Al via il processo Eternit Bis: questa volta l’accusa è omicidio volontario aggravato

 MA I LEGALI DELL’UNICO IMPUTATO, IL MAGNATE SVIZZERO SCHMIDHEINY, ANNUNCIANO DURA BATTAGLIA E CHIEDONO ANCHE IL TRASFERIMENTO DEL PROCESSO AD IVREA

di Avv. Valentina Copparoni e Dott.ssa Barbara Fuggiano

eternitIl caso Eternit torna in tribunale.

Il primo processo si è concluso con l’ormai nota sentenza dalla Corte di Cassazione n. 7941/2015 che ha annullato la condanna di secondo grado per disastro innominato doloso (art. 434 c.p.) considerando estinto il reato per prescrizione perché “la consumazione del reato di disastro non può considerarsi protratta oltre il momento in cui ebbero fine le immissioni delle polveri e dei residui della lavorazione dell’amianto prodotti dagli stabilimenti della cui gestione è attribuita la responsabilità all’imputato (il magnate svizzero Stephan Schmidheiny): non oltre perciò il mese di giugno dell’anno 1986, in cui venne dichiarato il fallimento della società del gruppo”.

Questa volta l’imputazione è quella di omicidio volontario aggravato di 258 persone e l’unico imputato è l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, chiamato a rispondere di una catena di decessi che, secondo l’impianto accusatorio, sarebbero stati causati dall’amianto lavorato in quattro stabilimenti italiani della multinazionale.


I P.M. Raffaele Guariniello e Gianfranco Colace ritengono che il magnate svizzero, pur conoscendo il problema, non abbia modificato la situazione e le “enormemente nocive condizioni di polverosità” nelle fabbriche portando avanti “una politica aziendale che provocò una immane esposizione ad amianto di lavoratori e cittadini”. Il tutto per “mero fine di lucro”.

Il nostro Paese è l’unico in cui si fa un processo e questo è un vanto per la giustizia di tutta Italia. È un caso che può fare scuola anche in altri Paesi”. Lo afferma il Procuratore Raffaele Guariniello al termine dell’udienza preliminare. “È stata la stessa Cassazione a dirci che nel processo precedente si parlava solo del disastro ma non entrano in gioco gli omicidi. Questo ci ha dato un’ulteriore spinta per andare nella direzione di un nuovo processo con un nuovo capo d’accusa”.

L’avvocato Di Amato, uno dei legali di Stephan Schmidheiny, prima dell’avvio dell’udienza preliminare, ha dichiarato invece: “Riteniamo che questo processo non possa essere fatto per il principio del ‘ne bis in idem’, una stessa persona non può essere giudicata per gli stessi fatti”. “A noi l’accusa di omicidio volontario sembra una forzatura. Immaginare che siano stati investiti 75 miliardi di vecchie lire per uccidere le persone non è logico”. Secondo gli avvocati difensori il processo contro Schmidheiny “viola i diritti umani”. Più nello specifico la difesa dell’imputato sostiene il principio secondo il quale non si può essere giudicati due volte per lo stesso fatto: Schmidheiny, per le attività dell’Eternit, ha già subito un processo in cui l’accusa di disastro ambientale doloso è stata dichiarata prescritta dalla Cassazione.

Ed ancora. “La riapertura di questo processo viola i diritti umani: infatti il principio del ‘ne bis in idem’, sancito dalla Convenzione europea per i diritti dell’Uomo, garantisce che nessuno può essere giudicato due volte per lo stesso reato. La difesa pertanto si augura che nell’attuale udienza preliminare il giudice consideri l’accusa inammissibile e dichiari chiuso il procedimento”. “La nuova iniziativa penale contro Stephan Schmidheiny indica che in Piemonte è corso una caccia alle streghe suscettibile di essere strumentalizzata in chiave politica”. “A dispetto della nuova azione penale il programma umanitario di Schmidheiny in corso dal 2008 a favore delle effettive vittime della catastrofe dell’amianto sarà ulteriormente protratto”. “Già nel corso del primo procedimento la difesa ha dimostrato che le accuse della procura sono prive di fondamento. Schmidheiny non è un assassino. In qualità di pioniere dell’abbandono dell’amianto, e grazie alla sua responsabile gestione industriale, ha preservato dai pericoli migliaia di persone”.

Cgil-Cisl-Uil Piemonte si sono costituiti parti civili nel processo Eternit bis, diversa invece la scelta della Presidenza del Consiglio e Regione Piemonte che hanno deciso di non procedere con tale costituzione. I sindacati garantiranno il patrocinio ai familiari delle vittime.
“È la prosecuzione – sottolineano in una nota i segretari regionali Laura Seidita (Cgil), Marcello Maggio (Cisl) e Francesco Lo Grasso (Uil) – di un impegno profuso in tutti questi anni, a tutela dei lavoratori, e di una lotta portata avanti insieme all’Afeva e a un’intera comunità. Dopo la conclusione del primo processo che non ha reso giustizia alle tante vittime da amianto e ai loro familiari, abbiamo deciso di costituirci parte civile nel nuovo processo per omicidio volontario nei confronti di 258 cittadini deceduti, di cui 68 ex lavoratori Eternit”.
Cgil Cisl Uil piemontesi chiedono al governo l’adeguamento legislativo in merito alla revisione dell’istituto della prescrizione e, in modo particolare, sull’introduzione di una nuova norma relativa al disastro ambientale.


L’udienza del processo bis davanti al Giudice Federica Bompieri è stata aggiornata a giovedì 14 maggio scorso durante la quale la difesa di Stephan Schmidheiny ha chiesto il trasferimento del processo ad Ivrea. Per stabilire la competenza territoriale nel nuovo processo per omicidio bisognerebbe, infatti, secondo la tesi difensiva dell’imputato, fare riferimento al primo dei 258 decessi contestati, quello di Giovanni Pagliaro, ex dipendente Eternit a Cavagnolo – Comune oggi sotto la competenza degli uffici giudiziari di Ivrea- morto nel 1984.
L’udienza è stata quindi aggiornata alla prossima settimana per la decisione su tale eccezione oltre che su altre eccezioni in merito alla costituzione di alcune parti civili. Quanto all’Inail, la difesa di Sachmidheiny sostiene che per tutti i casi contestati (tranne uno) i diritti di rivalsa sarebbero ormai prescritti.

Sul pericolo che potrebbe prospettarsi in questo processo bis del cosidetto ne bis in idem, la nostra rivista aveva già parlato qualche settimana fa con un interessante approfondimento della Dott.ssa Barbara Fuggiano e di cui riproponiamo un estratto.

Il principio del ne bis in idem. L’art. 649 c.p.p. prevede che l’imputato prosciolto o condannato non possa essere sottoposto di nuovo a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo (la qualificazione giuridica del fatto),per il grado (la progressione criminosa) o per le circostanze. Si tratta del principio del c.d. ne bis in idem sostanziale, tenuto distinto da quello processuale di cui all’art. 669 c.p.p.

Giurisprudenza e dottrina hanno speso fiumi di parole sul concetto di “medesimo fatto”, per giungere a concludere che tale espressione allude al “fatto storico – naturalistico del reato, in tutti i suoi elementi costitutivi identificati nella condotta, nell’evento e nel rapporto di causalità, in riferimento alle stesse condizioni di tempo, di luogo, di persona e di oggetto materiale della condotta” (tra le ultime sentenze, Cass. SS.UU. 34655/2005).

Dunque, in parole povere e senza perderci in disquisizioni troppo tecniche, per scongiurare una pronuncia di improcedibilità dell’azione penale per ne bis in idem, è necessario che la sfatura tra le imputazioni dei due procedimenti considerati non dipenda solo da una diversa qualificazione giuridica del fatto, ma anche e soprattutto dalla sussistenza di fatti ontologicamente diversi nelle singole componenti strutturali, in un’ottica, prima, naturalistica e, poi, giuridica.

Un nuovo processo per gli stessi comportamenti, ancorché imperniato su un’imputazione più precisa e calzante rispetto alla prima, non ha ragion d’essere né, in un’ottica di garanzia per l’imputato, può sopperire a errori procedurali commessi in precedenza dall’accusa o dall’organo giudicante.

Il processo Eternit bis.Schmidheiny era già stato raggiunto, nel luglio 2014, dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari e l’imputazione, riprendendo la sentenza di condanna di secondo grado, si riferiva all’omicidio di 213 persone (tra il 1989 e il 2013) sorretto dal “dolo diretto”, perché, consapevole sin dal 1976 dei rischi connessi all’esposizione alle fibre di amianto, l’imprenditore non avrebbe protetto gli operai né migliorato le condizioni di lavoro e avrebbe, invece, messo in atto una strategia di disinformazione sui rischi della produzione e commercializzazione dei manufatti con l’obiettivo di tranquillizzare i lavoratori e gli acquirenti dei prodotti Eternit e mantenere i livelli di redditività.

L’avvocato della difesa, sottolineando la coincidenza delle vittime con quelle del primo grado di giudizio nel processo per disastro, ha immediatamente commentato: “I fatti elencati dalla procura d Torino nell’inchiesta per omicidio volontario sono gli stessi che sono stati portati al vaglio della Cassazione nell’ambito del processo per disastro doloso. Vengono solo riproposti in modo diverso”.

Subito dopo l’atteso deposito delle motivazioni della Cassazione, il P.M. di Torino, avendo avuto la conferma che sussistono le basi per andare avanti in questa battaglia, ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio per la morte di 258 persone, tra lavoratori (66) e persone che abitavano nelle vicinanze dello stabilimento. “Abbiamo atteso le motivazioni per capire se c’era un netto distinguo tra il reato di disastro e quello di omicidio, visto che secondo la difesa c’era il rischio di processare gli imputati due volte per lo stesso reato. La Cassazione, invece, ha stabilito che questa sentenza nulla ha a che vedere con lesioni e morti”, anche perché “seppure il reato sia prescritto non c’è evidenza che l’imputato non l’abbia commesso, altrimenti la Cassazione l’avrebbe assolto nel merito” ha detto.

Nonostante il P.M. Guariniello continui a ribadire che la diversità tra i processi sia da rinvenirsi principalmente nella diversa qualificazione giuridica, abbiamo già visto come l’art. 649 c.p.p. non si concentra su questa ma, piuttosto, sul fatto storico oggetto di contestazione.

E’ evidente, comunque, la complessità della questione.

La Corte ha sottolineato che il reato di disastro innominato doloso, nella sua forma aggravata, prevede il verificarsi di un evento (il disastro) – da considerarsi accertato nel caso di specie – e l’aver danneggiato il bene protetto (la pubblica incolumità, nella quale può essere ricompreso il bene della vita delle vittime). Tuttavia, l’evento rileva solo quale circostanza aggravante, essendosi il delitto consumato con ‘esaurirsi della condotta, la cessazione dell’esposizione con la chiusura degli stabilimenti.

Gli omicidi oggi contestati nell’Eternit bis, invece, si riferiscono ad un evento (la morte degli orperai) diverso, seppur la condotta incriminata (l’aver esposto alle fibre di amianto la popolazione, nella consapevolezza della pericolosità di questo materiale) nonché le circostanze di tempo/luogo e l’oggetto materiale sembrano coincidere.

 

 

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