è aumentata e la reclusione prevista è da 3 a 12 anni.
L’omissione volontaria di cautele sui luoghi di lavoro invece è un reato previsto dall’art. 437 c.p. che prevede che chiunque omette di collocare impianti, apparecchiature o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni. Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è aumentata ed è prevista la reclusione da 3 a 10 anni.

La condanna

La sentenza conclusiva del processo di primo grado è stata definita storica.
In 713 pagine sono state scritte le motivazioni della condanna a 16 anni di reclusione (oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, l’interdizione legale per la durata della pena e l’incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione per tre anni) a carico dei dirigenti della multinazionale svizzera Eternit.
Il processo e la sentenza sono stati definiti “storici” perché è stata riconosciuta in capo ai vertici dell’azienda una responsabilità non semplicemente colposa (ossia dovuta da negligenza,imprudenza, imperizia, violazioni di leggi, regolamenti, ordini o discipline) ma di natura dolosa (ossia volontaria) seppur nella forma eventuale. Infatti entrambe le accuse sono contestate a titolo di “dolo eventuale” che è una forma di imputazione del reato che consiste nell’aver agito rappresentandosi la concreta possibilità di realizzazione del fatto di reato e accettando il rischio del verificarsi dello stesso.
Tale elemento psicologico si differenzia dalla  cosi detta “colpa cosciente” o “con previsione” (che è una aggravante comune che comporta un aumento fino ad un terzo della pena prevista per ipotesi di reato colposo semplice) che invece  è una forma della colpa che consiste nell’aver agito con rappresentazione della mera possibilità di realizzazione del fatto di reato senza però accettazione del rischio ossia con convinzione che il fatto medesimo non si sarebbe verificato.
Nel lungo corpo delle motivazioni pesano come un macigno le parole del collegio giudicante che definisce l’elemento psicologico della condotta degli imputati “dolo di elevatissima intensità” e che nonostante i danni dell’amianto fossero noti dal 1968 “sia De Cartier che Schmidheiny hanno continuato nonostante tutto e non si sono fermati, né hanno ritenuto di dover modificare radicalmente e strutturalmente lasituazione al fine di migliorare l’ambiente di lavoro e di limitare per quanto possibile l’inquinamento ambientale”.

Agli imputati inoltre non è stata concessa alcuna attenuante perché “hanno cercato di nascondere e minimizzare gli effetti nocivi per l’ambiente e le persone derivanti dalla lavorazione dell’amianto pur di proseguire nella condotta criminosa intrapresa, facendo così trasparire un dolo di elevatissima intensità” ed ancora “Non può essere riconosciuta alcuna attenuante mentre risulta evidente che gli imputati hanno agito in esecuzione del medesimo disegno criminoso”.
“Il comportamento degli imputati, come risulta evidente da tutto quanto fin qui considerato, assume caratteri di notevole gravità con riferimento alla pluralità dei luoghi e degli stabilimenti interessati, con riferimento alla notevole durata della loro condotta e con riferimento alla straordinaria portata dei danni e del pericolo che ne sono conseguiti e che, come si è detto, tuttora continuano a conseguire”
Il giudizio di condanna inoltre si è fondato sul fatto che hanno “fornito a privati e a enti pubblici e mantenuto in uso, materiali di amianto per la pavimentazione di strade, cortili, aie, o per la coibentazione di sottotetti di civile abitazione, determinando un’esposizione incontrollata, continuativa e a tutt’oggi perdurante, senza rendere edotti gli esposti circa la pericolosità dei predetti materiali e pergiunta inducendo un’esposizione di fanciulli e adolescenti anche durante attività ludiche” ed “omesso di organizzare la pulizia degli indumenti di lavoro in ambito aziendale, in modo da evitare l’indebita esposizione ad amianto dei familiari conviventi e delle persone addette alla predetta pulizia. Con l’aggravante che il disastro è avvenuto, in quanto l’amianto è stato immesso in ambienti di lavoro e in ambienti di vita su vasta scala e per più decenni mettendo in pericolo e danneggiando la vita e l’integrità fisica sia di un numero indeterminato di lavoratori sia di popolazioni e causando il decesso di un elevato numero di lavoratori e di cittadini”.

Questa sentenza potrebbe influenzare anche il cosi detto processo “Eternit bis” sui singoli casi delle persone decedute per l’esposizione all’amianto che potrebbe arrivare davanti al Gup di Torino a fine di quest’anno ed il filone “Eternit ter” che riguarda gli italiani che hanno contratto la malattia all’estero, in Svizzera ad esempio, e poi sono rientrati in Italia.
Sull’Eternit bis e’ aperta la possibilità che l’incriminazione degli imputati, sempre gli stessi, passi dal disastro, all’omicidio volontario con dolo eventuale.

Una lunga parte della motivazione della condanna di primo grado nel processo Eternit riguarda le condizioni di lavoro all’interno degli stabilimenti in Italia, in particolare vengono ricostruite le condizioni in cui si svolgeva la lavorazione dell’amianto nei diversi stabilimenti (soprattutto in quello di Casale Monferrato dove si è verificato il maggior numero di vittime). Dalla ricostruzione emerge come il processo produttivo non rispettasse le più elementari regole precauzionali non solo nel periodo in cui la proprietà era del gruppo belga (anni 50-inizio anni 70) durante il quale la lavorazione di materiale di amianto si svolgeva prevalentemente “a secco” ossia con elevata dispersione di polveri nell’ambiente di lavoro, ma anche nel periodo della proprietà svizzera (metà anni ’70-anni 80) che, pur avendo migliorato le misure di prevenzione, non aveva comunque tutelato in maniera adeguata la salute dei lavoratori.

A proposito di amianto-killer, la nostra legislazione come tutela i lavoratori dei siti industriali da potenziali conseguenze sulla salute dovute alla lavorazione, al contatto, alla vicinanza, estrazione o manipolazione del minerale?

E’ con la legge 257/1992 che in Italia è stata decisa la messa al bando dell’amianto attraverso un particolare programma di dismissione con il quale dal successivo 1994  è stata vietata l’estrazione, l’importazione, la commercializzazione e la produzione anche dei prodotti contenenti questo materiale ed è stata  istituita anche una Commissione Nazionale Amianto.
Per quanto riguarda invece l’esposizione all’amianto per motivi professionali, sono stati creati appositi trattamenti assicurativi per i lavoratori colpiti da malattie legate all’amianto con una specifica normativa sui controlli preventivi oltre che periodici.
Le norme di riferimento sono, tra le altre, il DPR 1124/1965 ed il D.lgs. 277/91 quest’ultimo  abrogato nel 2006 con l’introduzione, nell’ambito del d.lgs. 626/94 sulla sicurezza sui luoghi di lavoro (confluita ora nel Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro), di un apposito titolo dedicato proprio alla “protezione dei lavoratori contro i rischi connessi all’esposizione all’amianto” in cui si indicando quelle attività  maggiormente a rischio e gli obblighi a carico dei datori di lavoro. Quest’ultimi devono indagare sulla possibile presenza dell’amianto sul luoghi di lavoro e valutarne preventivamente i possibili rischi adottando nel contempo tutte le misure adeguate e necessarie  per eliminare o comunque ridurre i pericoli. In ogni caso l’esposizione non deve superare i limiti fissati per legge e se è necessario proseguire l’attività lavorativa anche in caso di esposizione oltre i limiti, il datore deve predisporre e fornire ai lavoratori tutte le protezioni adeguate.
La rimozione dell’amianto può essere eseguita soltanto da soggetti iscritti in un apposito albo e prima dell’inizio della bonifica deve essere data la comunicazione all’organo di vigilanza competente per territorio.

IL PUNTO DI VISTA MEDICO

In cosa consiste il rischio amianto?

 Come ormai ampiamente risaputo le coperture di ondulato ETERNIT sono a base di amianto; altrettanto risaputo è che l’amianto rilascia microfibre nell’ambiente qualora i manufatti contenenti detta sostanza non sono perfettamente integri. Dopo parecchi anni dalla istallazione l’evento non è infrequente data l’usura da eventi atmosferici. Il danno alla salute è provocato dalle fibre stesse che respirate si vanno a fissare prevalentemente nell’apparato respiratorio e specificatamente nella pleura (membrana che riveste i polmoni )ma anche nel peritoneo ( membrana che riveste i visceri addominali). In questo caso sembra che i lavoratori venissero a contatto diretto con l’amianto in fase di lavorazione. L’azione della fibra sui tessuti nel tempo (anche lungo, anche dopo la interruzione della esposizione) può sviluppare il MESOTELIOMA, tumore particolarmente maligno e a tutt’oggi ancora scarsamente curabile anche se recentemente sono a disposizione farmaci chemioterapici più efficaci che in passato.
Il mesotelioma pleurico, forma più frequente, e il meno frequente il mesotelioma peritoneale, sono malattie tipicamente professionali e a riguardo sono stati erogati molti risarcimenti a lavoratori (o loro congiunti) deceduti per la malattia . L’utilizzo prevalente dell’amianto è come coibentante. Purtroppo anche le persone non esposte per motivi professionali possono essere contaminate dalle fibre, basta essere nelle vicinanze di una fonte.Un esempio tipico di diffusione della malattia e quello che riguarda le mogli dei lavoratori esposti all’amianto che hanno contratto la malattia perchè negli anni hanno sempre accudito le tute da lavoro dei propri mariti intrise di fibre, inalandole. Non infrequente il caso che entrambe i coniugi hanno sviluppato la malattia .La legge ha vietato l’uso dell’amianto da vari anni, ma ancora siamo circondati da fonti di amianto!

DOTT. GIORGIO ROSSI (Oncologo)

 

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