Biotestamento:analisi della normativa italiana

UNA NORMATIVA CHE TIENE IN CONTO PROBLEMATICHE COMPLESSE TRA DIRITTO, SCIENZA E RELIGIONE. 

di avv. Irene Pastore 


​Lo scorso dicembre il Parlamento ha definitivamente approvato il disegno di legge recante nuove norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, introducendo nel nostro ordinamento l’istituto del biotestamento. 

Da tempo, ormai, il comune sentire della società civile aveva fatto comprendere come la legge stessa fosse, nemmeno anacronistica, ma del tutto lacunosa in punto di trattamenti terapeutici salvavita e loro possibilità di libero e cosciente rifiuto a fronte di vere e proprie istanze di riconoscimento del concetto di dignità della vita e della morte. 

Prima di procedere all’analisi della novella, occorre preliminarmente partire da una breve premessa relativa al diritto alla salute così come garantito e tutelato nel nostro ordinamento.

L’art. 32 Cost. riconosce e tutela la salute quale diritto fondamentale dell’individuo, approntando rimedi sia di stampo preventivo –in termini di tutela del diritto ad autodeterminarsi liberamente in materia di cure- che successivo, più propriamente risarcitorio –conseguente alla sua effettiva lesione.

Garanzie poste avverso non solo l’ingerenza dei consociati, ma statale stessa laddove la legge può sì imporre un determinato trattamento sanitario ma pur sempre nei limiti del rispetto della persona umana; altresì, lo stesso soggetto titolare del bene salute trova limiti invalicabili nel disporne come all’art. 5 cc che vieta atti dispositivi del proprio corpo allorquando determino una diminuzione permanente dell’integrità fisica o vengano a porsi in contrasto con l’ordine pubblico o il buon costume. 

Abbiamo accennato come già a livello preventivo viga il cd principio consensualistico, in virtù del quale ogni trattamento sanitario richiede necessariamente il preventivo rilascio da parte del paziente interessato del cd consenso informato alla sua somministrazione. 

Tal forma di consenso deve necessariamente presentare determinati attributi affinché possa essere considerato validamente prestato, ovverosia dovrà essere necessariamente personale –cioè prestato dal soggetto direttamente interessato; esplicito –in termini di non equivocità della dichiarazione formulata; specifico –in quanto relativo a un determinato intervento o trattamento-; consapevole –per cui è richiesta la capacità di intendere e volere del soggetto che lo presta; ma soprattutto attuale e sempre revocabile. 

Il regime da ultimo illustrato ha presentato non pochi problemi proprio con riferimento alle cure salvavita, in particolar modo con riferimento alla loro cessazione soprattutto nei casi in cui il diretto interessato non fosse nelle condizioni di autodeterminarsi.

Per cure salvavita si intendono quei trattamenti volti a scongiurare la morte dell’individuo, altrimenti conseguenza prossima e diretta della grave patologia da cui lo stesso è affetto. Proprio il mantenimento forzato in vita ha posto all’attenzione il concetto di accanimento terapeutico (come nelle ipotesi di alimentazione e idratazione forzata di soggetti in stato vegetativo permanente), largamente riconosciuto in ambito non normativo e normativo sovranazionale ma privo di definizione legislativa interna.

Non pare superfluo precisare il discrimine fra la cessazione volontaria di cure salvavita e pratiche di eutanasia passiva, le quali consistono nella somministrazione su richiesta dell’interessato -che versi in condizioni di vita poco dignitose correlate alla malattia- di un trattamento che lo conduca alla morte laddove questa non sarebbe comunque conseguenza imminente della patologia d’affezione. 

Con riferimento, invece, ai trattamenti salvavita il discorso si pone in termini del tutto diversi, laddove il soggetto interessato richiede, invece, che venga a prodursi la sua morte naturale.

Per lungo tempo il problema, allora, è stato quello di dare precipua applicazione al principio di autodeterminazione (rinvenibile nel combinato disposto di cui agli artt. 2, 13 e 32 Cost.) in ordine alla cessazione di cure salvavita, in assenza di qualsivoglia dato normativo che ne disciplinasse in concreto le modalità attuative. 

Il caso che in prima battuta ha risvegliato le coscienze politiche e sociali sull’argomento è stato proprio il caso Welby; ma solo con il caso Englaro  la Corte di Cassazione si è espressa sull’esistenza di un vero e proprio diritto alla sospensione delle cure salvavita laddove una precisa volontà fosse stata espressa o, in mancanza, fosse desumibile  alla luce di elementi probatori chiari, univoci e concordanti in tal senso. 

Venne, così, ad affermarsi il criterio del cd best interest  deputato a guidare il tutore o l’amministratore di sostegno ad assumere una scelta, in virtù dei rispettivi doveri di cura, non per ma con l’incapace.

La giurisprudenza, di fatto, aveva implicitamente ammesso il biotestamento, quale documento contenente le disposizioni relative ai trattamenti sanitari da eseguire o rifiutare in presenza di patologie altamente invalidanti. 

Nella pratica si è assistito all’utilizzo dell’istituto dell’amministrazione di sostegno ad opera di soggetti affetti da patologie degenerative e irreversibili – ancora nel pieno delle proprie facoltà mentali e in previsione della rispettiva futura incapacità- per assicurarsi l’interruzione delle cure salvavita ad opera di un soggetto amministratore. Per la giurisprudenza, difatti, in assenza di precisa individuazione normativa, tali disposizioni anticipate ben potevano trovare propria sede elettiva nell’art. 408 cc.. 

Ad oggi, finalmente, il legislatore ha provveduto espressamente alla disciplina delle disposizioni anticipate di trattamento (cd. D.A.T.) introducendo nell’ambito del Titolo I del codice civile dedicato alle persone e alla famiglia, dopo l’art. 5 c.c. –in tema d’indisponibilità della propria integrità fisica- gli artt. dal 5bis al 5septies. 

L’art. 5bis, rubricato “consenso informato e dichiarazione di volontà relativi ai trattamenti sanitari”, sancisce espressamente un vero e proprio diritto al rispetto della volontà di ciascuno in ordine alle cure mediche e ai trattamenti sanitari che lo riguardino, sempreché  proveniente da persona cosciente e capace e nelle forme di cui all’art. 5quater (che di seguito vedremo), a seguito di debita informazione su: la diagnosi e la prognosi; l’inizio e la continuazione dei trattamenti sanitari e delle cure salvavita e rispettiva durata; la possibilità di accettare le cure proposte o scegliere altre possibili, nonché di rifiutare le stesse o interromperle consapevolmente anche a fronte di un pericolo di morte;  la possibilità stessa di fruire di trattamenti a sostegno delle stesse funzioni vitali, che possano anche indurre o favorire lo stato d’incoscienza in via permanente; infine, sulla possibilità di usufruire di sostanze intese ad alleviare il dolore e i patimenti, anche quando proprio queste possano condurre ad abbreviare il periodo di sopravvivenza. 

La norma, al secondo comma, esplicita altresì un vero e proprio dovere in capo alla struttura sanitaria e al medico di rispettare dette volontà laddove espresse e formalizzate, ovvero di chiedere la loro manifestazione in via preventiva rispetto al ricovero in struttura. 

L’art. 5 quater dispone, invece, in ordine al testamento biologico e alle sue modalità di redazione, affinché chiunque dotato della capacità giuridica (maggiore età) e di quella d’agire possa manifestare le proprie scelte terapeutiche e sanitarie. 

La forma è quella scritta con presentazione del testamento al giudice tutelare del rispettivo luogo di residenza che, accertata l’identità del testatore e la corrispondenza fra contenuto del documento ed effettiva volontà, provvederà alla sua conservazione e alla trasmissione del testo al Ministero della Salute affinché lo inserisca all’interno della banca dati telematica nazionale appositamente istituita. 

Il successivo art. 5quinquies specifica, inoltre, come il contenuto del documento testamentario possa non solo involgere gli aspetti e le scelte terapeutiche di cui all’art. 5bis, ma possano riguardare anche aspetti spirituali o di sepoltura; recare il consenso alla donazione di organi o del proprio corpo alla ricerca scientifica; ancora, l’accertamento della propria morte in via cumultativa per arresto cardiaco e delle funzionalità encefaliche; ecc.

Ciò che maggiormente rileva è proprio come al contenuto del testamento biologico possa essere espressamente affidata l’individuazione e la nomina di persona fiduciaria, incaricata all’assunzione di decisioni rilevanti in materia sanitaria in previsione di un ipotetico stato d’incapacità. 

Il testamento biologico recante le disposizioni anticipate di trattamento è sempre modificabile mediante le medesime modalità di redazione; in ogni caso, la volontà direttamente manifestata da persona capace d’agire è chiamata a prevalere su quella contenuta nelle disposizioni testamentarie. 

In punto di efficacia, la novella specifica come tale testamento sia chiamato a produrre i suoi effetti in ogni caso di sopravvenuta incapacità del testatore, non essendo perciò indispensabile l’accesso alla banca dati nazionale allorquando non possa essere tempestivo. 

In tali casi, allora, si presume nota alla struttura e al personale sanitario la volontà del testatore laddove una copia del documento venisse consegnata da un familiare o altra persona legata a quest’ultimo da “rapporti di convivenza, solidarietà o consuetudine, anche amicale” che dichiari per iscritto e sotto la rispettiva responsabilità la conformità della stessa all’originale. 

È sancita, inoltre, una specifica responsabilità del personale medico sanitario, cui consegue un’obbligazione risarcitoria per i danni materiali e morali arrecati, che non abbia atteso alle disposizioni testamentarie in ordine alle cure, ai trattamenti e rispettivi aspetti collegati di cui all’art. 5bis/1, o per l’accesso alla banca dati nazionale al di fuori dei casi consentiti.

Peculiare si dimostra, poi, l’art 5ter laddove, dopo aver ribadito la spettanza agli esercenti la potestà (oggi responsabilità) genitoriale o al tutore delle scelte da operare in fase di pre-ricovero (art.5bis/2) in ordine ai trattamenti terapeutici rivolti a soggetti infrasedicenni o incapaci d’agire, fa soggiacere la validità di eventuali rifiuti o volontà di sospendere trattamenti sanitari o interventi a sostegno delle funzioni vitali in pregiudizio al minore/incapace a un apposito provvedimento di conferma del giudice tutelare competente. 

Anche qui, come in altre disposizioni codicistiche, da ultimo introdotte od oggetto di recente modifica normativa, il giudice dovrà decidere avuto riguardo al preminente interesse del minore, il quale dovrà altresì essere ascoltato allorquando per età e circostanze lo stesso si dimostri in grado comprendere e rappresentarsi realisticamente le terapie proposte e i relativi aspetti consequenziali. 

Tali facoltà di audizione spettano anche al tutore o agli esercenti la responsabilità genitoriale, nonché (e qui sta la rilevante novità) a coloro i quali facciano parte della cd “rete di prossimità” del minore/incapace ovverosia i suoi familiari o quanti allo stesso legati in virtù di “stretti rapporti di convivenza, solidarietà o consuetudine, anche amicale”.  
Maggiori approfondimenti e spunti critici sul tema saranno forniti in occasione del convegno “Biotestamento e ingegneria genetica – La Bioetica tra Diritto, Scienza e Religione” organizzato dalla’Associazione Culturale Fatto&Diritto che si terrà il 16 gennaio 2018 presso la Sala Boxe della Mole Vanvitelliana di Ancona e che vedrà ospiti d’eccezione quali: il Prof. Stefano Canestrari dell’Università di Bologna, il Prof. Massimiliano Marinelli dell’Università Politecnica delle Marche e l’Arcivescovo di Ancona Mons. Spina. Moderano l’incontro l’Avv. Mary Basconi e il giornalista di Anconatoday Stefano Pagliarini. 

Una nuova occasione per confrontarsi e acquisire maggiore consapevolezza su temi di estrema attualità e rilevanza, politica e sociale ma soprattutto umana. 

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