Automatismo della revoca della patente per le condanne in materia di stupefacenti nei casi di lieve entità

E’ INCOSTITUZIONALE? L’ANALISI

di avv. Alessia Bartolini

ritiro-revoca-patenteIl fatto da cui nasce la questione è il seguente. La Prefettura, a seguito di procedimento amministrativo instaurato ai sensi dell’art. 120, comma 2°, CdS, provvede a revocare la patente di guida ad un soggetto, condannato per il reato di cui all’art. 73 DPR 309/90, in funzione dell’automatismo derivante dal richiamo nella norma del Codice della Strada ai reati connessi con gli stupefacenti quale condizione per la perdita dei requisiti morali richiesti per mantenere il titolo di guida.

Il provvedimento di revoca della patente veniva impugnato davanti al Tribunale civile sul presupposto dell’illegittimità costituzionale della sanzione amministrativa rispetto agli art. 3 e 27 Cost. Dubbi di costituzionalità sorti a seguito della modifica legislativa della L. 10/2014 che ha reso fattispecie autonoma di reato il comma 5° dell’art. 73 D.P.R. 309/1990, cui si riferisce il caso di specie, qualificandola come ipotesi di lieve entità, con conseguente richiesta al Giudice adito di rimettere la questione alla Corte Costituzionale.

La problematica dell’automatismo della revoca della patente da parte della Prefettura a seguito delle condanne penali in materia di stupefacenti, nella prassi, è emersa recentemente a seguito di una maggiore sollecitudine nella comunicazione da parte dei Tribunali alle Prefetture del passaggio in giudicato delle sentenze di condanna per droga. Finché, infatti, il decreto di revoca della patente veniva notificato anche a distanza di quasi tre anni rispetto alla data dell’irrevocabilità della condanna penale per il reato ex art. 73 D.P.R. 309/90, in questo periodo, coincidente con la possibilità di ricorrere all’istituto della riabilitazione di cui all’art. 178 c.p., il soggetto, nelle more del procedimento amministrativo, poteva riabilitarsi. A quel punto, fatti salvi gli effetti riabilitativi delle condanne penali dall’120 C.d.S, una volta riabilitati, si rientrava in possesso dei requisiti morali richiesti dalla norma del codice della strada e veniva meno, così, il dovere di revoca della patente da parte della Prefettura.

E’ chiaro che nel caso in cui il decreto del Prefetto sopraggiunga contestualmente, o quasi, al passaggio in giudicato della sentenza, il condannato si vedrà inevitabilmente privato del titolo di guida per tre anni, con le conseguenze gravose che ne derivano, senza alcuna possibilità di replica, proprio per l’automatismo disposto dalla legge. Il provvedimento ex art. 120 C.d.S., così come sostituito dalla L. 94/2009, infatti, intervenendo in automatico, prescinde da una valutazione discrezionale da parte della Pubblica Amministrazione circa la personalità del soggetto coinvolto, la gravità del fatto di reato o le conseguenze cui potrebbe condurre una sanzione in tal senso.

La problematica, sorta nella prassi, è divenuta sempre più concreta anche in ambito giurisprudenziale dopo che tale automatismo imposto al Prefetto ha dovuto interfacciarsi con la recente evoluzione normativa che ha coinvolto l’art. 73 D.P.R. 309/90, da cui ne sono scaturite censure d’incostituzionalità.

Nello specifico, già in un primo momento la Corte costituzionale, con sentenza 12-25 febbraio 2014, n. 32 (Gazz. Uff. 5 marzo 2014, n. 11 – Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito in L. 21 febbraio 2006, n. 49 che, per intenderci, aveva comportato il venir meno delle distinzioni fra droghe pesanti e droghe leggere. Con la pronuncia del Giudice delle leggi, pertanto, è nuovamente scomparsa l’omologazione del trattamento sanzionatorio fra i diversi tipi di sostanze stupefacenti.

Successivamente sono intervenute le modifiche introdotte con d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito in L. 10/2014, che hanno reso fattispecie autonoma di reato l’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73 comma 5° D.P.R. 309/1990. Il nuovo reato, dunque, ha perso la natura di mera circostanza attenuante delle ipotesi previste dalla medesima norma e si configura non solo differenterispetto a quanto previsto e punito dagli altri commi dell’articolo, ma si pone, sul piano penalistico, anche in un rapporto di sussidiarietà rispetto alle fattispecie non qualificabili come di lieve entità, data la clausola di sussidiarietà che presenta nel suo incipit.

Date queste premesse, sorge spontaneo chiedersi se il richiamo operato dall’art. 120 C.d.S. all’art. 73 D.P.R. 309/1990 nel suo complesso, quale condizione ostativa all’acquisizione del titolo di guida o quale presupposto per la revoca, risulti ormai del tutto generico e non conforme con l’evoluzione normativa sorta a partire dal 2014, tenuto conto che ad oggi, all’interno della norma incriminatrice in esame sono ricomprese due fattispecie criminose: l’ipotesi più grave comprensiva delle condotte di cui ai commi 1-1°bis, 2°-3° e l’ipotesi di lieve entità di cui al comma 5°, con conseguenti differenti cornici edittali di pena.

In particolare, una mancata rilettura dell’automatismo ex art. 120 C.d.S della revoca della patente a chi abbia riportato condanne per i reati relativi agli stupefacenti, alla luce della modifica dell’art. 73 D.P.R. 309/90 introdotta dal legislatore del 2014, pone dei problemi di legittimità costituzionale con l’art. 3 Cost. il cui corollario, in termini di uguaglianza sostanziale, si estrinseca nel più generale principio di ragionevolezza secondo il quale la “Legge deve regolare in maniera uguale situazioni uguali ed in maniera diversa situazioni diverse”, con la conseguenza che la disparità di trattamento trova giustificazione nella diversità delle situazioni disciplinate.

E per legge è da intendersi ogni fonte disciplinante il complesso dei diritti da tutelarsi e, pertanto, se il diritto penale ha previsto sanzioni differenti per fatti di reato di diversi gradi di gravità, allo stesso modo dovrà conformarsi anche il diritto amministrativo. Ai fini del ritiro della patente in sede amministrativa appare, infatti, più costituzionalmente orientata una speculare graduazione del disvalore delle condanne per i reati di cui all’art. 73 D.P.R. 309/1990 rispetto a quella già operata in sede penale. Conseguenza logica di questa reinterpretazione della sanzione amministrativa del Codice della Strada sarà la necessità di una valutazione discrezionale da parte della P.A. al fine di individuare, caso per caso, a quali soggetti condannati per la nuova ipotesi di reato sia giustificabile l’adozione del provvedimento di revoca della patente, con tutti gli effetti che ne derivano.

A tal proposito, è chiaro che l’art. 120 C.d.S. mira a precludere ai soggetti che si siano resi responsabili dei reati in materia di stupefacenti di mettersi alla guida per il potenziale utilizzo della patente di guida per agevolare o commettere reati, o agire in condizioni che mettano in pericolo la sicurezza e l’incolumità delle persone”(cfr. Circolare Ministero dei Trasporti n. 2582 del 03/02/2016). Il richiamo all’art. 73 D.P.R. 309/1990, dunque, viene giustificato dal fine di prevenire lo spaccio e il trasporto di sostanze stupefacenti con l’utilizzo di veicoli, oltre che dal pericolo alla sicurezza della circolazione da parte di soggetti assuntori di tali sostanze. Di qui la sua natura eminentemente cautelare. In tal senso, all’automatismo della revoca della patente a fronte dell’interesse pubblico che la norma intende tutelare, appare preferibile, oltre che più ragionevole, una valutazione in concreto della pericolosità sociale del soggetto coinvolto dal provvedimento che, ad oggi, si fonda su una mera presunzione in astratto. La stessa Corte Costituzionale ha affermato, in più pronunce, che “le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona” (quale quello della libera circolazione e al lavoro), “violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali” (Corte Costituzionale, sentenze n. 231 e n. 164 del 2011; n. 265 e n. 139 del 2010).

Un’altra incongruenza costituzionale dell’art. 120 C.d.S. si ravvisa, inoltre, anche in relazione all’art. 27 della Costituzione, diretto a una riabilitazione del condannato e al suo reinserimento nella società, dal momento che la norma in esame, come detto, fa salvi gli effetti riabilitativi delle condanne penali per i reati in materia di stupefacenti. Appare, invero, del tutto irragionevole che, in sede di provvedimenti amministrativi correlati ad una condanna per la quale si tiene conto della possibilità di intraprendere un percorso di riabilitazione, la sanzione amministrativa applicata in concreto, di fatto, la impedisca.

Il provvedimento amministrativo, infatti, comporta un notevole sacrificio a chi sia privato del titolo di guida, in termini di libertà di circolazione e, soprattutto, di diritto al lavoro. Per tale motivo risulta sempre più impellente la necessità che la P.A., prima di revocare la patente, esamini la posizione dell’interessato, tenendo conto non solo della condanna penale, ma anche del suo comportamento processuale, della sua condotta successiva, della professione attuale e delle prospettive di reinserimento sociale, valutando, all’esito, se mantenere il titolo di guida possa rappresentare uno strumento di riabilitazione o, all’opposto, un aggravamento della pericolosità sociale.

In conclusione. La questione di legittimità costituzionale per cui si è chiesto il promovimento alla Corte Costituzionale da parte del Giudice adito, in definitiva, pone il quesito se l’art. 120 C.d.S. risulti illegittimo per violazione degli artt. 3 e 27 Cost. nella parte in cui prevede l’automatismo della revoca della patente di guida anche per i condannati per i reati in materia di stupefacenti riconosciuti di lieve entità e a prescindere da una loro valutazione caso per caso da parte della P.A.
Non resta che attendere la decisione dei giudici della Corte Costituzionale.

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