Captain Fantastic, la recensione

Captain Fantastic

di Alessandro Faralla (Responsabile Cultura e Spettacoli F&D)

Captain_Fantastic

Oggi si parla tantissimo di ritorno alla terra come prospettiva occupazionale ma anche più semplicemente ricercando uno stile di vita più pacato, più naturale.
Ben e la sua famiglia nella natura ci vivono, isolati dal resto del mondo tra le foreste del Pacifico nord-occidentale il capo branco educa i suoi figli attraverso una pedagogia ferrea e non convenzionale.

Più che boyscout, questi ragazzi di età compresa tra i 6 e i 20 anni mangiano quel che cacciano, scalano pareti montuose, hanno una padronanza di linguaggio articolata e si apprestano a diventare filosofi del mondo. Ma per quanto il filosofo sia capace di vivere nella solitudine il moderno Socrate di Captain Fantastic interpretato da Viggo Mortensen è abbastanza allergico alla relazione con il mondo civilizzato.
Sarà costretto ad incontrarlo quando la moglie, da tempo malata, muore. Il viaggio verso la civiltà non farà altro che legittimare la superiorità di un modello educativo ed esistenziale che il regista Matt Ross di fatto non mette mai in discussione.
Il punto non è abbracciare la filosofia di Ben e dei suoi provetti geni, talmente plasmati da aver nomi inventanti dagli stessi genitori, ma come tutto questo venga esposto nel corso del film.
La storia di Captain Fantastic rientra nella squadra del cinema indipendente, americano e non, capace di ottenere, sapendo come fare, l’apprezzamento del pubblico, non a caso ha vinto il Premio del Pubblico alla Festa del Cinema di Roma 2016: atmosfere intime, colori caldi, paesaggi catartici, il tutto confezionato per ingolosire l’occhio e la mente dello spettatore.

Il mondo capitalista, schiavo del consumismo tanto osteggiato viene in realtà sfruttato con ipocrisia per la mera sopravvivenza e quindi la coerenza vitale di Ben è uno strumento per agire in maniera canonica soddisfando i propri bisogni perché puoi dire ai tuoi figli che la Coca-Cola è acqua avvelenata ma se poi attraverso una furbata fai spesa nel più classico dei superstore americani, simbolo del conformismo e festeggi il compleanno di Noam Chomsky (per loro una sorta di Natale) con una bomboletta commerciale di panna e una torta piena di zeppa in ingredienti ipercalorici e artificiali capisci che il vangelo secondo Ben è una giostra, una piacevole farsa che un bravissimo Viggo Mortensen e la ciurma di giovani attori raccontano con una straordinaria alchimia.

Sta tutto qui il fantastico di una sceneggiatura paracula, che si rifugia nel compromesso e non accetta il contradditorio, evitando un reale scontro con l’altra realtà, o se lo fa è talmente superficiale da restituirlo appoggiandosi alle apparenze e allo scarso approfondimento che questo padre apparentemente non convenzionale rifiutava nel sviluppo delle opinioni dei propri militari; si perché avranno anche abilità e capacità che i loro coetanei non possiedono ma nel loro stare al mondo i ragazzi di Captain Fantastic hanno veramente poco di non ordinario, sovversivo e onesto.

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